Norman Gobbi, il Governo ticinese è soddisfatto della nuova tabella di marcia del Consiglio federale per l’uscita dal semi-confinamento?
«È sicuramente positivo il fatto che sia stata rivista la posizione iniziale che prevedeva la seconda tappa delle riaperture il 1. aprile. Il Consiglio federale ha deciso di anticiparla al 22 marzo, ma serviranno reali misure di riapertura se la situazione pandemica lo consentirà. La Pasqua, un periodo cruciale per il turismo, è alle porte e la popolazione ha la necessità di riappropriarsi delle proprie libertà».
Le decisioni di Berna non fanno l’unanimità. Lei concorda con il presidente dell’UDC Marco Chiesa, il quale in un’intervista alle testate di Tamedia ha parlato di «dittatura del Consiglio federale»?
«Si tratta di una questione che riguarda il partito nazionale. Il Consiglio di Stato ha fatto presente a Berna le difficoltà del cantone. C’è però una differenza tra sentire e ascoltare: siamo stati capiti, questo sì, ma non compresi. Il timore è che la popolazione non possa più seguire le autorità».
Temete un aumento dell’esasperazione da parte dei cittadini?
«Sì, esasperazione e stanchezza psicofisica. Domani (oggi per chi legge, ndr) sono dodici mesi che il nuovo coronavirus accompagna le nostre vite. Ci sono dei settori che hanno dovuto chiudere, tra prima e seconda ondata, per cinque mesi. È una situazione difficile, e non solo economicamente. Gli aiuti di Stato non sostituiranno mai i guadagni ed è una situazione che diventa psicologicamente difficile da affrontare: qualcuno potrebbe arrivare a mollare tutto, creando un importante danno socioeconomico».
Come sono cambiati i rapporti con il Consiglio federale dalla prima alla seconda ondata? Lo scorso anno, dopo alcune reticenze iniziali, Berna aveva accolto le richieste del Ticino, in prima linea nella lotta alla pandemia.
«I rapporti sono meno intensi, nelle fasi iniziali della prima ondata eravamo solo noi al fronte. Oggi lo è tutto il Paese. Gli occhi che prima erano puntati sul Ticino oggi lo sono sul Consiglio federale, che ha un suo approccio. I Cantoni possono dire la loro, ma è Berna che decide. Dopo che una decisione è stata presa è importante lavorare insieme. A noi spetta il compito di far capire le difficoltà dei diversi settori economici e della popolazione».
Tra i settori più colpiti, economicamente e nel morale, c’è la ristorazione. Il Consiglio federale valuterà una riapertura delle terrazze dei ristoranti già a partire dal 22 marzo e non ha neppure escluso di estendere questa possibilità agli spazi interni.
«Il Consiglio di Stato auspica che si possa arrivare a una riapertura. Consentirla alle sole terrazze, però, è discriminatorio. È preferibile una riapertura generale con il rispetto di un rigoroso piano di protezione. I ristoratori hanno perso la Pasqua e il Natale dello scorso anno oltre a San Silvestro e il Carnevale 2021. Dovesse saltare anche la Pasqua, per molte attività sarà difficile poter riaprire».
Per una Svizzera che gradualmente riapre c’è un’Italia che pian piano richiude, con “zone rosse” a macchia di leopardo a seconda dell’esplosione di nuovi focolai. Uno scenario che preoccupa il Governo?
«Seguiamo con attenzione la situazione al di là del confine. I focolai vanno gestiti correttamente in modo da spegnerli sul nascere. Ci auguriamo che la strategia italiana funzioni così come ha funzionato quella messa in atto dal Ticino per contenere il focolaio legato alla variante inglese a Morbio».
Intervista pubblicata nell’edizione di giovedì 25 febbraio 2021 del Corriere del Ticino