Dal Mattino della Domenica | Presentato il bilancio di attività 2016 del Settore esecuzione pene e misure
“Se quel giorno avessimo dovuto incarcerare una persona in più, avremmo dovuto mettere un materasso per terra”. Un’affermazione di Stefano Laffranchini, Direttore delle strutture carcerarie, che ti mette davanti agli occhi, senza alcun filtro, la situazione che stanno vivendo i carceri ticinesi. Un’affermazione che deve aver reso bene l’idea, vedendo le facce sorprese dei giornalisti presenti alla conferenza stampa di lunedì, nella quale abbiamo presentato il bilancio 2016 del Settore esecuzione pene e misure, ovvero delle Strutture carcerarie cantonali (SCC) e dell’Ufficio dell’assistenza riabilitativa (UAR).
Stefano Laffranchini si riferiva al picco registrato il 14 marzo scorso, di 261 incarcerazioni, quindi a una situazione dell’anno corrente. Ma la media nel bilancio 2016 non si discosta di molto da questo dato. 240 detenuti in media, ovvero 80 in più al giorno rispetto al 2011: questo coincide a uno sforzo esponenzialmente superiore, con ad esempio 500 accessi in più al mese per le visite da gestire, o 240 pasti in più al giorno da preparare, con effettivo immutato.
Un aumento che mette sotto pressione le guardie carcerarie, ma anche i collaboratori dell’UAR, il quale compito principale è far sì che dopo la scarcerazione, non ci sia la recidiva. Ad aggiungersi, per questi ultimi, ci sono inoltre nuovi compiti, come la gestione del braccialetto elettronico (per il quale siamo da una quindicina d’anni un Cantone pilota, ma che sarà ufficialmente introdotto nel 2018), la gestione del lavoro di pubblica utilità e la presa a carico degli autori di casi di violenza domestica.
L’UAR nel 2016 si è occupato di 787 persone in stato di carcerazione (733 uomini e 54 donne), di 153 in stato di libertà e di 81 casi di violenza domestica. Un lavoro che è importante per interrompere la catena “reato – incarcerazione – scarcerazione – recidiva”. L’obiettivo dell’esecuzione della pena dev’essere infatti quello di “promuovere il comportamento sociale del detenuto, in particolare la sua capacità a vivere esente da pena”, come sancito dall’articolo 75 del Codice penale svizzero.
Un momento di particolare pressione quindi, che dobbiamo risolvere il più velocemente possibile. Questo a favore delle nostre guardie carcerarie, che devono poter lavorare in un ambiente che permetta loro di assolvere degnamente le mansioni delicate che caratterizzano la loro professione, ma anche a favore di tutti noi ticinesi, poiché una situazione del genere potrebbe tradursi in una problematica a livello di sicurezza.
Per questo motivo con i funzionari dirigenti del mio Dipartimento stiamo portando avanti due proposte di adeguamento. La prima di tipo logistico, ampliando la Stampa: ciò permetterà di adeguare la sua struttura alle necessità attuali e future, senza dover ricorrere alla costruzione di un nuovo stabile, che avrebbe portato a un maggior dispendio finanziario. Un secondo adeguamento che dovrà essere attuato è a livello di personale, aumentando gli effettivi e adeguandoli alla gestione del maggior numero di detenuti. Si tratterà di una decina di unità in più, ma ciò potrà portare un forte beneficio a tutti. Oltre che sulla quantità, da alcuni anni stiamo lavorando sulla qualità del lavoro delle guardie, cercando di rendere l’ambiente attuale più consono alle necessità dei professionisti del carcere. In quest’ottica colgo l’occasione per ringraziare chi sta lavorando duramente e sotto pressione a favore della sicurezza dei ticinesi.
È quindi importante agire, e farlo subito, per poter continuare a garantire un servizio importante in un settore delicato e sensibile come quello dei carceri e dell’assistenza riabilitativa. Per un Ticino sicuro!
Norman Gobbi
Consigliere di Stato e
Direttore del Dipartimento delle istituzioni