Da laRegione | Simpatizzanti dell’Isis in Ticino, Gobbi: nessuna paura, ma servono integrazione e intelligence La condanna dell’indottrinatore svela un contesto preoccupante. ‘Dalle moschee mi aspetto più trasparenza. Dicevano di non essere state controllate, invece…’
«Beh – commenta il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi –, spesso i lupi indossano il vello da agnelli». Anche in Ticino. Perché dalle pagine dell’atto d’accusa che venerdì ha condannato a due anni e mezzo il 32enne indottrinatore di Lugano emerge un sottobosco preoccupante: nelle sue opere di proselitismo in favore del gruppo jihadista Al-Nusra, l’ex agente di sicurezza della Argo 1 ha incontrato – anche in locali pubblici del Luganese – una decina di persone interessate all’estremismo. Alcune di esse, tra le quali spicca un ex candidato alle Comunali di Lugano, non nascondevano di simpatizzare per l’Isis. Persone che potremmo sovente giudicare ‘normali’: spesso figli o nipoti di immigrati ben inseriti nella società, forse con una famiglia e di sicuro a piede libero. Sono tra noi. Magari seduti la mattina nel tavolo accanto a bere il caffè. «Pure diversi ‘foreign fighter’ partiti per Siria o Iraq avevano un simile profilo. Ciò dimostra – dice Gobbi alla ‘Regione’ – che anche se si nasce e si cresce qui, può essere necessario un lavoro di integrazione. La fragilità umana si presta ad agevolare queste situazioni».
L’integrazione è però un lungo percorso. Questi potenziali ‘lupi’ sono invece tra di noi già oggi. Che fare?
Si prenda l’inchiesta sfociata nell’arresto del cosiddetto indottrinatore di Lugano. Non è stata frutto del caso, ma figlia del lavoro di intelligence svolto dalla Polizia cantonale in collaborazione con la Fedpol. È quindi importante permettere alle forze dell’ordine di poter svolgere questo tipo di attività. Ma gli strumenti legislativi sono insufficienti, compreso il Codice di procedura penale troppo tutelante.
E quindi?
Quindi come Cantoni stiamo lavorando con Berna a una modifica dei codici, in modo di disporre di più mezzi per la lotta contro le organizzazioni criminali e quelle legate al terrorismo. La base legale prevista per ‘reati normali’ è troppo debole.
Altri mezzi che mireranno a potenziare la sorveglianza?
Certo. Anche se quando si parla di sorveglianza, spesso la mente corre alle schedature. Oggi però la situazione è diversa. Da un lato perché informazioni sul nostro conto sono già in circolazione: basta pagare con la carta in un centro commerciale. D’altro canto c’è un interesse collettivo a tutelarsi da simili devianze.
Devianze che spesso superano i confini cantonali e nazionali. L’inchiesta che ha portato in carcere il 32enne si riallaccia a casi italiani.
È vitale che i nostri collaboratori abbiano buoni contatti anche a sud del confine. Spesso critico le relazioni con l’Italia, ma nell’ambito della sicurezza fortunatamente la collaborazione funziona e dà ottimi risultati. D’altronde gli obiettivi sono gli stessi: per loro che non scappino e non si rifugino in un ‘puerto escondido’ ticinese; per il Ticino che non arrivino sul territorio certi personaggi.
E la collaborazione con i musulmani?
L’ho già detto: sarei contento di ricevere una segnalazione da chi è attivo nelle moschee. Quando però a febbraio ha avuto luogo il blitz che ha portato all’arresto dell’indottrinatore, la Lega dei musulmani ha negato di aver subito controlli. Dagli atti del processo è invece emerso che la sede è stata perquisita. Se vogliono ottenere la fiducia che richiedono, è necessario che adottino un approccio più trasparente. Su questo punto sono abbastanza duro. Anzi, non abbastanza duro: sono duro. Punto.
Concludendo Gobbi, dobbiamo avere paura dei lupi?
Il pericolo zero non esiste. Non penso però che si debba aver paura. La Svizzera non risulta come obiettivo principale. Può tuttavia essere una piattaforma di reclutamento per la diffusione di tali ideologie o per il loro finanziamento, come lo è stato in passato per altri tipi di terrorismo. E poi attenzione: vicino a noi ci sono luoghi problematici. Penso per esempio alla Moschea di Varese, dove sono passati personaggi pericolosi.
(Articolo di Paolo Ascierto)