– Fa stato il discorso orale –
Gentili signore ed egregi signori,
vi saluto anche a nome del Consiglio di Stato, esprimendo grande onore nel poter partecipare a questo incontro.
Il mio intervento prende spunto da un verbo all’infinito, ovvero “ricordare”. È un verbo saldamente ancorato alla memoria e che ci fa tornare indietro nel tempo per riportarci a ciò che è stato e che tende a sbiadire con il trascorrere degli anni.
“Ricordare” è un esercizio a volte faticoso, ma sempre molto utile in quanto ci mette a confronto con il nostro passato: un passato che può però essere estremamente doloroso.
Nel caso specifico, il dolore provocato dalla follia nazista è stato di immani dimensioni, tanto da non essere neppure misurabile.
Ma non per questo dobbiamo far finta di nulla o – peggio – sottostimare ciò che la memoria ha riportato a galla: “ricordare” significa infatti anche capire e implica uno sforzo, una precisa presa di coscienza.
La memoria, in ogni sua forma – dalla storia al racconto, dall’arte visiva alla musica – assume un ruolo di primaria importanza poiché ci permette di non cadere ancora nell’errore.
La memoria non è mai fine a se stessa, non è un semplice esercizio di stile: essa ci fornisce invece l’assist per comprendere fino in fondo la realtà che ci circonda, analizzandola in relazione ai fatti che storicamente conosciamo.
La memoria rifiuta le interpretazioni false, forzate e offensive che, ad esempio, propongono i negazionisti. La memoria è Verità. La memoria va alimentata, non avvilita. La memoria è Storia.
Chi concorre a “costruire” la Storia?
Sono le donne e gli uomini, le generazioni che si avvicendano e si sovrappongono, i protagonisti ma anche i comprimari.
In buona sostanza, siamo noi con le nostre azioni e le nostre scelte.
Occorre quindi fare in modo di non dimenticare gli errori commessi e da quelli ripartire per diventare persone migliori, in modo da costruire tutti assieme una società migliore.
“Ricordare” significa perciò anche educare. Per quanto paradossale possa apparire, sussiste il rischio che il ricordo dei milioni di morti, degli indicibili soprusi e delle nefandezze commesse allora si affievolisca anno dopo anno. Questo rischio va scongiurato in ogni modo, anche – per non dire soprattutto – attraverso l’educazione delle nuove generazioni. Va detto a chiare lettere: chi non sa, chi non ha capito o chi finge di non sapere va informato e, appunto, educato.
L’educazione passa anche dagli atti pratici, fisici, che si possono vedere e toccare con mano: un bell’esempio è senza dubbio rappresentato dal “Giardino dei Giusti” che, al Parco Ciani di Lugano, rende omaggio ad alcune figure di ticinesi che hanno contrastato l’oppressore e salvato la vita di chi era perseguitato.
Leggere le loro gesta e comprendere il contesto storico con cui sono stati chiamati a fare i conti, è quanto di più didattico ci possa essere.
E in questo solco “divulgativo” si inseriscono perfettamente la presentazione di oggi degli atti di “Lugano Città Aperta” e la conferenza del Direttor Piotr Cywinski.
Concludo il mio breve intervento, rendendo omaggio a Federica Spitzer: una testimonianza come la sua, perpetuata dall’omonima Fondazione, risulta essenziale per comprendere fino in fondo tragedie come l’Olocausto.
Ringrazio quindi chi ha contribuito a crearla e in primis il presidente Moreno Bernasconi: coerentemente con gli ideali sostenuti da Federica Spitzer per tutta la sua vita, e che ci ha lasciato quale preziosissima eredità, la Fondazione si propone di diffondere la memoria dei genocidi, delle persecuzioni e dei totalitarismi, promuovendo il valore della libertà e la comprensione tra popoli, religioni e culture diverse.
Un obiettivo nobile, a cui tutti noi dovremmo tendere. Noi che siamo i protagonisti della Storia che stiamo contribuendo a scrivere.