Mangiare fa parte dei nostri bisogni fondamentali, ma nello stesso tempo risponde a un bisogno culturale. È un momento fondamentale della vita sociale attraverso cui esprimiamo scelte etiche, tradizioni locali e di famiglia, gusti personali. Negli ultimi decenni, è stato recepito il modello alimentare globalizzato offrendo di tutto e di più, in qualsiasi momento e confusamente in ogni luogo, rischiando di perdere peculiarità e identità. Il nostro patrimonio agroalimentare, unito ad una maggiore consapevolezza del valore del cibo, può diventare il punto di partenza per rivalutarela cucina locale, intesa come sintesi e integrazione tra tradizione, creatività e innovazione. I cibi sono infatti un aggregato di storia, cultura e di tradizioni, grazie a cui si possono riscoprire le proprie radici. Nei secoli passati vi era una forte differenza tra cibo di tutti i giorni e cibo delle festività, il gusto popolare dipendeva allora dalla reperibilità del prodotto. Un tempo, solo nei giorni di festa si godeva di determinate gioie e solo in quella circostanza vi era l’opportunità di mangiare senza limiti.
Oggi le differenze sono diminuite, la quantità di cibo alle nostre latitudini è aumentata, ma nel futuro la sfida rimane sempre la stessa: sfamare tutto il pianeta. Per questo è importante educare al valore del cibo operando un cambiamento culturale nel rapporto con lo stesso, valorizzando la conoscenza delle tradizioni alimentari e riconoscendo in quei cibi poveri del passato le qualità gastronomiche essenziali. E, ovviamente, sensibilizzando ad evitarne lo spreco.
In questo periodo si registra un nuovo interesse verso specialità gastronomiche tradizionali, grazie anche a manifestazioni quale la Settimana del Gusto. La cucina è arte, storia e tradizione; e però in grado di evolversi con i tempi e di adeguarsi ai gusti e alle esigenze attuali, anche se non deve mai dimenticare le sue radici. Gli odori e i sapori di una volta, impressi nei nostri ricordi, sono importanti perché rimandano alla genuinità e alla bontà, al ciclico scorrere del tempo stagionale e all’antica sapienza della cultura agricola. Una costruzione d’identità e di personalità fatte di sensazioni olfattive e gustative. In un mondo abitato ormai da sapori e odori nuovi, è facile perdere la quotidianità del passato: il profumo del pane fabbricato la mattina presto e cotto lo stesso giorno, il sapore del latte appena munto, il cantare delle campane che annunciavano l’ora del pranzo.
Dedicarsi al gusto delle cose buone e preparare una ricetta possono diventare un momento di scambio di culture, un incontro con chi ha coltivato le materie prime, le ha fatte crescere e ci ha permesso di trasformarle in un prelibato piatto. Il cibo è un linguaggio universale che coinvolge economia, produzione, storia, turismo, medicina e dietetica, ma è – come la mia forma fisica tradisce – innanzitutto piacere. Il convivio è un momento per vivere insieme una situazione felice in cui la buona compagnia gioca un ruolo importante, tanto che lo stesso cibo ha un sapore diverso, che migliora se i commensali sono graditi compagni di mensa.
Bisogna averne cura perché utilizzando prodotti del nostro territorio si ha anche un minore impatto ambientale ed è il mezzo che ci permetterà di continuare ad incontrarci e di far festa. Oggi s’inizia a parlare di insetti nel futuro della cucina perché contengono gli stessi valori proteici della carne, sono ovunque, si riproducono rapidamente, crescono altrettanto velocemente ed hanno un basso tasso di impatto ambientale. In alcuni Paesi gli insetti sono da qualche tempo parte integrante della dieta umana, ma nella maggior parte del Mondo occidentale provocano ancora forte perplessità. Prima o poi, dovremo considerarli come una significativa opportunità di fondere le conoscenze tradizionali e le competenze della scienza moderna per risolvere i problemi di fame nel mondo, anche se personalmente non sono ancora pronto a fare scorpacciata di cavallette, preferendo pur sempre piatti con lumache e rane. E il nostro classico risotto giallo con la luganiga che, trasformatosi da piatto tipico di Natale nel XIX secolo a cibo quotidiano sulle nostre tavole odierne, continuerà ad essere gustato con lo stesso piacere di sempre.
di Norman Gobbi, consigliere di Stato