Da laRegione | ‘La legge federale va rispettata, ma il pregresso storico del nostro Cantone va tenuto in conto’
«Si è deciso di mantenere il sistema autorizzativo, questo è quanto». Ergo: nessuno stravolgimento rispetto a oggi, indica il consigliere di Stato Norman Gobbi dopo aver discusso di canapa e relativa legge con il Consiglio di Stato nella seduta di ieri. L’indirizzo attuale è confermato e «a breve» seguirà un aggiornamento delle norme. “In attesa dei necessari approfondimenti – scrive il governo – è stata riaffermata la volontà di mantenere un alto livello di vigilanza, con misure di controllo e sanzioni importanti in caso di abusi”. Cosa significa? «Che non si liberalizza», risponde alla ‘Regione’ il direttore del Dipartimento delle istituzioni. Bensì autorizzazione necessaria «anche per la coltivazione della canapa a basso valore di Thc», la cosiddetta canapa light. Un regime autorizzativo significa mettere in difficoltà chi intende coltivare e commercializzare la canapa light? «No. Bisogna unicamente avere un’autorizzazione. Vale lo stesso principio, se mi è permesso, in ambito di prostituzione: attività legale dal punto di vista federale, ma che necessita dal punto di vista cantonale di una regolamentazione volta ad evitare devianze, come successo in passato. È meglio controllare preventivamente un settore che esercitare una repressione». Significa sapere a priori, ad esempio, dove sono le coltivazioni di canapa anziché muoversi sul territorio per trovarle e di conseguenza controllare se sono rispettate le condizioni poste dalla legislazione federale. «Vanno compresi due aspetti – rileva ancora Gobbi –: sì, siamo un Cantone inserito in un sistema federale, e quindi la legge federale dobbiamo rispettarla (legge che sancisce la legalità del consumo e del commercio della canapa light, ndr); dall’altra parte però è innegabile il pregresso storico del nostro Cantone, che ci ha insegnato come l’evoluzione del fenomeno canapa a Sud delle Alpi ha avuto conseguenze non riscontrabili in altre parti della Confederazione». Ciò ritenuto, sia per il Dipartimento che per il governo «è opportuno dire ‘sì’ al riconoscere un nuovo tipo di approccio dell’autorità federale, ma ‘no’ al ‘liberi tutti’».
Meglio prevenire che reprimere
A Nord delle Alpi l’approccio è differente. Di ieri la notizia che anche Bienne, dopo Berna e Lucerna, sperimenterà il progetto di vendita legalizzata di cannabis in farmacia. Segno che il vento che tira in seno alle istituzioni è ben diverso da quello in Ticino, dove alcuni Comuni si sono già mossi per evitare il proliferare di questa attività… «Noi abbiamo un mercato di riferimento diverso, che non è quello di Bienne – ribatte Gobbi –: è quello della Lombardia, con 10 milioni di abitanti ed altre prerogative, perché lì il regime è ancora più restrittivo rispetto a quanto avviene da noi. È quindi importante mantenere questo equilibrio tra una libertà data dal diritto federale e una necessità di vigilanza che a Sud delle Alpi è più presente che nel resto della Svizzera. In questo settore così come in altri: ho detto della prostituzione, è così anche in ambito di fiduciari… Siamo sottoposti a un altro tipo di devianze che è meglio curare in maniera preventiva che repressiva». Alcuni enti locali si sono mossi autonomamente. “I Comuni – ha puntualizzato il ministro ai microfoni della Rsi – dovranno fare attenzione a legiferare nei loro ambiti, così come fa il Cantone. Evitando di essere fin troppo restrittivi”. Il Circa (vedi sotto) intende rivolgersi alla Comco per violazione della legge sul mercato interno. Il Dipartimento teme delle conseguenze? «Credo che la bonifica del piano di Magadino sia stata fatta per la coltivazione di ortofrutta, non di canapa – risponde ancora il direttore –. Di conseguenza credo che occorra un controllo di un’attività comunque legale ma che non deve diventare l’attività principale del cantone». Ci sarebbe il rischio? «Beh, se guardo alcuni segnali sì. Come è successo in passato del resto! Se il Canton Ticino è stato l’unico Cantone a legiferare in materia, è perché qui c’è stata un’evoluzione che in altre parti della Svizzera non c’è stata. E di conseguenza, se il Canton Ticino ha posto dei paletti più stretti è perché alcuni ticinesi hanno pensato bene di approfittarne».
(Articolo di Andrea Manna e Chiara Scapozza)