Da laRegione | «Un sacrificio sostenibile». E che di sicuro non «banalizza» né «mette in pericolo» l’amministrazione della Giustizia. Parole del capo del Dipartimento istituzioni (Di) Norman Gobbi che difende la riduzione del numero di Giudici dei provvedimenti coercitivi (Gpc) da quattro a tre. Una riduzione che parte da lontano. Da quando nel 2011 è entrato in vigore il Codice di diritto processuale penale svizzero, che ha portato il Gran Consiglio a ‘fondere’ due categorie di magistrati che fino ad allora si occupavano di provvedimenti coercitivi e applicazione della pena: i Giar e Giap. Nelle due istanze «erano attivi in totale quattro giudici e – spiega Gobbi – togliere la sedia a una persona sarebbe stato difficile». A suo tempo «si è quindi deciso di mantenerne quattro, riservandosi di valutare criticamente più avanti» la situazione. E l’occasione per togliere quella sedia si è presentata lo scorso luglio con il pensionamento del presidente dei Gpc Edy Meli. In sede di commissione il Gran Consiglio ha tuttavia deciso di compensare il taglio con l’attribuzione all’Ufficio dei Gpc di «un giurista dell’Amministrazione. Utilizzando una risorsa interna il risparmio ottenuto con questa misura è in ogni caso di 256mila franchi». Ma non si rischia di rallentare e di rendere meno efficace la Giustizia? «No. Negli ultimi otto mesi, ossia dal pensionamento di Meli – risponde Gobbi –, l’Ufficio ha gestito la sua attività con tre giudici e un giurista, garantendo decisioni tempestive e di qualità». Senza dimenticare che nell’ambito della lotta alla criminalità «negli ultimi anni si sono messe a disposizione risorse extra per il perseguimento dei reati economici e finanziari».
(Articolo di Paolo Ascierto e Chiara Scapozza)