«Le persone arrestate giovedì in Italia «erano tutte molto pericolose». Ad affermarlo è il procuratore Antiterrorismo e Antimafia Franco Roberti, riferendosi alla banda di presunti jihadisti fermati ieri in Lombardia tra Lecco, Varese e Milano. Tra i fermati, lo ricordiamo, c’è anche il kickboxer Abderrahim Moutaharrik che col Ticino aveva legami particolari. Come riferito dal CdT, infatti, Moutaharrik – classe 1988, nato in Marocco ma residente a Lecco – si era allenato quasi giornalmente nella palestra Fight Gym Club di Canobbio, dove all’improvviso, nel settembre dello scorso anno, non si era più fatto vedere. E proprio nei confronti degli ormai ex compagni di allenamento Moutaharrik nutriva una sorta di fastidio, tanto da volersi vendicare di loro. All’origine di tutto ci sarebbe l’allontanamento dalla Svizzera dell’uomo, deciso dalle autorità elvetiche nel marzo del 2015. Ma il complesso mosaico che avvicina Svizzera e Italia, si arricchisce di un nuovo tassello. Infatti, come conferma il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi (foto in alto), la segnalazione di Moutaharrik alle autorità elvetiche è partita proprio dal Ticino. «La Polizia cantonale lo teneva d’occhio – spiega Gobbi – grazie al lavoro della sezione gestione informazioni, che ha poi fatto rapporto al SIC della Confederazione. Le autorità federali hanno poi emesso, il 23 marzo del 2015, il divieto di entrare in Svizzera». Sulla veridicità e la possibilità reale che Lugano fosse nel mirino del presunto jihadista Gobbi ha preferito mantenere il più stretto riserbo, così come sul monitoraggio attuale di altri soggetti potenzialmente pericolosi. In generale, il direttore del DI sottolinea come «il nostro Paese non sia tra gli obiettivi primari», Ticino incluso.
«Evidentemente – continua Gobbi – questo caso dimostra che non siamo esenti dalla presenza di presunti jihadisti, è quindi fondamentale che si vigili in maniera attenta sul territorio e che si condividano le informazioni con le autorità federali e con i partner italiani». La storia di Moutaharrik è molto simile alle altre vicende di presunti jihadisti che hanno subito il fascino dell’ISIS pur essendo apparentemente ben integrati con la società del Paese che li ospitava. Anche per il giovane kickboxer, tutto sarebbe mutato dopo essere venuto a conoscenza della morte dell’amico Oussama Khachia, soprannominato lo “jihadista di Viganello” e allontanato dalla Svizzera nel settembre del 2015. Khachia si era recato in Siria a combattere, e nel Paese aveva trovato la morte, probabilmente nel dicembre dello stesso anno. Da qui è partito l’avvicinamento all’Islam più radicale da parte di Moutaharrik, che in un secondo tempo sarebbe anche stato raccomandato per essere arruolato nell’ISIS da Mohamed Koraichi, che ha lasciato l’Italia con la famiglia per unirsi al sedicente Stato islamico. Dopo l’allontanamento dal Ticino dell’amico Oussama, Moutaharrik ha smesso di frequentare la palestra di Canobbio. Una sparizione improvvisa e apparentemente senza spiegazione quella del giovane, come confermato al CdT dall’allenatore del giovane, Andrea Ferraro. Secondo quanto riferiscono le autorità italiane la cellula bloccata giovedì era «in diretto collegamento con altri soggetti già operanti in Siria che incitavano a fare attentati in Italia: parliamo di un livello di pericolosità molto alto». Tuttavia, sottolineano ancora gli agenti dell’Antiterrorismo italiano, «il loro livello di operatività era basso. Non abbiamo trovato tracce di avvio di esecuzione dei progetti di attentati. Non abbiamo trovato armi, esplosivi o altri materiali. Siamo intervenuti in fase molto anticipata». Le autorità oltre confine, attraverso le intercettazioni telefoniche, stanno anche facendo luce su una vera e propria cerchia attraverso cui Moutaharrik cercava di fare proselitismo facendo leva su altri giovani della provincia di Lecco. «Gli metteremo a posto la testa», diceva il kickboxer prima di essere arrestato.