Era evidente. Le discussioni sull’acquisto del nuovo aereo da combattimento, in sostituzione parziale degli obsoleti caccia Tiger F-5 in servizio dal lontano 1978, hanno danneggiato l’immagine del nostro Esercito. Questo, proprio in un momento in cui la Svizzera è fortemente sotto pressione internazionale, a cominciare dalla guerra commerciale per ottenere il contratto di fornitura dei nuovi caccia militari.
È stata palese sin dall’inizio come i vari fronti interessati avrebbero usato qualsiasi mezzo per conquistare il mandato, in una trattativa che – come giustamente fatto dal DDPS e dal vertice dell’Esercito – deve tener conto di aspetti finanziari, tattici e geo-politici. Sugli aspetti finanziari, l’offerta svedese era la migliore; sul fronte tattico, l’opportunità di sviluppare con la Saab e l’esercito svedese il nuovo modello è un atout nel personalizzare il velivolo ai reali fabbisogni d’impiego nel territorio e spazio aereo svizzero; dal lato geo-politico, la Svezia – come la Svizzera – è un Paese neutrale ed esterno alla Nato, i cui rapporti diplomatici e politici sono sempre stati ottimi. Queste semplici considerazioni si sono scontrate con una campagna stampa, fomentata talvolta da fonti interne alle Forze Aeree e talora dai concorrenti degli svedesi, che ha mirato a mettere tutti i dubbi sulla scelta compiuta. L’evidenza della guerra commerciale è stata smascherata quando, in piena campagna presidenziale francese la Dassault ha rilanciato con una nuova controfferta per i suoi Rafale; e di recente, l’offerta del gigante europeo EADS con cui ha sottoposto 33 Eurofighter tedeschi d’occasione, al posto dei 22 nuovi caccia. Una guerra commerciale mai sufficientemente evidenziata dai media e le cui conseguenze pesano gravemente sull’immagine del nostro Esercito.
Il sondaggio pubblicato ieri dal domenicale “SonntagsZeitung” è inequivocabile: la discussione politica interna e la guerra commerciale sui nuovi aviogetti hanno danneggiato l’immagine del nostro Esercito, con un fronte favorevole alla sua eliminazione pari al 42%, mentre questa cifra abitualmente si attestava ai 25-30%. Segnali preoccupanti per la nostra Sicurezza, proprio perché in momenti di instabilità globale e di pressioni internazionali sul nostro Paese, poter disporre di un’armata efficiente ed efficace è la miglior garanzia per la nostra Libertà. Come non ricordare le medesime discussioni negli anni Venti del secolo scorso, in cui non si sentiva più il bisogno di un esercito e i crediti disponibili vennero ridotti all’osso, per poi ricorrere ad un prestito nazionale pochi anni dopo, a seguito dell’ascesa al potere in Germania dell’imbianchino di Vienna?
La situazione internazionale è meno tranquilla della sua apparenza. Anche a livello continentale, con un Europa sostanzialmente divisa in tre tra Mediterraneo, Est e Centro-Nord, con grosse differenze nel mondo del lavoro e pressioni migratorie intra ed intercontinentali. Per questo motivo, mettere in discussione l’unica riserva strategica della Confederazione in ambito di sicurezza è avventato e irresponsabile; auspico quindi che a livello federale i partiti di centrodestra – con l’UDC che deve fare un po’ di mea culpa – ricostituiscano un blocco chiaro a difesa e a sostegno del nostro Esercito, contro le bordate della sinistra e contro le pressioni esterne. A livello dei Cantoni, si deve poter comprendere come solo l’Esercito, e il suo principio di milizia, sono una garanzia e l’unico supporto esterno ai mezzi cantonali nel gestire eventi straordinari o grandi calamità. Per la nostra Sicurezza e la nostra Libertà.
Norman Gobbi, Consigliere di Stato e maggiore dell’Esercito
(foto: Keystone)