In attesa del benestare del Gran Consiglio per la creazione della nuova sezione alla Stampa, un reportage sul mondo carcerario femminile, in Ticino e in Svizzera
Poco meno di due settimane fa il Consiglio di Stato licenziava il messaggio concernente la realizzazione di una nuova sezione femminile al penitenziario cantonale della Stampa. Ne manca una dal 2006. La nuova ala conterrà 11 celle, tra cui una pensata anche per le detenute con bambini fino ai 3 anni. Se fosse già attiva oggi sarebbe occupata al 90%.
Il progetto passerà ora alle valutazioni del Parlamento. Nell’ottica di una sua probabile approvazione, ci vorrebbero poi 20 mesi per la realizzazione. I piani alti delle strutture carcerari ticinesi si stanno già organizzando. “Abbiamo già reperito, in occasione dell’ultima scuola, delle candidate interessate” dichiara Stefano Laffranchini, direttore delle carceri ticinesi. In particolare – ma non esclusivamente – si cercano dei “candidati di sesso femminile”, a cui si ventila la possibilità di lavorare nel nuovo contesto.
La predilezione per guardie carcerarie femminili è dettata soprattutto da “un’affinità comportamentale e mentale”. Il nuovo contesto richiede infatti competenze specifiche, per cui le impiegate dei penitenziari cantonali si stanno già formando.
Naturalmente l’avvento della nuova sezione non cambierà solamente la giornata alle guardie carcerarie, ma anche e soprattutto quella delle detenute, che potranno godere di maggiore libertà. Oggi “arriviamo a far passare loro fuori dalla cella anche sei ore” – informa Laffranchini – “ma questo non sarà mai paragonabile alle attività che potranno svolgere” una volta accessibile la nuova sezione.
Inoltre, alle recluse sarà offerta la possibilità di lavorare e di svolgere una formazione in carcere; possibilità che, contrariamente agli uomini, sotto il regime più duro della Farera è preclusa.
La testimonianza di Mary, guardia carceraria
“Le donne sono un pochino più impegnative degli uomini a livello di carcerazione” racconta Mary ai microfoni della RSI, guardia carceraria dal 1998. “Sono un po’ più furbe”. Lo dice con cognizione di causa, avendo lavorato anche nella sezione maschile. “Gli uomini si capiscono subito, invece con le donne bisogna andare un po’ più a fondo, bisogna capirne la vita personale”.
La guardia saluta con ottimismo la realizzazione della nuova sezione. “In un carcere misto” infatti, spiega, “ci possono essere dei vantaggi e degli svantaggi: per le donne uno degli svantaggi è che vanno accompagnate ovunque si spostano”. Un ricordo esemplificativo: “era un sabato o una domenica, i detenuti maschi erano fuori per il tempo libero nel prato e io dovevo passare in mezzo a 120 uomini con una donna.”
Una delle molte situazioni per le quali Mary crede che “le donne soffrono un pochino di più in carcere”. “Un uomo che vien incarcerato ha sempre l’idea che fuori c’é la madre che si occupa dei figli; quando invece viene incarcerata una madre i problemi sono maggiori”. Spesso fuori dalla cella non c’è nessuno che si può occupare dei bambini e questi vengono allora internati con la mamma.
“Durante i nove anni che sono stata nella sezione femminile ho avuto tre bambini”, racconta. “Il bambino porta un po’ di allegria in carcere, ma le posso dire che, alla sera quando la cella viene chiusa e il piccolo vuole uscire, ti si stringe il cuore”.
Una voce dal canton Vaud
Qualcuno in Svizzera sta già gestendo una sezione interamente femminile. È il caso di David Lembrée, da due anni direttore del carcere La Tuilière, a Loney nel canton Vaud. “Le differenze tra un carcere femminile e uno maschile sono tali da richiedere addirittura una regolamentazione internazionale”.
Questa stabilisce tutta una serie di esigenze, definite dalle regole di Bangkok, che una struttura carcerarie deve soddisfare per accogliere delle donne, “che spesso sono accompagnate da figli”. In tal senso “posso confermare che il mondo carcerario femminile è molto diverso da quello maschile”.
“Contrariamente agli uomini”, spiega Lembrée, “i tre quarti delle donne in detenzione hanno dei figli fuori o nel carcere”. La detenzioni delle madri con figli poi, pone dei problemi particolari come l’allattamento, la necessità di spazi appositi per i bambini e la loro successiva integrazione sociale durante la crescita.
Il reinserimento sociale riguarda però anche le recluse. “Noi insistiamo soprattutto sul rapporto col nucleo famigliare e i figli, e questo prima ancora di un reinserimento professionale” dice il direttore. Senza una precedente integrazione famigliare, “questa persona avrà decisamente maggiori difficoltà a reintegrarsi a livello sociale”.
Da www.rsi.ch/news