Il presidente della Società ticinese degli ufficiali Manuel Rigozzi promuove la strategia presentata dal Comandante di corpo Thomas Süssli
«La strategia formulata dal Comandante di corpo Thomas Süssli va sicuramente nella direzione giusta, sono proposte logiche e condivisibili». A colloquio con ‘laRegione’ il presidente della Società ticinese degli ufficiali, il colonnello SMG Manuel Rigozzi , analizza e commenta le priorità strategiche per l’esercito recentemente presentate da Süssli, con i 13 miliardi di franchi di investimenti necessari per la prima fase dal 2024 al 2031. Una strategia che verte su tre pilastri: sviluppo delle capacità militari in modo adattivo, utilizzo del progresso tecnologico, rafforzamento della cooperazione internazionale. Pilastri che, guardando anche alla cifra che richiedono, Rigozzi riassume così: «Meglio investire nella sicurezza che dipendere da altri».
Andando nello specifico: si va nella direzione giusta dice, vuol dire che si è davvero provato a risolvere le principali urgenze da lei spesso rimarcate?
Penso proprio di sì. Lo sviluppo delle capacità militari in modo adattivo ha il fine di adeguare le misure di intervento in maniera efficace ed efficiente. Lo sfruttamento delle opportunità date dal progresso tecnologico, quindi anche la robotica e l’intelligenza artificiale, hanno lo scopo di aumentare tanto sia le prestazioni, sia le possibilità di azione per militi e reparti. Per quanto concerne il rafforzamento della cooperazione internazionale sgombriamo il campo, nessuno parla di adesione alla Nato o di abbandonare il principio di neutralità. Ma come ho più volte detto non dobbiamo essere così ciechi da pensare di essere un’isola in mezzo all’Europa senza avere interazioni con i Paesi a noi vicini. Questa strategia per me è davvero positiva, perché finalmente rafforza le capacità di difesa e risponde sia all’obiettivo di compensare le lacune che abbiamo ancora in termini di equipaggiamento, effettivi e sistemi, sia alla possibilità di migliorare le prestazioni. Si parla di 13 miliardi di franchi, la domanda da porci è il valore anche economico che vogliamo dare alla nostra sicurezza: all’ultima assemblea della Stu ho rimarcato l’importanza di portare il budget per l’esercito all’1% del Pil, quando le linee guida dei Paesi Nato prevedono almeno il 2% e con potenze come gli Stati Uniti che arrivano al 4%, la Cina al 7,2% e la Russia al 9,2%. L’Ucraina, per difendersi dalla guerra di aggressione, ha speso tra soldi suoi e aiuti esteri 44 miliardi. Noi svizzeri siamo un popolo pacifico da oltre 500 anni, nessuno desidera guerre nel nostro Paese. Ma non dobbiamo fare l’errore di sottovalutare le emergenze. C’è qualche inguaribile ottimista che pensa che in questi casi i Paesi vicini potrebbero aiutare, ma di regola nei momenti di crisi ognuno pensa prima a sé stesso. E anche se fosse pensato un aiuto, non oso pensare a quale prezzo.
Le priorità fissate da Süssli possono avere un riverbero anche per il Ticino, considerando comunque che i rapporti sono già buoni e la presenza è di tutto rilievo?
Parto proprio da quanto dice, ricordando che il Ticino negli ultimi anni ha sempre beneficiato di importanti investimenti da parte dell’esercito, basti pensare al Comando forze speciali di Isone, o al Centro logistico del Monte Ceneri, la base aerea di Magadino e le scuole sanitarie di Airolo. Ma oltre a questo, non dimentichiamo che gli investimenti sono anche immobiliari e hanno dato lavoro alle aziende locali. Detto questo, ci sono ben tre corpi di truppa di lingua italiana: il Battaglione fanteria di montagna 30, il Gruppo d’artiglieria 49 e il Battaglione di salvataggio 3. Se consideriamo la riduzione dell’esercito effettivo, in circa dieci anni, da 600mila a 100mila possiamo osservare una situazione di privilegio. È una premessa forse lunga ma necessaria, perché serve a consolidare l’ottimismo verso questo orientamento strategico dal momento che come ha ricordato anche lei i rapporti tra Ticino e Berna nell’ambito militare sono eccellenti, grazie al grande legame con il direttore del Dipartimento istituzioni Gobbi e il vicepresidente nazionale della Società svizzera degli ufficiali colonnello Mattia Annovazzi. Il fatto stesso che gli ufficiali ticinesi, me compreso, siano spesso a Berna o partecipino attivamente agli incontri nazionali fa sì che i colleghi confederati ci guardino con grande positività. Vede, a volte in Ticino ci si lamenta di non avere la visibilità che si vorrebbe… noi siamo andati a cercarcela e prendercela, proattivi e convinti. La conseguenza è che il Comandante di corpo Süssli è venuto più volte in Ticino, non da ultimo incontrando anche imprenditori e capitani d’azienda per promuovere l’esercito e far capire loro, a volte provenienti dall’estero e poco avvezzi all’importanza del militare, che questa carriera porta non solo teoria a un buon manager, ma anche capacità pratica. E anche il mondo economico ticinese può sfruttare questa strategia, perché se si parla di robotica e intelligenza artificiale si parla di potenziale da sviluppare e posti di lavoro di qualità.
Detto dei rapporti con Berna, la situazione dell’esercito in Ticino com’è? All’ultima assemblea della Stu lei parlò di ‘concorrenza sleale’ del servizio civile, facendo discutere non poco.
La situazione, usando un eufemismo, è complessa e difficile. Il sistema di milizia è basilare, in quanto un esercito di soli professionisti non sarebbe praticabile per motivi di costo e culturali. Ma questo sistema implica vi sia una sostituzione di militi che terminano l’obbligo di servizio con militi giovani. Ebbene, persone che in tempi non sospetti avrebbero prestato servizio militare possono scegliere di passare al servizio civile con compiti che vengono addirittura certificati come esperienza lavorativa e possono dare vantaggi nelle iscrizioni alle Scuole universitarie professionali. E questa, confermo, è concorrenza sleale. Mi sono capitati diversi giovani che si e mi chiedevano ‘ma chi me lo fa fare’, perché col servizio civile non si prendono ordini. Non entro nei casi personali e nelle scelte, ma il problema sta nel vedere davvero quanti fanno questa scelta per motivi di coscienza e quanti di vantaggio. Sarò provocatorio, ma è così. Se il parlamento approverà la strategia e realizzerà gli obiettivi strategici cosa potremo fare se mancheranno effettivi? Avremo i sistemi giusti, le tecnologie, ma non le persone. Il servizio civile è sicuramente utile alla comunità, ma non dovrebbe minare le basi della nostra politica di sicurezza che sono assicurate dalla Costituzione. Qualcuno lamenta casi di pecore nere o situazioni individuali che hanno visto coinvolto l’esercito, ma fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato. In questo, come in altri casi.
E come si può rendere, quindi, attrattiva la scelta del servizio militare?
Il servizio militare permette a noi italofoni di conoscere meglio le altre culture e lingue nazionali, e apprendere i valori trasmessi dall’esercito: spirito di servizio, collegialità e solidarietà. Fondamentale tra i Cantoni, allo stesso modo se vissuta in forma di camerateria da commilitoni di diversa estrazione sociale e culturale. In questo mondo sempre più individualista si impara che l’interesse personale è sempre subordinato a quello collettivo. Questi sono valori che, assieme allo spirito di servizio, portano il nostro servizio a essere fondamentale per la difesa e per la crescita anche personale di chi lo assicura.
Articolo pubblicato nell’edizione di lunedì 25 settembre 2023 de La Regione