Norman Gobbi, alla luce del voto dei cittadini sul referendum del suo partito che cosa dice?
«Sostengo che i soldi pubblici per finanziare la presenza del Ticino non potranno più essere utilizzati».
Vediamo di chiarire. Il fondo della lotteria Swisslos è da ritenersi pubblico o no?
«La garanzia del fondo Swisslos aveva un senso negli scorsi mesi. È servito come garanzia durante la fase nella quale era in essere il referendum e si attendeva il voto dei ticinesi. Ora, alla luce della volontà popolare va cambiato paradigma. Si tratterà di capire se i privati sono disposti a finanziare una partecipazione pubblica del Ticino ad Expo 2015 o se vogliono procedere in diversa maniera».
Ma come, Swisslos prima andava bene e ora non più?
«Occorreva traghettare la questione per evitare che tutto si arenasse. Ho fatto quella scelta perché ero convinto che in quel momento era prioritaria. Ma oggi non me la sento di sbattere la porta in faccia ai ticinesi che hanno detto no».
Il Piano B è però da subito apparso come molto rigido. Alla fine vi siete fatti male da soli?
«È vero, era rigido. In queste condizioni alla minima oscillazione tutto si rompe e cade. Ed è ciò che è avvenuto».
No al credito cantonale di 3,5 milioni di franchi o no alla partecipazione del Ticino nel senso di istituzione?
«No all’utilizzo di soldi pubblici, no a una presenza istituzionale del Cantone. D’altronde non si può fare votare e poi fare finta di nulla come se l’espressione popolare non avesse alcun senso».
Ma da tempo si sa che avreste cercato fondi dei privati. Non sarebbe stato tutto più chiaro non tirare neppure in ballo Swisslos?
«Forse sì, ma senza garanzia credo che nulla si sarebbe mosso. Swisslos ha permesso di avvicinare i finanziatori che generosamente si sono manifestati».
In fin dei conti l’Expo non è più una vetrina per l’economia e i suoi attori che per l’Istituzione Cantone?
«In realtà entrambe le cose, ma il voto ne ha cancellata una».
Si è tergiversato troppo nel coinvolgere gli attori economici?
«Sì, andava fatto ben prima, durante l’elaborazione del progetto. Questa vicenda ha mostrato troppe falle e oggi tutti paghiamo il prezzo di numerosi errori».
Certo che se il Governo avesse dato un’impronta chiara facendo proprio l’intero dossier dall’inizio…
«Vero. Gli errori vanno condivisi, ma chi aveva la responsabilità avrebbe dovuto segnalare l’impasse».
Oggi la questione «post voto Expo» sarà già sul tavolo del Governo?
«Certamente dovremo discuterne. Non so se arriveremo a una decisione immediatamente, ma chinarci per qualche valutazione politica è indispensabile. Vorrei capire se i privati sono ancora d’accordo di finanziare da soli la partecipazione».
In moneta sonante significherebbe 1,5 milioni di franchi, mentre ad oggi ne hanno promessi/versati 935.000. Non è un po’ eccessivo?
«Certo non è facile, anzi è tutto molto difficile, ma non vedo alternative. Fatto salvo che ritocchi sono possibili. Ad esempio il personale assunto dalla Cancelleria può essere cancellato subito. Mi spiace, ma si impongono delle scelte. D’altronde anche la Confederazione lo ha fatto, annullando le nomine all’USTRA dopo il no del popolo all’aumento della vignetta autostradale».
Insomma, siamo ripiombati nella profonda incertezza?
«Si poteva riparare prima se i progetti fossero stati concepiti in maniera pragmatica e non a tavolino, preconfezionando già la classifica degli stessi in ordine di priorità».
Come?
«C’era il rapporto di minoranza della Lega, che fissava a 1,7 milioni (anziché 3,5) la partecipazione del Ticino. Quella era la via d’uscita. Senza dimenticare che non era stato previsto nulla che ricalcasse l’obiettivo dell’Expo 2015. Niente di energetico e niente di alimentazione in maniera strutturata».
Non è che il suo sì fino ad oggi era finalizzato al 1. maggio 2015 quando, se rieletto, sarà il presidente del Governo e il nostro rappresentante ad Expo?
«Ma no, sono spesso a Berna e già molto impegnato sul fronte interno. Per fare valere le ragioni del Ticino a livello federale non mi serve la vetrina di Milano».
GI.RI., Corriere del Ticino, 30.09.2014