Il bilancio del direttore del Dipartimento tra successi ed errori: “Ho dato fiducia a persone che non la meritavano”. Norman Gobbi, classe 1977, leghista della prima ora, è stato eletto in Consiglio di Stato nell’aprile 2011, quando la Lega ha raddoppiato la sua presenza nell’Esecutivo. Da allora dirige il Dipartimento delle istituzioni. Ecco il bilancio della prima legislatura.
Gobbi, qual è stato il suo principale successo nei quattro anni trascorsi alla testa del Dipartimento delle istituzioni?
«L’aspetto della sicurezza, che non ritengo un obiettivo elettorale, bensì il dovere del direttore delle istituzioni. Ma sono soprattutto orgoglioso di aver dato l’opportunità a molti ticinesi da tempo in cerca di un impiego di trovarne uno, grazie ad esempio all’estensione dell’età massima per l’accesso alla scuola per agenti di custodia oppure al mantenimento delle scuole di polizia annuali con un numero superiore di candidati, ma anche ai tanti stages, praticantati e programmi occupazionali nel Dipartimento».
Nel suo bilancio di legislatura cita 365 concorsi interni ed esterni. Siete diventati un piano occupazionale? O ha voluto cambiare il colore politico al Dipartimento?
«Sono cambiamenti che si imponevano. Più che di colore si è trattato di cercare i profili e le competenze necessarie. In passato in questo dipartimento i pipidini che sono stati alla direzione, hanno fatto scelte in base al colore e all’etichetta, ma non sempre sono state messe le persone più adatte al posto giusto».
E quale l’errore che mai più farebbe?
«Certamente più di uno. Qualche volta mi è capitato di lasciare correre un po’ le cose, quando invece sarebbe stato meglio intervenire per bloccare sul nascere certi atteggiamenti o comportamenti nocivi. Mi è capitato di dare fiducia a persone che non la meritavano».
Come era lo stato di salute del Dipartimento al suo arrivo?
«In generale buono, ma quando sono entrato in carica ho investito molte risorse per orientarlo in quella che è la mia visione di consigliere di Stato. Ho sempre voluto decidere io e fare in modo che ad ogni livello vi fosse prontezza di reazione, perché non è lasciando sul tavolo i problemi che gli stessi si risolvono. È stato un percorso incentrato sulla responsabilizzazione».
Tra gli altri ha nominato Matteo Cocchi comandante della polizia cantonale. Cosa è cambiato con il suo arrivo?
«È noto che tra Luigi Pedrazzini e Romano Piazzini non corresse buon sangue. La scelta di Cocchi è stata la mia prima decisione importante da ministro e mi sono reso conto quanto sia fondamentale la scelta delle persone che occupano dei posti di alto livello. Per scegliere occorre ragionare con la testa, ma anche sentire altri segnali, quelli che ti vengono dallo stomaco e dal cuore. Il razionale e l’emozionale mi ha permesso di avere oggi un ottimo comandante. Siamo in perfetta sintonia, al punto che pensiamo alle stesse strategie».
I dati del 2014 fanno registrare un calo della criminalità in generale. Qual è il prossimo passo concreto da fare per evitare un’inversione della tendenza?
«Bisogna continuare sulla strada intrapresa per evitare di cadere negli errori del passato, quando sono state annullate scuole di polizia e abbandonate scelte di potenziamento prese in precedenza. Occorre anche rafforzare la collaborazione tra tutti i partner che operano per la sicurezza, così da rispondere più efficacemente alle esigenze dei cittadini che vogliono, a giusta ragione, sentirsi più sicuri».
I colleghi hanno accolto la sua richiesta di aumentare di 50 agenti la polizia entro il 2017. E lei cosa ha concesso in cambio?
«Attenzione, non diamo una visione distorta della realtà. Il Consiglio di Stato non è un mercato. Non si dà, per poi ricevere in cambio. Alla base delle decisioni ci sono dei motivi chiari e delle necessità, come ad esempio il potenziamento del fisco che io ho avallato, ma non perché si trattava di merce di scambio. Credo che sia un dovere di un consigliere di Stato vagliare in maniera razionale e non dogmatica ogni genere di proposta che si presenta sul tavolo».
Il suo collega Zali ha ammesso che Sadis per il 2015 gli aveva assegnato dei compiti di rientro della spesa. Lo ha fatto anche con lei?
«Quando non si rispettano gli obiettivi finanziari occorre rientrare, a volte in proporzione, al budget di ogni dipartimento all’insegna della solidarietà e del lavoro di Governo».
Corriere del Ticino, Gianni Righinetti, 01.04.2015