Il Ticino vuole salvaguardare i suoi interessi
Lo sappiamo fin troppo bene, la Storia è ciclica e si ripete spesso. Nelle trattative tra Svizzera e Italia degli anni Settanta, il Cantone Ticino pagò lo scotto e venne gabbato. Infatti, l’accordo venne siglato nel 1979 e lo si applicò retroattivamente al 1974; la casse dell’erario ticinese anticiparono le quote parti sulle imposte alla fonte prelevate sui frontalieri, che non vennero – a differenza delle promesse – mai rifuse da Berna.
Questa situazione è stata ricordata e altre voci critiche sono state espresse in Consiglio di Stato, proprio perché al centro dell’attività del Governo ticinese vi deve essere la strenua difesa degli interessi cantonali. Questa volta la maggioranza ha deciso di tenere fede ai patti e alla buona forma con il Consiglio federale, ma – e lo conferma il comunicato stampa emanato – non abbassa la guardia e seguirà attentamene l’evolversi, memori che ora tocca alla controparte riconoscere altrettanta lealtà al Cantone Ticino.
Spesso, troppo spesso, il Ticino paga gli interessi dell’Altopiano, il quale si viene a confrontare solo dopo molto tempo con dinamiche che a Sud delle Alpi conosciamo magari già da un decennio. E il mondo dei frontalieri non fa astrazione da questo. Quando ad inizio del nuovo secolo il Ticino votò intelligentemente contro i Bilaterali e l’accordo di libera circolazione, da noi il fenomeno dei frontalieri era ben conosciuto, mentre a Zurigo e Berna lo conoscono solo da pochi anni. Ora anche nelle grandi regioni urbane dell’Altopiano i frontalieri occupano posti di rilievo. Anzi, i tedeschi sono sempre più presenti nella sanità (dottori), nella formazione (universitaria e non) e nelle funzioni dirigenziali delle grandi aziende. Un “déjà vu” per noi a Sud delle Alpi, che pian piano fa sorgere gli stessi e giustificati malumori che viviamo da diversi anni in Ticino e che la Lega dei Ticinesi ha sempre espresso e riportato.
Il Ticino fa parte della Confederazione e il Consiglio federale se n’è ricordato in occasione della decisione sulle varianti di risanamento, preferendo la costruzione di un secondo tubo che permetta di separare il flusso di transito nel rispetto della protezione delle Alpi e della Costituzione, senza aumentarne la capacità.
La stessa attenzione e determinazione ce l’attendiamo anche nelle discussioni sugli accordi economico-fiscali con l’Italia, da cui Svizzera e – soprattutto – Ticino devono uscire vincenti. Non fosse così, come affermano correttamente anche alcuni portavoce delle associazioni economiche, allora meglio nessun accordo che un cattivo accordo. Anche sui frontalieri, dove ognuno incasserebbe le sue imposte. Punto.
Norman Gobbi