Intervista pubblicata nell’edizione di mercoledì 6 maggio 2020 del Corriere del Ticino
Sarà un passaggio delle consegne rigorosamente senza una stretta di mano quello che avverrà questa mattina a Palazzo delle Orsoline. La presidenza del Consiglio di Stato passerà da Christian Vitta a Norman Gobbi.
Oggi assume la presidenza del Governo subentrando con un mese di ritardo a Christian Vitta che ha fatto gli straordinari per il coronavirus. L’idea del rinvio è stata sua?
«A metà marzo ci trovavamo in piena crisi e crescita di contagi e si discuteva pure di rimandare le elezioni comunali previste il 5 aprile. Ho quindi proposto al collega Christian Vitta di prorogare di un mese il passaggio, perché cambiare “il capo” in quella fase di crisi non sarebbe stato ottimale per la conduzione, i messaggi e la comunicazione istituzionale. Alla fine i lavori straordinari li abbiamo fatti tutti, chi da presidente, chi da vice con i contatti esterni e la condotta operativa, chi con il sistema sanitario. Gli straordinari li ha fatti l’intero collegio».
Come si lavora in Governo in tempi di crisi?
«Non ci si può permettere di fare “partitica”, ma occorre operare tenendo conto del quadro generale e delle particolarità territoriali e umane. In Consiglio di Stato ci siamo confrontati anche con posizioni molto diverse per poi giungere a decisioni collegiali».
Dei suoi interventi in queste settimane è rimasto l’appello in Schwiizerdütsch per sollecitare i confederati a non venire per Pasqua in vacanza in Ticino. Come le è venuta quell’idea?
«Diciamo che proprio grazie al lavoro condotto a livello intercantonale abbiamo anche ottenuto per primi i controlli alla frontiera (inizialmente garantiti dalla Polizia cantonale); questo lavoro nei gremii intercantonali – che impegna molto – mi ha fatto capire come per giungere al cuore dei nostri confederati bisognasse parlare con la lingua del loro cuore. La comunicazione efficace ha bisogno del giusto veicolo, che talvolta parla anche Schwiizerdütsch».
A volte a livello di comunicazione i suoi interventi e quelli del responsabile dello Stato maggiore Matteo Cocchi sono sembrati un po’ autoritari. È una critica che condivide?
«I due ruoli sono ben distinti, il mio e quello del capo dello Stato maggiore cantonale di condotta, anche se ci accomuna da sempre la missione di garantire la sicurezza del Paese e dei nostri cittadini. Accetto la critica perché è legittimo criticare, ma va inserita nella situazione vissuta, in cui abbiamo sempre mirato alla proporzionalità e talvolta assumere dei toni diretti è l’unico modo per far capire in maniera chiara e inequivocabile che la situazione è seria, come lo è stata alcune settimane fa».
Nella memoria è rimasta la frase di Cocchi che invitava gli anziani ad andare in letargo. Quando l’ha sentita cosa ha pensato?
«Il capo dello Stato maggiore cantonale di condotta ha genitori over 65 e talvolta trovare parole e termini giusti, adeguati e condivisi per tutti è difficile, soprattutto nell’urgenza. Il letargo permette di sopravvivere in natura, poiché significa proteggersi da condizioni estreme e difficili in cui il rischio di non farcela aumenta fortemente. Anche noi in famiglia, con mio nonno materno, abbiamo dovuto far comprendere che andare a fare la spesa non era più opportuno; dopo l’inverno torna la primavera e il risveglio ci fa capire quanto importante sia stato proteggersi. Usando quei toni si è assunto le responsabilità per il ruolo che in quel momento era necessario assumersi».
Vitta ha gestito la crisi sanitaria, a lei toccherà la complicata fase della ripartenza, con le categorie professionali che fanno pressione per tornare attive, ma non sempre c’è chiarezza sulle regole. C’è davvero confusione?
«Abbiamo gestito e continueremo a gestire le fasi della crisi come Governo, ognuno coi suoi ruoli e le sue funzioni, nell’interesse del Paese e della popolazione. Le autorità federali emanano diverse direttive, le quali vengono discusse ma in cui talvolta ci si dimentica di dettagli rilevanti. Se a Berna lavorano velocemente e magari cambiando i termini, l’errore è dietro l’angolo e quindi la confusione».
Ha riconosciuto di essere rimasto sorpreso della decisione di Berna di dare il via libera ai ristoranti da lunedì prossimo. È tra coloro che credono che stiamo andando troppo in fretta?
«Sì, e mi spiego. L’apertura dei ristoranti era prevista per inizio giugno; la settimana scorsa invece il Consiglio federale ha deciso di anticipare questo termine all’11 maggio, dimenticandosi però di aggiornare l’ordinanza che verrà modificata unicamente venerdì 8 maggio».
A proposito di bar e ristoranti c’è chi si chiede se avrà senso riaprire con costi fissi immutati e la possibilità di ospitare pochi avventori.
«Abbiamo interpellato GastroTicino la quale ci ha detto che vogliono aprire. Non sarà però facile viste le direttive trasmesse ieri. Prima di tutto bisognerà capire se e come i bar potranno aprire e la loro redditività con soli posti a sedere diventa ancora più fragile. Stesso discorso per ristoranti, osterie e grotti; meno coperti significa minori introiti potenziali e decisiva sarà la voglia della gente di tornare al ristorante seguendo regole molto più rigide e strette. La sfida non è delle più semplici e prevedo purtroppo diverse chiusure in questo settore».
Senza bar, ristoranti e punti d’attrazione è difficile fare turismo. Eppure quella alle porte sarà una stagione molto importante. Ha un suggerimento per gli attori del turismo?
«Crisi significa anche opportunità. Dare un volto al turismo, alla gastronomia e a chi fornisce prestazioni essenziali alla vita, come abbiamo visto in questa crisi sanitaria, può essere una chiave di volta. Garantire una tavola con prodotti del territorio, a tutela dell’economia locale, della tracciabilità e della reperibilità, va già di moda. Il chilometro zero è forse autarchia, ma soprattutto è responsabilità sociale ed ecologica».
È possibile che quest’anno sarà tassativo fare le vacanze in Svizzera. Un’occasione anche per lei o è già abituato a non andare in ferie all’estero?
«Abbiamo la fortuna di vivere in luoghi in cui altri vengono a fare vacanza e questo talvolta lo dimentichiamo. Spesso le mie vacanze le faccio con la famiglia anche qui in Svizzera, anche se non sono mancate puntate all’estero. Vedere altri Paesi è sempre bello, anche per i figli. Quest’anno godremo ancora di più il nostro Ticino e la nostra Svizzera, dove di cose da fare e vedere ce ne sono».
C’è da credere che il suo anno di presidenza sarà contraddistinto dal coronavirus. Ma c’è un altro tema che le sta particolarmente a cuore?
«Il mondo che conosceremo dopo questa crisi sarà un altro; le relazioni e il modo di comportarci sarà diverso. Se penso alle sfide che nascono da questa crisi, beh, il pensiero va alla tutela del nostro territorio. La Svizzera ha dimostrato prontezza e immediatezza nelle misure a sostegno di aziende e lavoratori, mentre l’Italia ha tribolato non poco. Prevedo purtroppo una crisi economica importante in Italia, che porterà molte persone a premere sul nostro confine in cerca di lavoro. Dovremo valorizzare i nostri punti di forza (sicurezza, stabilità, responsabilità) tutelando la nostra popolazione e sviluppando possibilità di crescita su questi valori che comportano anche una responsabilità sociale e ambientale per il territorio ticinese, in cui Cantone e Comuni collaborano per il rilancio armonico del Ticino».