Il divieto di coprirsi il volto “nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico o destinati ad offrire un servizio pubblico” non va iscritto nella Costituzione cantonale, ma nella legge: così la pensa il Gran Consiglio ticinese, che ha accolto oggi un controprogetto all’iniziativa di Giorgio Ghiringhelli, dal contenuto analogo anche se di rango inferiore. La proposta governativa è stata preferita con 41 voti contro 25 e 15 astenuti ma ora l’ultima parola spetterà al popolo, che si dovrà pronunciare su entrambe le varianti, probabilmente il prossimo 22 settembre.
Ispirato alla norma già in vigore in Francia, il testo originale di Ghiringhelli non nominava esplicitamente il burqa ma il riferimento era chiaro, tanto che il promotore, come ha ricordato in aula Alex Pedrazzini (PPD), è al terzo tentativo di farlo vietare e si era fatto accompagnare da una donna coperta da un velo integrale durante la raccolta delle oltre 11’000 firme da lui consegnate.
Una misura di sicurezza e ordine pubblico
Pur ammettendo di aver firmato personalmente l’iniziativa, il capo del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi si è battuto invece per una norma mirata alla sicurezza e non iscritta nella Costituzione, che dovrebbe essere riservata a principi e valori. Considerazioni, le sue, riprese dalla maggioranza commissionale (relatore Claudio Franscella). Quelle fra cui i deputati erano chiamati a scegliere erano dunque disposizioni quasi identiche, ma erano diversi il contenitore e (almeno sulla carta) le motivazioni.
Il Parlamento cantonale ha preferito fare del divieto una misura di ordine pubblico, rivolgendo la sua attenzione anche a rapinatori e manifestanti violenti e mascherati. E “nessuno in Svizzera ha compiuto rapine in burqa”, ha affermato ancora Pedrazzini.
In Ticino nessuno lo porta, ma si è parlato quasi solo di velo integrale
Il popolare-democratico è stato però uno dei pochissimi oratori a concentrarsi su questo aspetto. Perché gli altri, in realtà, hanno parlato quasi unicamente di velo islamico. Il relatore del rapporto di minoranza, il leghista Stefano Fraschina, ha insistito sulla necessità di “dare un segnale costituzionale, civico e democratico alla popolazione” e come lui quasi tutti gli intervenuti hanno evocato civiltà, cultura occidentale e sottomissione della donna, chi per sostenere la proibizione dell’indumento (Felice Campana per la Lega, Orlando Del Don per l’UDC), chi sottolineando come “il problema del burqa da noi è inesistente” (Francesco Cavalli per il PS). In Ticino le donne che lo portano, se esistono, sono pochissime. Prima del voto popolare “si litigherà per un capo di abbigliamento visto solo in televisione”, ha fatto notare il socialista.
Sulla sua stessa lunghezza d’onda, anche Matteo Quadranti per il PLR, che ha criticato “la volontà di prendersela con chi non si adegua ai nostri usi e costumi”, e Michela Delcò Petralli per i Verdi. Per Matteo Pronzini (MPS), il solo apertamente contrario a entrambe le proposte, sono inoltre ben altre le discriminazioni di cui sono vittime le donne nel cantone, salariali innanzitutto.
Bocciato un ritorno in commissione
Alla fine, democentristi e leghisti hanno optato per l’iniziativa, popolari-democratici e liberali-radicali per il controprogetto insieme a quella parte di sinistra che non si è astenuta. Ecologisti e socialisti avevano tentato in corsa di correggere la definizione degli spazi dove vietare la dissimulazione del volto: i primi con un rinvio in commissione, i secondi (per bocca Pelin Kandemir Bordoli) limitandola agli edifici pubblici e alle manifestazioni nelle vie pubbliche. Ma entrambi non hanno avuto successo.
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