Alla Stampa e alla Farera i detenuti sono in aumento e il sovraffollamento è costante.
L’emergenza spinge la Divisione della giustizia a presentare alcune misure per correre ai ripari: braccialetto elettronico e rientro in servizio degli agenti in pensione, in attesa di una nuova struttura.
«Ogni giorno è un po’ come giocare a Tetris». Una partita infinita, che per il direttore delle strutture carcerarie ticinesi si protrae da oltre un anno, nel tentativo di trovare nuovi spazi per collocare i detenuti. «Un anno di passione», lo definisce in effetti Laffranchini, con una situazione da «tutto esaurito» che è ulteriormente peggiorata negli ultimi due mesi. E per arginare la quale il Dipartimento delle istituzioni si è attivato con una serie di misure.
Ma andiamo con ordine. Attualmente, ci viene spiegato, nel carcere penale della Stampa sono rinchiuse 150 persone, in quello giudiziario della Farera ce ne sono 86 (con appena due posti liberi), mentre allo Stampino, nella sezione aperta, i detenuti sono 34. Numeri elevati, che raccontano di un sovraffollamento delle strutture carcerarie divenuto ormai una costante per il Ticino. «Non può più essere definita una situazione temporanea ed è difficile intravedere un’inversione di tendenza. Ci sono state un paio di inchieste concomitanti, che hanno portato dietro le sbarre un numero maggiore di persone, ma non è solo questo». Già, perché a rendere unico il nostro cantone è soprattutto la posizione geografica. «Siamo un territorio di frontiera e, di conseguenza, dobbiamo fare i conti con una serie di problematiche peculiari, che negli ultimi tempi si sono acuite. Parliamo di furti a cavallo del confine, di traffico di stupefacenti e di tutti i problemi che derivano dalla migrazione ». In generale, osserva Laffranchini, «non c’è stato un aumento della criminalità, ma probabilmente di un certo tipo di reati, per cui si rende necessaria la carcerazione». Ad esempio, un detenuto su due alla Stampa è incarcerato per droga. «Il 40% delle persone è detenuta per aver commesso infrazioni alla Legge federale sugli stupefacenti, un altro 10% per reati indirettamente collegati agli stupefacenti», sottolinea Laffranchini. In questo ambito rientrano ad esempio i furti alle stazioni di benzina, che spesso sono commessi da chi è in cerca di soldi per poter comprare le sostanze, oppure le aggressioni per il controllo del territorio. «Questo non significa certo che siamo un cantone di drogati. Ancora una volta, piuttosto, è conseguenza della nostra posizione geografica, che ci colloca in uno snodo centrale per il traffico di stupefacenti ». Per la stessa ragione, la maggior parte dei detenuti è straniera, soprattutto al carcere giudiziario. «Siamo attorno al 70% alla Stampa, mentre alla Farera tocchiamo il 90%. Ma questo è dovuto anche al fatto che nel carcere giudiziario vengono incarcerate le persone sotto indagine per cui esiste un pericolo di fuga o di recidiva. Un rischio più marcato per chi non è domiciliato qui».
Alla ricerca di spazio
Tutto ciò, fa sì che la situazione nelle strutture carcerarie oggi sia molto complicata. «Ogni giorno – dice Laffranchini – mi confronto con i miei collaboratori e, sulla base di arrivi e partenze nelle nostre strutture, capiamo come agire ». Per far fronte all’emergenza, ci teniamo pronti a recuperare 7 ulteriori posti sfruttando le celle di Polizia per la gestione dei detenuti di Lugano e Mendrisio, riservate ad adulti maggiorenni e in buone condizioni di salute. «Ma chiaramente sarebbe solo una soluzione temporanea», evidenzia il direttore. Non dovesse bastare ancora, si procederebbe al trasferimento dei detenuti in una delle altre strutture detentive del Concordato latino. «Finora è accaduto solo in quattro occasioni, ma anche in questo caso è molto complicato: anche le carceri della Romandia sono al limite, dunque normalmente si procede con uno scambio di detenuti». Insomma, «è urgente trovare una soluzione». Una posizione condivisa anche dal Dipartimento delle istituzioni. Non a caso, il consigliere di Stato Norman Gobbi ha annunciato l’intenzione di portare il tema in Governo. «Prima di tutto quale capo Dipartimento – premette Gobbi – ci tengo a ringraziare tutto il personale e la direzione delle strutture carcerarie cantonali per il grande impegno e il senso di responsabilità che stanno dimostrando in questa situazione che si sta protraendo da mesi». Una situazione «che tocca tutto il settore esecuzione pene, nonché la Magistratura e la Polizia». Nelle prossime settimane, prosegue, «porterò all’attenzione del Governo la situazione e presenterò una serie di misure per farvi fronte».
La Divisione si muove
Una serie di misure che, come ci spiega la direttrice della Divisione della giustizia, Frida Andreotti, si snodano su tre tempi: corto, medio e lungo termine. «In prima battuta abbiamo deciso di coinvolgere tutte le autorità giudiziarie e la Polizia, nell’ottica di alleviare la pressione sulle strutture carcerarie ». In pratica, per il Ministero pubblico si tratta, laddove possibile, di adottare misure sostitutive all’arresto. «Ad esempio, negli ultimi mesi, consci del problema del sovraffollamento, le autorità giudiziarie stanno sfruttando maggiormente l’utilizzo del braccialetto elettronico». Oltre allo spazio, però, c’è anche il problema delle risorse umane. «Tutto il personale è molto sotto pressione», rileva Laffranchini. Non a caso, al carcere giudiziario, dove in situazioni normali è previsto un agente di custodia ogni 15 detenuti, «oggi ci troviamo a gestirne il doppio: 30 detenuti per ciascun agente. E questo porta inevitabilmente a lavorare con maggiore pressione». Insomma, «il contingente attuale non è più sufficiente». Anche perché non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità. «Molti detenuti – spiega il direttore – sono aggressivi o mostrano comportamenti autolesionisti, e questo complica ulteriormente le cose per gli agenti». Per alleviare il carico di lavoro delle guardie carcerarie e, soprattutto, per cercare di reperire più personale, la Divisione della giustizia si è mossa su due fronti. «In primis, abbiamo pensato di reintegrare, tramite contratti a ore, gli agenti di custodia ancora in età non pensionabile che erano già in pensione. In seconda battuta, cercheremo di assumere personale già formato e proveniente da altri cantoni». In aggiunta, «per i compiti svolti dagli agenti di custodia per quanto riguarda i controlli di sicurezza all’esterno del carcere, che quindi nulla hanno a che vedere con la custodia dei detenuti (come ad esempio la ronda esterna del carcere oppure i controlli all’ingresso del palazzo di Giustizia), l’ipotesi è quella di affidare il mandato a società di sicurezza esterne o, in alternativa, agli ausiliari di Polizia». Un capitolo a parte, poi, riguarda la detenzione dei minori, soprattutto dei richiedenti l’asilo, che per legge devono stare in celle singole. «Per cercare di liberare posti, abbiamo rafforzato la collaborazione con il Centro federale d’asilo di Chiasso. In questo modo, non appena ci viene comunicato l’esito dell’esame che viene effettuato per accertarne l’età, se i richiedenti asilo sono maggiorenni possiamo procedere velocemente e gestire meglio gli spazi».
E il nuovo carcere?
A far discutere, però, potrebbe essere un’altra misura, che dovrebbe essere concretizzata di qui a qualche mese. «Per ovviare al problema del sovraffollamento, abbiamo assoluta necessità di creare nuovi spazi. Di conseguenza, sulla scorta di quanto avviene in alcune strutture della Svizzera interna, stiamo valutando di utilizzare alcuni container detentivi». Per contro, sembra tramontata l’ipotesi di trasferire una parte dei detenuti nel carcere Naravazz di Torricella-Taverne, chiuso dal 2013 e oggi utilizzato per alcune esercitazioni di Polizia. «Non è una soluzione percorribile a causa degli ingenti lavori di ristrutturazione che sarebbero necessari», dice Andreotti. A lungo termine, infine, resta il grande tema del nuovo carcere. «La Stampa, lo abbiamo chiarito più volte, è ormai giunta al termine del suo ciclo di vita. Occorre quindi progettare una nuova struttura ». Per il nuovo carcere serviranno tra i 100 e i 150 milioni, «anche se un terzo dei soldi ci verrebbe poi restituito dalla Confederazione», precisa la capo divisione. «Dopo lunghe discussioni, nelle prossime settimane chiederemo al Consiglio di Stato il via libera per riattivare la pianificazione del nuovo carcere di esecuzione pena». In prima battuta, si tratterà di capire dove potrà sorgere: «Sul tavolo ci sono una decina di terreni che avrebbero la metratura necessaria, poi toccherà al Governo decidere. È chiaro, però, che per tutta una serie di ragioni organizzative, il fondo a Cadro, proprio accanto alla Stampa, sarebbe la soluzione più adeguata».
Articolo pubblicato nell’edizione di lunedì 5 febbraio 2024 del Corriere del Ticino