Dal Corriere del Ticino l Sarà la volta buona? Avremo un vero Governo di concordanza (in linea con il vigente sistema elettorale) oppure si inizierà a tarallucci e vino per finire a botte? Sono solo alcuni degli interrogativi che è lecito porsi all’inizio della nuova legislatura che, nata sotto la stella delle buone intenzioni, attende di vedere la luce dei fatti. Nelle parole si promette una declinazione differente della politica, dalla logica dello scontro a quella del confronto finalizzato all’accordo. Riconosciamolo, sarebbe un mutamento radicale di paradigma dopo lotte, sgambetti e veleni reciproci.
Se è vero che i piccoli e semplici gesti sono a volte in grado di cambiare e indirizzare le grandi scelte, potremmo essere sulla buona strada. Ad inizio giugno il Governo si riunirà in clausura un paio di giorni in una località per ora top secret (ma non resterà tale a lungo in un cantone pettegolo come il nostro e con una fortissima pressione mediatica) in una valle del Ticino. A definire le coordinate è stato il neopresidente del Governo Norman Gobbi che debutta in questo ruolo dopo un quadriennio da «soldato semplice» nel Consiglio di Stato, e lo fa lanciando alcune proposte, anche genuine.
In primo luogo il Governo terrà la sua riunione plenaria nell’intera giornata di mercoledì, una full immersion a Palazzo nei dossier per poi permettere ai singoli capodipartimento di dedicare gli altri giorni della settimana all’attività del proprio dicastero. Ma c’è una novità, o meglio, la riedizione di quella che nei primi anni Novanta era una consuetudine che poi, tensione dopo tensione, scusa dopo scusa, litigio dopo litigio, è venuta a cadere: il pranzo in comune. La seduta del mercoledì non vedrà più i consiglieri di Stato scattare ognuno alle proprie faccende al rompete le righe per la pausa di mezzogiorno, ma i cinque si concederanno un pasto assieme. Sarà questo il piccolo-grande passo del quadriennio alle porte? C’è chi scommette di sì. Il già consigliere di Stato Alex Pedrazzini ricorda gli anni 1991-1995 quando Dick Marty, Giuseppe Buffi, Renzo Respini, Pietro Martinelli e lui pranzavano assieme il martedì, giorno di riunione dell’epoca. «Era un momento di autentica convivialità, che faceva seguito a discussioni franche, fin accese, che magari non scaturivano in un accordo attorno al tavolone del Palazzo delle Orsoline. Ma a tavola, con un bicchiere di vino, nasceva una complicità che rendeva tutto più facile e si impattavano gli ori». Pedrazzini, a scanso di equivoci, precisa che «il conto lo pagavamo noi, non i ticinesi».
Inutile nasconderlo, a tavola, spesso si crea armonia e un ambiente tra i commensali che, quando i formalismi prendono il sopravvento, è impossibile far nascere. Anche se rischiamo di passare per maschilisti sfegatati, va rilevato (quale semplice dato oggettivo) che il tradizionale pranzo era andato scemando con l’avvento delle donne nell’Esecutivo e viene rilanciato nel 2015, l’anno dell’uscita di scena del genere femminile dalla stanza dei bottoni. Un caso? Ognuno risponda seguendo la sua personale sensibilità.
Gobbi non ha preso i colleghi uomini solo per la gola, ma ha promosso un’altra iniziativa che mira a ridurre quella distanza che esiste tra Consiglio di Stato e Gran Consiglio. Quest’ultimo, da sempre, considera i consiglieri di Stato poco sensibili e distanti dai problemi che è chiamato a trattare il Parlamento. In realtà i temi sono i medesimi, ma l’approccio del muro contro muro ha portato all’esasperazione degli stessi. E allora? Dato che parlarsi quando le discussioni sono in progress è meglio che scontrarsi a Palazzo delle Orsoline facendo tramontare ogni possibile soluzione, Gobbi ha estratto dal cilindro quanto già esiste a Berna.
Una sorta di casa von Wattenwyl per instaurare un tavolo e un punto d’incontro tra il Governo, i presidenti e i capogruppo dei partiti rappresentati nello stesso Esecutivo. Si potrà obiettare che non si tratta di nulla di particolarmente originale, neppure innovativo. Ma forse sarà davvero utile.
Sulla politica soffia un vento nuovo che fa rima con responsabilità nella consapevolezza che una riedizione della politica del recente passato non ci aprirà le porte del futuro. Pare incredibile, ma dopo aver vissuto decine di mesi di campagna elettorale per spostare solo alcune pedine in Gran Consiglio e avere un volto nuovo in Governo (senza che i rapporti di forza siano mutati) si compiono oggi mosse semplici che nessuno aveva osato proporre prima.
E allora non resta che augurare buon appetito al nostro Consiglio di Stato, auspicando che da quel tavolo del mercoledì alle ore 12 possano sortire soluzioni interessanti per tutti i ticinesi. Nella speranza che i pasti scelti dal menu richiedano in prevalenza l’uso della forchetta. I coltelli, metaforicamente parlando, in politica sono già stati usati troppe volte, riservando molti bocconi amari e indigesti ai cittadini.
Gianni Righinetti, Corriere del ticino, 4 maggio 2015