Ad un anno dalla cosiddetta “primavera araba”, gli auspici interpretati dagli occhi occidentali delle immagini trasmesseci dai media, stanno scivolando nel cosiddetto “inverno oscurantista”. Le dittature lasciano infatti il posto ai partiti islamici e alle richieste di introduzione della Shari’a.
I messaggi e le immagini veicolate dai media danno giocoforza un’idea parziale della realtà, in quanto – nonostante gli sforzi dei giornalisti – passano i concetti più vicini all’immaginario occidentale. Se tutti ci siamo rallegrati delle cadute dei regimi dittatoriali nordafricani ad opera di un’élite di giovani scesi in piazza a reclamare maggiori libertà, pochi giornalisti han messo a fuoco sin dall’inizio quello che era invece intuibile.
La storia ha insegnato assai poco ai reporter occidentali; eppure, la caduta di Saddam Hussein è solo del 2003 e un Paese fino allora costretto alla stabilità dal regime, è diventata una delle caldaie irrequiete della Mesopotamia musulmana. Nel Nord Africa si è vissuta una scena con mutati attori in gioco (non le forze anglo-americane ma una élite di giovani urbani), che ha rovesciato il regime di Mohamed Bouazizi in Tunisia e di Hosni Mubarak in Egitto; più particolare invece il gioco in Libia, dove il regime di Mu’ammar Gheddafi è stato travolto dalle spinte militari occidentali (francesi in particolare), allo scopo malcelato di accedere alle risorse naturali libiche, tra cui il petrolio di cui la Libia è il maggior produttore africano.
I segnali, che la cosiddetta “primavera araba” potesse scivolare verso un estremismo islamico, erano già presenti durante le manifestazioni di piazza, in particolar modo in Egitto. Numerosi sono stati i casi in cui delle giornaliste in piazza Tahrir hanno subito molestie e violenze sessuali, fino allo stupro della giornalista americana a febbraio 2011. Segnali che dovevano far aprire per tempo gli occhi, considerato come le immagini di giovani blogger e di giovani donne senza velo trasmesseci rappresentavano solo una minoranza, poiché nelle piazze – oltre a gridare contro i dittatori – si lanciavano slogan contro l’Occidente. E il bel sogno che ci han raccontato i giornalisti occidentali, nel grande circo mediatico uniformato, si è infranto nella prevedibile realtà del voto democratico espresso da tutta la popolazione di questi Paesi.
E così, dopo le piccole élite di blogger e youtuber che inneggiavano alla libertà e alla democrazia, ad esprimersi democraticamente sono state tutte le popolazioni dei Paesi nordafricani, in cui il tasso di analfabeti è del 40% circa. Loro, la popolazione meno formata e quella non urbana, han deciso che volto politico dare ai Paesi della cosiddetta “primavera araba”. Alle elezioni in Tunisia, Marocco ed Egitto hanno così vinto movimenti politici islamico-conservatori oppure legati alla fratellanza musulmana. Da notare come, i “fratelli musulmani” si oppongono alle storiche tendenze alla secolarizzazione delle nazioni islamiche, e formulano richieste di applicazione graduale della Shari’a.
Insomma, ancora una volta i media occidentali hanno dimenticato di leggere con gli occhi locali la realtà di cui veicolano le immagini. Un errore strategico che compirono anche gli Americani, credendo di poter esportare il sistema democratico occidentale in realtà socio-economiche e culturali fondamentalmente diverse. Un errore di valutazione, che rischia di ripetersi.
Un ulteriore elemento di questo movimentato periodo storico, non per nulla definito fluido, che deve ancora venire correttamente evidenziato dai media riguarda l’azione geo-politica applicata dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan. Con il suo “Partito per la giustizia e lo sviluppo” intende estendere la sua area di interesse a quello che fu un tempo l’impero ottomano, tanto che molti movimenti politici vincenti alle elezioni nei Paesi della cosiddetta “primavera araba” hanno nomi che richiamano al partito di Erdoğan.
Turchia, che ricordiamo, è candidata ad entrare nell’Unione Europea e solo grazie all’opposizione tedesca ciò non è ancora avvenuto.
Norman Gobbi