Dopo il no alla «grande Locarno» radiografia delle aggregazioni nel Ticino. Norman Gobbi: «Noi non possiamo avere delle regioni egemoniche». Il cantiere delle aggregazioni ticinesi ha vissuto, lo scorso weekend, un momento della verità. Mentre i «piccoli» progetti delle Tre Terre e di Faido andavano in porto, quello della «grande Locarno» veniva affondato dal voto di 5 Comuni su 7. Bocciato e senza appello, quindi, il primo possibile polo forte del Sopraceneri, mentre a sud, Lugano e Mendrisio, di fusione in fusione, stanno acquistando sempre più potere.
Che cos’è successo? La macchina delle aggregazioni si è inceppata? Lo abbiamo chiesto al consigliere di Stato Norman Gobbi, titolare del dossier.
«Era una sfida a più livelli. Per i locarnesi , ma anche per il Sopraceneri e per il Cantone. Perché si andava a costituire per la prima volta una realtà urbana. L’iter è stato macchinoso perché la realtà locale lo imponeva. Purtroppo non si è arrivati con un progetto di aggregazione unico, da Brissago a Cugnasco, e si è dovuto procedere con un percorso a tre tappe: sponda sinistra, sponda destra e infine l’agglomerato unico sul Verbano. I risultati di ieri non danno ragione a questa scelta. Si è sentito spesso dire che senza Ascona l’agglomerato sarebbe stato monco o debole. È un aspetto sicuramente da considerare. Le serate pubbliche hanno messo in luce la necessità che anche in una realtà urbana si diano risposte ai piccoli problemi della gente: la scuola, i parchi giochi, il servizio alla cittadinanza, la vicinanza delle istituzioni alla popolazione, la sicurezza. Rispetto ad altre aggregazioni nel Sottoceneri, questa era molto più particolare ».
Non era un progetto calato dall’alto?
«No. Il progetto è stato voluto da due petizioni venute dal basso, una sulla sponda destra e l’altra sulla sponda sinistra. Poi è stata guidata da uno studio strategico che ha confermato la dinamica dell’agglomerato: l’interdipendenza tra il centro urbano e le periferie residenziali della collina, o della sponda destra e l’importanza dell’aspetto turistico su Ascona, Locarno e su Tenero. Lo studio ha dimostrato che l’agglomerato c’è, ma non esiste a livello istituzionale. La necessità di aggregare quindi esisteva. È stata calata dall’alto? Tutti gli attori hanno avuto modo di esprimersi. Forse bisogna aspettare che qualcosa si muova dalla base, come sta avvenendo nel Bellinzonese. Perché ognuno vuole essere attore e decisore del proprio destino».
Nel Sottoceneri c’è una grande Lugano e si sta profilando una grande Mendrisio. Ma non esiste una grande Bellinzona e non c’è una grande Locarno. Il cantiere aggregazioni non è sbilanciato a Sud?
«Questo è un pericolo che noi come Dipartimento e Consiglio di Stato ravvisiamo proprio perché non possiamo permettere che ci sia un Cantone a due velocità e con una differenza di velocità sempre maggiore. Purtroppo la dinamica locale non ci permette oggi di rispondere a questa necessità. L’auspicio è che i sopracenerini possano veramente riprendere in mano la situazione ed essere decisori anche al di là di frammentazioni locali che hanno sicuramente ragione d’essere. Armonizzare i servizi e rendere meno percepibili le differenze richiederà molto tempo».
L’unione di piccoli villaggi con realtà più grandi ha creato aggregati comunali più forti. C’è da aspettarsi che abbiano più forza contrattuale anche nei confronti del Cantone. Che cosa vi aspettate? Quanto sarà possibile resistere alle richieste di una potenza come Lugano, per esempio?
«Tutto deve essere ricondotto alla sostanziale politica della solidarietà interregionale e intercomunale. Non possiamo avere delle regioni egemoniche. Il Cantone è interdipendente al suo interno. Penso alle case di montagna che sono tutte tra la Leventina e la Valle di Blenio. Penso alla necessità delle risorse naturali come l’acqua o il paesaggio, ampiamente disponibili nel Sopraceneri, soprattutto nelle valli. Penso a singoli poli urbani, Lugano, Locarno, Bellinzona, Mendrisio e Chiasso, che sono interdipendenti tra di loro perché hanno caratteristiche differenti tra di loro. Bisogna evitare ogni spaccatura. Occorre riunire le forze proprio per dare una locomotiva unica al Cantone».
Sì, ma come?
«Il piano cantonale delle aggregazioni potrà dare qualche indicazione in più. Lo affronteremo con una tecnica di lavoro scientifica. Abbiamo dei dati di fatto. C’è il piano direttore cantonale che delinea come si svilupperà il nostro Cantone. Abbiamo la politica di promozione economica regionale. L’aspetto istituzionale deve arrivare al temine di queste dinamiche».
Ma i Comuni piccoli aggregati non hanno più l’autonomia decisionale che avevano prima di aggregarsi.
«In alcuni casi no. Alcune realtà avevano delle cancellerie aperte mezza giornata alla settimana e mi chiedo con quale qualità di servizio».
Quanti sono i Comuni costretti all’aggregazione? E che strascichi ci sono stati?
«Quattro: Sala Capriasca, San Nazzaro, Aquila e Bignasco. In Capriasca mi pare che la coazione sia stata riassorbita. Non sento oggi malanimi. Lo stesso in Val di Blenio. Più problematica la situazione di Bignasco, per una forte tensione interna al Comune. Per San Nazzaro non mi sembra di percepire grossi conflitti».
Ora la politica delle aggregazioni si fonderà sul rafforzamento dei poli (città-traino) oppure sul rafforzamento dei Comuni piccoli e delle periferie?
«Tutto va nella stessa direzione: i poli sono importanti nella promozione e per dare possibilità di sviluppo alle zone periferiche. Le zone periferiche devono essere capaci di rispondere alle necessità dei cittadini. L’idea di città-Ticino si sta consolidando anche nella nostra consapevolezza. Il Ticino è una città sola con diversi quartieri, diverse zone periferiche e diversi atout da giocare: un territorio pregiato con un’urbanizzazione vivibile».
Norman Gobbi, lei è sopracenerino. Che cosa si sente di dire agli altri sopracenerini in materia di aggregazioni?
«Secondo me i sopracenerini devono ritrovare l’orgoglio di dire che il Sopraceneri c’è anche nelle politiche delle aggregazioni, al di là dei problemi locali che riconosco. Al di là delle divisioni locali dobbiamo avere una visione di territorio unito perché se ognuno cura unicamente il suo orticello, la bilancia penderà unicamente a favore del Sottoceneri».
di Carlo Silini, Corriere del Ticino, 27.09.2011