La nuova Legge sul consorziamento dei Comuni si è resa necessaria per meglio recepire a livello normativo l’evoluzione nel tempo dell’istituto del Consorzio.
Sia a livello comunale sia a livello parlamentare sono state fatte sollecitazioni a più riprese, affinché si giungesse a una revisione della vigente legge del 1974, entrata in vigore il 1. giugno 1975.
In effetti, se è vero che il Consorzio nella sua forma attuale dovrebbe essere in grado di assicurare servizi a costi più contenuti rispetto al singolo Comune, è anche vero che spesso si dimenticano i “costi cooperativi” che lo caratterizzano, quali: la perdita da parte del Comune del potere di gestione amministrativa del servizio, la perdita di cognizione sulle modalità di conduzione del servizio, la perdita del potere da parte della collettività locale di modalità di conduzione del servizio, la perdita del potere da parte della collettività locale di far valere le proprie preferenze, che devono essere mediate con quelle dei Comuni consorziati e dell’ente consortile medesimo.
Di fatto, con l’attribuzione a un ente consortile di compiti strategici in un determinato settore, il singolo Comune perde oggi quasi interamente la sua autonomia decisionale, operativa e finanziaria in quel settore.
La nuova legge fa parte a pieno titolo dell’ampio cantiere della riforma dei Comuni ticinesi, comprendente il tema delle aggregazioni, quello del funzionamento del Comune, della perequazione finanziaria e della collaborazione fra i Comuni per l’esecuzione di compiti di reciproco interesse.
Orbene questa legge si inserisce in quest’ultimo contesto, trattando la cooperazione fra enti locali e comuni. La principale scelta politica adottata in Ticino va nel senso di puntare sull’aggregazione quale risposta a livello regionale; da quando sono state avviate le procedure aggregative abbiamo constatato che il numero dei Consorzi è andato riducendosi (da 200 a 77) e continuerà a farlo, risolvendo in parte il problema da essi rappresentato.
Inoltre, grazie alla Legge organica comunale (LOC), abbiamo aperto alla possibilità di nuove forme di esecuzione dei compiti comunali (costituzione di enti di diritto pubblico, convenzioni di diritto pubblico, mandati di prestazione).
Ciò nonostante, la forma del Consorzio continuerà a essere necessaria anche in futuro perché in talune situazioni rappresenta la soluzione irrinunciabile (si pensi alla gestione sovraccomunale delle acque o alle case anziani). In passato il collegamento fra i Consorzi e i Comuni mandanti della loro attività non è sempre stato trasparente e lineare. Per tale motivo in alcuni importanti Consorzi si è sviluppata una forte autonomia non solo operativa ma anche politica, che sono divenuti addirittura più importanti dei rispettivi Comuni di riferimento. Nelle discussioni avute con sindaci e municipali, si è avuta la conferma che i Comuni non sono in grado – a volte – di avere una visione chiara dei costi che devono inserire nei loro preventivi e sui quali non possono dire granché.
L’impostazione della nuova legge è in sostanza quella suggerita dalla Commissione della legislazione in alternativa alla precedente proposta (risalente al 2002): la sottocommissione, allora coordinata da M. Dell’Ambrogio, aveva invitato il Consiglio di Stato a ritirare il messaggio per riproporlo con una serie di indicazioni che noi abbiamo accolto elaborando una riforma che rispecchiasse la volontà espressa dalla sottocommissione. Riconoscendo che il Consorzio ha una sua autonomia giuridica (uno statuto di diritto pubblico), ma esso deve rimanere uno strumento nelle mani dei Comuni, si è compiuta una scelta di fondo emblematica dell’intera riforma; il Consorzio deve insomma esistere per volontà dei Comuni e muoversi secondo le loro direttive, invece di agire per volontà propria superando i suoi compiti iniziali, come troppo spesso è accaduto.
Il manico del coltello deve restare nelle mani dei Comuni (in particolare dei Municipi) non solo al momento della fondazione del Consorzio ma anche in futuro.
Il nuovo Consorzio avrà, come il precedente, un suo organo esecutivo (una delegazione consortile) e un organo legislativo (il consiglio consortile), ma quest’ultimo sarà emanazione diretta del Comune, che si esprimerà attraverso un solo rappresentante.
In tal modo creiamo una chiara linearità d’azione fra il mandante e il mandatario, attribuendo al Comune facoltà di dare istruzioni a chi lo rappresenta nelle assemblee o nei consigli consortili, con l’obiettivo di rafforzare la posizione dei Comuni nei confronti dei Consorzi.
A loro volta, i Comuni partecipano alla vita dei Consorzi (e ne influenzano l’attività) in rapporto alla popolazione o all’interessenza stabilita dagli statuti.
Abbiamo rafforzato il potere di controllo finanziario, togliendo la commissione della gestione e imponendo un organo di revisione esterno.
Diamo in tale modo maggiore garanzia di visibilità e prevedibilità delle spese consortili a vantaggio dei Comuni, che in passato si sono trovati sorpresi di fronte all’evoluzione delle spese consortili. L’obbligo di un piano finanziario renderà chiaro ai Comuni in che modo l’onere consortile si muove nel tempo, permettendo di meglio influenzare la sua evoluzione.
La legge del 1974 ha cercato di dare ai Consorzi una forma democratica attraverso un impianto di tipo paracomunale (un’assemblea consortile, una delegazione, quote di delegati comunali usati – a volte – come compensazione per mancate elezioni in Consiglio comunale).
Sappiamo che i Consigli consortili funzionavano con scarsa efficacia, fatto che frustrava chi vi faceva parte; il potere si è concentrato nell’esecutivo dei Consorzi e ciò ha significato il venir meno dell’affidabilità in fatto di struttura democratica.
L’alternativa è rappresentata da quanto il Consiglio di Stato ha proposto e susseguentemente avallato dal Gran Consiglio: rafforzando le possibilità di influenza da parte del Comune, espressione di una chiara democrazia, si risponde anche al problema della democraticità dell’istituto consortile, perché il legame fra il funzionamento del Consorzio e la volontà del Comune diviene molto più diretto. Ricordo che il Consorzio non lavora in modo multidisciplinare: è chiamato infatti a svolgere un compito ben definito a partire da un preciso mandato dell’autorità comunale.
In conclusione, posso affermare che la riforma legislativa riguardante i Consorzi tiene conto dell’evoluzione della realtà dei Comuni ticinesi che, nel limite del possibile, fa sempre meno capo ai Consorzi per offrire dei servizi alla popolazione. Occorre rimarcare che le modifiche legislative proposte adattano il funzionamento stesso del Consorzio introducendo alcuni nuovi strumenti gestionali in ambito di controllo e funzionamento che dovrebbero facilitare una gestione più trasparente e snella di questi organismi.
Nei prossimi anni occorrerà verificare in che misure i nuovi enti di diritto pubblico introdotti con la revisione della LOC (art. 193c), potranno progressivamente sostituire i Consorzi ancora oggi in attività.
Vi ringrazio del vostro prezioso contributo e impegno, attraverso la vostra attvità nel garantire alla cittadinanza servizi di qualità.
Norman Gobbi
Consigliere di Stato e
Direttore del Dipartimento delle istituzioni