Da Cooperazione | Intervista con il consigliere di stato Norman Gobbi, relatore alla quinta conferenza nazionale sul federalismo a Montreux del 26-27 ottobre.
In queste conferenze nazionali sul federalismo non c’è il rischio dell’autocelebrazione, della “Svizzera Sonderfall”?
A dire il vero sono convinto del contrario, proprio perché negli ultimi anni viviamo una centralizzazione delle competenze, sia a livello cantonale sia federale. Un trend che stride con la necessità di un federalismo tonico nei suoi tre livelli istituzionali, da sempre ricetta del nostro benessere. È perciò bene parlarne di frequente per garantirne l’autenticità dei principi su cui si fonda.
Hanno suscitato un certo allarme i risultati di un recente sondaggio sul federalismo: il 25% degli interpellati non è stato in grado di spiegare cosa sia concretamente o ha dato risposte sbagliate, mentre per il 35% è un concetto “troppo vago”. Qual è la sua opinione?
Sì, questi dati non fanno piacere, ma ottimisticamente possono essere interpretati anche come un segno di fiducia verso il federalismo e la democrazia semidiretta, due capisaldi del nostro Paese. Essi si fondano su principi relativamente semplici, anche se, è vero, sono resi più complessi nella loro applicazione pratica. Ecco perché è importante che tutti si sentano partecipi e conoscitori delle istituzioni, iniziando già dalle scuole. Tanto più che viviamo una forte immigrazione da Paesi con sistemi politici diversi dal nostro.
Studiosi e politici parlano di “federalismo esecutivo” per definire l’attuale sistema politico, con la Confederazione che decide e stabilisce le regole e i Cantoni che devono applicarle, accollandosi sempre più oneri. Un’evoluzione o un’involuzione?
Un’involuzione e, come tale, richiede un’inversione di tendenza. È importante che i Comuni e i Cantoni custodiscano
la loro autonomia, sinonimo di rispetto delle diversità e salvaguardia delle minoranze. Noi ticinesi ne conosciamo bene l’importanza.
Da anni si discute sull’inefficienza di avere 26 Cantoni e c’è chi propone una nuova mappa con 12 Cantoni. Fantapolitica, missione impossibile?
Possibile o impossibile, la ritengo una soluzione semplicemente sbagliata: dilata la distanza fra cittadini e istituzioni. Se a livello comunale le aggregazioni servono a risolvere problemi oggettivi, a livello federale l’optimum si raggiunge grazie a Cantoni capaci di riformarsi al proprio interno e in sintonia con la propria popolazione.
Il federalismo è storicamente quello “verticale”, tra Berna e i Cantoni. Quello “orizzontale”, intercantonale, è un po’ negletto. Quali sono i settori in cui i Cantoni collaborano in modo fruttuoso?
La collaborazione intercantonale varia da regione a regione. Chiaramente come Ticino
siamo meno integrati – anche geograficamente – al resto della Svizzera rispetto a una realtà come Lucerna. Tuttavia non restiamo passivi. Con il mio dipartimento ho l’occasione di lavorare in maniera intelligente ed efficiente con i colleghi degli altri Cantoni, soprattutto a livello di gestione dei flussi migratori, delle situazioni di crisi e delle sicurezza al confine. Anche con le autorità italiane stiamo collaborando, e gli sforzi danno i loro frutti.
Oggi, oltre l’80% della popolazione svizzera vive nelle città/agglomerazioni, da Zurigo a Lugano. Tra le nuove sfide del federalismo c’è proprio la rivendicazione dei centri urbani ad avere un ruolo di primo piano a livello di politica federale, che sembra proteggere di più i Cantoni piccoli e le periferie rurali. Qual è la sua opinione?
Le zone urbane sono indubbiamente il motore socioeconomico del Paese. Non dobbiamo però dimenticare che la forza della Svizzera è anche la propria coesione, non solo fra lingue e religioni diverse, ma pure fra regioni diverse. Tutti reclamano maggiore potere, ma il federalismo è equilibrio. Come uomo di valle ne sono convinto.
Il cuore del federalismo è l’autonomia-concorrenza fiscale dei Cantoni, che però spesso non è virtuosa. Un esempio: Zugo attira fiscalmente imprese e possidenti, ma la vicina Zurigo si lamenta per essere non solo il bacino occupazionale per pendolari dei Cantoni limitrofi, ma anche per accollarsi oneri elevati per la cultura (musei, teatri), trasporti, sicurezza…
Se a livello locale la dinamica fra Comuni-polo e corona si può migliorare con le aggregazioni, a livello cantonale la soluzione è sfruttare la competitività del proprio Cantone: chi paradiso fiscale, chi mecca delle industrie e dei servizi, chi oasi del turismo. Non dimentichiamo inoltre la perequazione finanziaria nazionale, anche se è uno strumento controverso.
Infatti, la perequazione finanziaria nazionale (PFN) è il sistema con cui Confederazione e Cantoni “ricchi” aiutano i Cantoni “poveri”. Il Ticino, da sempre tra i beneficiari, riceverà il prossimo anno ben 41,5 milioni. La PFN è però contestata da più parti (Cantoni paganti e studiosi) perché non riduce le disparità economiche tra i Cantoni e nei fatti si rivela una forma di assistenzialismo. Qual è il suo giudizio?
È assistenzialismo ma senza sperperi. E il Ticino, che non può fare “rete” con altri Cantoni, ha bisogno del sostegno finanziario della Confederaizone e dei Cantoni “ricchi”. È vero, la PFN è annualmente terreno di scontro, anche perché sono in gioco oltre 4 miliardi di franchi. Di fatto, i parametri di calcolo premiano alcuni Cantoni, svantaggiando altri, Ticino incluso, poiché, ad esempio, nel potenziale delle risorse si includono anche gli stipendi dei frontalieri, che notoriamente spendono il loro salario in Italia.
Il rapporto Cantone-Comuni è un anello importante del federalismo. In questi anni le varie aggregazioni hanno mostrato la debolezza istituzionale e finanziaria di tanti Comuni…
… e, infatti, abbiamo continuato convintamente proprio lungo la strada delle aggregazioni, così che i nuovi Comuni siano istituzionalmente e finanziariamente solidi. Un esercizio a favore dei cittadini che possono contare su uno
standard migliore di servizi e vedersi concretizzate opere importanti.
Il Consiglio di stato, e il suo dipartimento in particolare, ha varato nel 2015 il progetto Ticino 2020, un cantiere istituzionale per “ottimizzare” i rapporti tra il Cantone e i Comuni. Quali sono i capisaldi della riforma?
Ticino 2020 si muove su cinque assi fondamentali. Sulla base della riforma dei Comuni, grazie al Piano cantonale
delle aggregazioni, si vogliono riorganizzare i compiti e i flussi fra i due livelli istituzionali, migliorandone efficacia ed efficienza. È quindi l’occasione di procedere con la revisione della perequazione intercomunale e riformare, infine, l’amministrazione cantonale e quelle comunali. Insomma, è un progetto tanto ambizioso quanto necessario.
A che punto è oggi?
Rappresentanti dei Comuni e del Cantone hanno già analizzato a fondo i temi prioritari, giungendo a proposte concrete di riforma per quanto concerne la suddivisione dei compiti e dei flussi finanziari. Ora ha preso avvio la
procedura di consultazione su alcuni di questi temi prioritari, affinché si possa al più presto giungere in Parlamento con soluzioni solide e condivise.
(Articolo di Rocco Notarangelo)