Gentili signore, egregi signori
in primo luogo un GRAZIE al vostro Municipio che mi dà l’opportunità di parlare in questo incantevole Comune, così ricco di storia e di tradizioni, in un giorno altrettanto importante. Un anno fa ero a Melano: sta diventando una bella tradizione – per un uomo di montagna come il sottoscritto – passare il “Natale della Patria” sul lago di Lugano. Una volta all’anno… piace anche a me ritrovarmi sul Ceresio.
Al di là però della battuta, voi ben sapete invece l’attenzione che pongo ad ogni parte del nostro Cantone e la frequenza con la quale percorro il Ticino da nord a sud e viceversa. A Melide poi mi lega un affetto particolare: mio bisnonno da parte materna era di Melide. Era soprannominato “ul Meli” e negli anni ’30 e ’40 lavorava per la Navigazione di Lugano.
Ogni comunità ticinese è una ricchezza per il nostro Cantone e soltanto lo sviluppo di ogni regione può contribuire a migliorare la situazione generale del Ticino, ma in particolare le opportunità che si vogliono dare a ogni cittadina e a ogni cittadino del nostro Cantone. È un discorso che coinvolge sia il livello istituzionale/politico, sia il livello economico. Le risposte che siamo chiamati a dare per la crescita del Ticino sono sempre più importanti – e a volte pressanti – tenuto conto del quadro nazionale e internazionale. Le chanches per favorire la crescita ci sono.
A livello istituzionale vi è oggi una piena consapevolezza dell’importanza del ruolo del Comune all’interno del “sistema Ticino”. Una consapevolezza che è propria dei cittadini innanzitutto, che chiedono ai loro rappresentanti politici di intervenire là dove è necessario per trovare soluzioni migliori, più dinamiche, meno costose, più vicine ai loro interessi e bisogni. E questo anche per quanto riguarda l’eventuale opportunità data da una aggregazione comunale.
Lo dico qui, in un Comune molto attivo, che ha saputo negli anni affrontare con spirito d’iniziativa i compiti a lui assegnati. La vita politica di Melide segna una positiva attività con il coinvolgimento di forze nuove, nel senso di donne e uomini, anche giovani, che si stanno dando molto da fare.
Nel piano cantonale delle aggregazioni – ossia quello strumento che traccia le possibili traiettorie aggregative, ma che lascia assoluta indipendenza alle comunità locali di autodeterminarsi nelle loro scelte – Melide viene accomunata in una possibile fusione con Morcote e Vico Morcote. La scelta sinora adottata qui a Melide è quella di proseguire autonomamente, mentre i due Comuni appena citati hanno deciso di approfondire una possibile aggregazione a due e una speciale commissione è stata costituita proprio a questo scopo. Conoscendo quanto viene fatto qui a Melide, come ho già evidenziato in precedenza, la vostra scelta è più che legittima e troverete in me un convinto sostenitore del vostro lavoro, soprattutto se manterrete un livello alto di progettualità e responsabilità.
Colgo quindi l’occasione di questa serata di festa e l’opportunità datami di rivolgermi a voi per spronare tutte le forze politiche di Melide e tutte le cittadine e i cittadini a voler proseguire con questo slancio.
Ogni ticinese, quando pensa a Melide, pensa a due immagini: il ponte diga e la Swissminiatur. Ai responsabili dell’infrastruttura turistica che attira qui in paese migliaia di visitatori ogni anno rivolgo un augurio per i 60 anni di attività che vengono ricordati e festeggiati proprio quest’anno.
Il ponte diga invece mi permette di introdurre il tema che più mi sta a cuore in questo 1. Agosto 2019. Una diga che divide due rami del lago. Un ponte che unisce due territori, così da creare quel collegamento più diretto tra nord e sud che ha rappresentato e rappresenta una grande opportunità per il nostro Cantone nel contesto nazionale e internazionale.
Oggi più che mai siamo chiamati a interrogarci sul nostro futuro, sul destino della nostra Nazione. Occorre saper dividere, come fa questo sbarramento tra Melide e Bissone, ciò che porta giovamento alla causa elvetica, da ciò che invece comporta un rischio, un pericolo. E poi, come fa il ponte, unire gli sforzi per giungere a un risultato positivo.
Fuor di metafora: mi preoccupa molto quanto sta facendo – avrei voluto dire “combinando” – il nostro Consiglio federale con l’accordo istituzionale o accordo quadro (che dir si voglia) con l’Unione europea. I passi compiuti nel corso del mese di giugno tra il nostro Governo e l’UE hanno segnato da parte di quest’ultima istituzione un atteggiamento estremamente arrogante e hanno dimostrato la debolezza del nostro Consiglio federale.
Sull’arroganza dell’Unione europea ormai non dobbiamo più meravigliarci, ma soltanto prendere atto di come si comporta con regolarità contro la Svizzera e i suoi interessi. L’atteggiamento del Consiglio federale, per contro, dimostra l’incapacità di discernimento su ciò che davvero conta per il futuro della Svizzera e della sua popolazione.
Perché con questo accordo istituzionale andremmo a perdere uno dei valori, se non il valore, più importante per tutti noi: la sovranità del nostro Popolo. Sì, perché questo accordo tra UE e Svizzera ci chiede un adattamento della nostra legislazione a quella europea e l’intervento di un tribunale esterno per dirimere eventuali conflitti nell’introduzione di queste nuove leggi. La nostra sovranità è stata costruita nei secoli, e già con il Patto del 1291 veniva definita a favore delle comunità di Uri, Svitto e Untervaldo che si impegnavano a sostenersi vicendevolmente contro tutti coloro che potevano intervenire in maniera violenta e autoritaria dall’esterno. E soprattutto bandendo la presenza e l’interferenza di giudici stranieri. Padroni in casa propria, si potrebbe tradurre in modo semplice e diretto. E da almeno due secoli tutto questo si sviluppa grazie alla solidarietà e alla sussidiarietà volte a difendere i più deboli, a favorire la crescita economica, a ricercare le opportunità in tutte le sfide che il mondo propone, a considerare la minoranza una ricchezza e la liberà individuale un valore imprescindibile.
Ecco, in questi mesi in cui il Consiglio federale sta trattando con l’Unione europea quello che viene definito l’accordo quadro mi rendo sempre più conto che la posta in gioco nel campo della salvaguardia della nostra sovranità è molto grande. E mi chiedo: abbiamo una effettiva coscienza del pericolo che stiamo correndo, applicando questo accordo quadro? La mia risposta in questo momento è negativa. Una mancata coscienza dovuta spesso a una fragilità interna, a una considerazione quasi negativa o comunque a una non comprensione di tutte quelle particolarità che invece hanno reso forte la Svizzera. Il nostro federalismo; la nostra democrazia diretta; l’autonomia dei Cantoni e dei Comuni; la libertà economica; il nostro elevato ed elaborato sistema sociale; le nostre leggi; il nostro Esercito; l’eccellenza imprenditoriale e l’eccellenza della formazione. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Certo, chi è favorevole all’accordo quadro cerca di tranquillizzare, cerca di farci credere che non cambierà nulla, e che i vantaggi sono superiori agli svantaggi. Soprattutto gran parte del mondo economico – a mio giudizio troppo frettolosamente – si schiera a favore di questo accordo quadro, anche perché potrebbe risolvere, o dare l’impressione di risolvere, molte questioni burocratiche sempre vissute – a giusta ragione – come un ostacolo allo sviluppo. O comunque prolungare quelle apparenti conquiste avute grazie agli accordi bilaterali.
Voci fuori dal coro, ma molto importanti ed autorevoli – pensando a uno degli ultimi esempi cito Nick Hayek, il patron del Gruppo Swatch – si stanno profilando. E credo che queste personalità abbiano colto il succo del problema, proprio partendo da una prospettiva economica o comunque di interessi economici: la ricchezza della Svizzera si è da sempre costruita trovando risposte innovative a situazioni e condizioni di partenza di grande svantaggio rispetto alle altre nazioni. Il tutto è stato possibile perché questo nostro Paese è nato e si è sviluppato sulla base di quei valori fondanti di cui parlavo prima, che discendono in linea diretta proprio dall’elevato concetto di sovranità.
Dovesse seccare questa radice, questa identità, crollerebbe tutto l’albero. E – per rimanere al contesto economico – non avremmo più quella spinta ideale, e direi genetica, che abbiamo dentro di noi e che ci ha permesso di primeggiare in molti settori nel passato come nel presente.
Abbiamo sempre avuto la capacità di trasformare in pregi anche i nostri difetti. Di fare di necessità virtù. Perché la Svizzera non ha mai avuto vita facile. Accettare che la nostra legislazione si adegui in maniera dinamica – questo termine “dinamico” ci viene propinato per addolcire la pillola – a quella dell’UE – come si propone nell’accordo quadro – per me è come pronunciare una bestemmia! Istituire un Tribunale arbitrale per dirimere le controversie su questo “adeguamento dinamico” è l’atto che sancisce il nostro fallimento. Vuol dire dover fare come ci dice l’Unione europea, perdendo totalmente la nostra indipendenza, la nostra autonomia.
È quanto è successo il 18 maggio, quando la maggioranza in Svizzera ha accettato la trasposizione delle direttive dell’UE sull’acquisto delle armi. Il Ticino – e la cosa mi consola – ha votato diversamente, dimostrando di aver capito la reale posta in gioco! Non così è avvenuto nei restanti Cantoni confederati. Ed è per questo che non mi sento tranquillo sul grado di consapevolezza della reale posta in gioco.
Le scelte definitive e decisive per la Svizzera stanno arrivando. Così come fu con lo Spazio economico europeo, così lo sarà con questo accordo quadro. Siamo a un bivio.
La strada che scelgo la conoscete: personalmente ritengo che un’eventuale applicazione dell’accordo quadro andrebbe definitivamente abbandonata.
Spero che il 1° Agosto contribuisca a far capire a tanta gente che la via indicata da questo accordo è quella sbagliata e che ci sia – di riflesso – una presa di coscienza forte delle capacità degli svizzeri e della Svizzera senza la necessità di questa Europa, intesa come istituzione politica.
Care cittadine e cari cittadini, vi ringrazio per l’attenzione.
Viva Melide, viva il Ticino.
E quest’anno più di altre volte: viva la Svizzera e viva il suo Popolo sovrano.