Articolo pubblicato nell’edizione di mercoledì 19 agosto del Corriere del Ticino
Con la chiusura delle discoteche in Italia a causa della pandemia il Ticino rimane l’unica opzione Gobbi è preoccupato, i gestori dei locali molto meno: «Con il limite massimo delle cento persone c’è poco margine»
L’Italia ha spento la musica dance: dove andrà chi avrà voglia di scatenarsi sulla pista da ballo? Appresa la notizia del giro di vite sulla movida deciso a Roma – oltre alle discoteche chiuse c’è l’obbligo di mascherina dalle 18 alle 6 nei luoghi aperti dove non è possibile mantenere la distanza sociale – chi abita a ridosso del confine non avrà impiegato molto ad escogitare l’unico possibile piano B: andare in Svizzera. Potenzialmente parliamo di migliaia di persone che potrebbero varcare la frontiera per divertirsi nei locali ticinesi, in particolare quelli del Luganese e del Mendrisiotto, e il consigliere di Stato Norman Gobbi si è già detto preoccupato che l’esodo per la movida possa far crescere il numero dei contagi. «Non è Milano Marittima»
Ci sono però diversi elementi che potrebbero attenuare l’impatto dell’eventuale ondata umana. Su tutti il limite massimo di persone che può accogliere ogni locale: cento. Una volta raggiunto il tetto, per poter entrare bisogna aspettare che esca qualcun altro. Non il massimo.«Considerando che la maggior parte della clientela è quella abituale, la situazione non mi sembra così grave», commenta Paolo Franzi, comproprietario e gestore dell’Underground di Lugano, rispondendo indirettamente ai timori espressi da Gobbi. «E poi non siamo Milano Marittima», aggiunge, nel senso che il Ticino non è una Mecca per il popolo della notte. Se però non ci sono altre possibilità – a meno di prendere un aereo per altri lidi, possibilmente esclusi dal listone delle zone a rischio – gli equilibri possono cambiare. Italiani o non italiani, la situazione delle discoteche ticinesi e in generale svizzere resta in bilico. Su di loro pende la spada di Damocle di restrizioni più severe ed è opinione diffusa – a torto o a ragione – che le piste da ballo siano uno dei luoghi più a rischio per la trasmissione del virus. «Ma sono tante le situazioni in cui non si può garantire la distanza», obietta Franzi. «A Ginevra i locali sono stati chiusi, ma non lo erano quando abbiamo dovuto fermarci noi, per due mesi e mezzo. Vivono la stessa situazione che vivevamo noi prima e che spero non tornerà. A livello di prevenzione, più di così non possiamo fare. Alcuni si chiedono perché la mascherina è obbligatoria sui bus e non da noi: perché tutti i nostri clienti sono tracciati, mentre quelli dei bus no».
«Non sono extraterrestri»
La garanzia della tracciabilità è una misura obbligatoria, così come la sanificazione degli ambienti, la presenza dei disinfettanti e le mascherine per il personale. Al Montezuma di Novazzano viene misurata anche la febbre. Finora è stato fatto con un dispositivo portatile, ma presto sarà installato un termoscanner. «Con le disposizioni attuali la situazione in Ticino è gestibile – spiega il proprietario e gestore del locale Matteo Mogliazzi -. Sono abbastanza fiducioso che non vengano decise nuove misure, anche se un minimo di paura c’è». Non spaventa invece il probabile aumento della clientela da oltre confine. «Un riflesso in Ticino ci sarà, di sicuro. Soprattutto per noi, che siamo appena dopo la frontiera. Ma il limite delle cento persone ci dà una certa tranquillità. Vedremo quello che succederà il prossimo weekend». Mogliazzi in ogni caso non ci sta a trattare la clientela italiana come un problema che minaccia il Ticino: «Non dobbiamo vederli come extraterrestri. Da sempre frequentano i nostri locali e i ticinesi frequentano i loro». Soprattutto quelli nelle vicinanze di Como. «Noi abbiamo sempre avuto una clientela mista. Il tetto delle cento persone – conclude il titolare del Montezuma – avrebbero potuto introdurlo anche in Italia prima di arrivare a una misura così drastica come la chiusura. Che comunque avrà delle ripercussioni, perché la gente non starà a casa». «Quasi sempre pieni»
Vedremo cosa succederà nei prossimi fine settimana. Secondo Francesco Rambelli, titolare dell’Auberge di Lugano, «non cambierà nulla». Almeno per quanto li riguarda: «Con il limite massimo di cento posti la vedo dura per la clientela estera da noi, anche perché finora in tutte le sere in cui siamo aperti arriviamo o sfioriamo la capienza massima e non c’è un particolare ricambio fra gli ospiti. Specie di venerdì e di sabato ci è già capitato di dover impedire l’ingresso ad alcuni avventori perché non c’era più spazio. Al momento a frequentare l’Auberge sono soprattutto i locali; di turisti non ne abbiamo visti molti». Quanto al futuro, nemmeno Rambelli nasconde un certo senso d’insicurezza: «Il timore di dover chiudere c’è, come sempre negli ultimi sei mesi. Ma se dovesse arrivare la decisione saremmo pronti ad adeguarci tranquillamente, come abbiamo già fatto. Chiuderemmo e aspetteremmo tempi migliori».
L’Italia ha spento la musica dance: dove andrà chi avrà voglia di scatenarsi sulla pista da ballo? Appresa la notizia del giro di vite sulla movida deciso a Roma – oltre alle discoteche chiuse c’è l’obbligo di mascherina dalle 18 alle 6 nei luoghi aperti dove non è possibile mantenere la distanza sociale – chi abita a ridosso del confine non avrà impiegato molto ad escogitare l’unico possibile piano B: andare in Svizzera. Potenzialmente parliamo di migliaia di persone che potrebbero varcare la frontiera per divertirsi nei locali ticinesi, in particolare quelli del Luganese e del Mendrisiotto, e il consigliere di Stato Norman Gobbi si è già detto preoccupato che l’esodo per la movida possa far crescere il numero dei contagi. «Non è Milano Marittima»
Ci sono però diversi elementi che potrebbero attenuare l’impatto dell’eventuale ondata umana. Su tutti il limite massimo di persone che può accogliere ogni locale: cento. Una volta raggiunto il tetto, per poter entrare bisogna aspettare che esca qualcun altro. Non il massimo.«Considerando che la maggior parte della clientela è quella abituale, la situazione non mi sembra così grave», commenta Paolo Franzi, comproprietario e gestore dell’Underground di Lugano, rispondendo indirettamente ai timori espressi da Gobbi. «E poi non siamo Milano Marittima», aggiunge, nel senso che il Ticino non è una Mecca per il popolo della notte. Se però non ci sono altre possibilità – a meno di prendere un aereo per altri lidi, possibilmente esclusi dal listone delle zone a rischio – gli equilibri possono cambiare. Italiani o non italiani, la situazione delle discoteche ticinesi e in generale svizzere resta in bilico. Su di loro pende la spada di Damocle di restrizioni più severe ed è opinione diffusa – a torto o a ragione – che le piste da ballo siano uno dei luoghi più a rischio per la trasmissione del virus. «Ma sono tante le situazioni in cui non si può garantire la distanza», obietta Franzi. «A Ginevra i locali sono stati chiusi, ma non lo erano quando abbiamo dovuto fermarci noi, per due mesi e mezzo. Vivono la stessa situazione che vivevamo noi prima e che spero non tornerà. A livello di prevenzione, più di così non possiamo fare. Alcuni si chiedono perché la mascherina è obbligatoria sui bus e non da noi: perché tutti i nostri clienti sono tracciati, mentre quelli dei bus no».
«Non sono extraterrestri»
La garanzia della tracciabilità è una misura obbligatoria, così come la sanificazione degli ambienti, la presenza dei disinfettanti e le mascherine per il personale. Al Montezuma di Novazzano viene misurata anche la febbre. Finora è stato fatto con un dispositivo portatile, ma presto sarà installato un termoscanner. «Con le disposizioni attuali la situazione in Ticino è gestibile – spiega il proprietario e gestore del locale Matteo Mogliazzi -. Sono abbastanza fiducioso che non vengano decise nuove misure, anche se un minimo di paura c’è». Non spaventa invece il probabile aumento della clientela da oltre confine. «Un riflesso in Ticino ci sarà, di sicuro. Soprattutto per noi, che siamo appena dopo la frontiera. Ma il limite delle cento persone ci dà una certa tranquillità. Vedremo quello che succederà il prossimo weekend». Mogliazzi in ogni caso non ci sta a trattare la clientela italiana come un problema che minaccia il Ticino: «Non dobbiamo vederli come extraterrestri. Da sempre frequentano i nostri locali e i ticinesi frequentano i loro». Soprattutto quelli nelle vicinanze di Como. «Noi abbiamo sempre avuto una clientela mista. Il tetto delle cento persone – conclude il titolare del Montezuma – avrebbero potuto introdurlo anche in Italia prima di arrivare a una misura così drastica come la chiusura. Che comunque avrà delle ripercussioni, perché la gente non starà a casa». «Quasi sempre pieni»
Vedremo cosa succederà nei prossimi fine settimana. Secondo Francesco Rambelli, titolare dell’Auberge di Lugano, «non cambierà nulla». Almeno per quanto li riguarda: «Con il limite massimo di cento posti la vedo dura per la clientela estera da noi, anche perché finora in tutte le sere in cui siamo aperti arriviamo o sfioriamo la capienza massima e non c’è un particolare ricambio fra gli ospiti. Specie di venerdì e di sabato ci è già capitato di dover impedire l’ingresso ad alcuni avventori perché non c’era più spazio. Al momento a frequentare l’Auberge sono soprattutto i locali; di turisti non ne abbiamo visti molti». Quanto al futuro, nemmeno Rambelli nasconde un certo senso d’insicurezza: «Il timore di dover chiudere c’è, come sempre negli ultimi sei mesi. Ma se dovesse arrivare la decisione saremmo pronti ad adeguarci tranquillamente, come abbiamo già fatto. Chiuderemmo e aspetteremmo tempi migliori».