Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 17 dicembre 2020 de La Regione
Bellinzona risponde al Consiglio federale e chiede controlli alle frontiere
“Ogni modifica, seguita a breve da nuovi provvedimenti, genera necessità di chiarimenti e di discussioni con le categorie professionali interessate. Nondimeno, la popolazione fa comprensibilmente fatica a rimanere aggiornata sul quadro normativo in vigore. È invece essenziale l’adesione dei cittadini alle misure, affinché queste producano effetto”. È percepibile il disappunto del governo ticinese che si può leggere nella lettera di risposta alla seconda consultazione promossa dal Consiglio federale su eventuali e ulteriori misure per combattere la diffusione del coronavirus. Misure che entrerebbero in vigore verosimilmente, stando almeno da quanto si evince dal documento, dal prossimo 28 dicembre. Solo una settimana fa, infatti, sono state adottate le disposizioni in vigore, in particolare la chiusura alle 19 di bar e ristoranti. L’evoluzione epidemiologica di allora era analoga all’odierna, ricorda il Consiglio di Stato. Che puntualizza: “È notorio che occorrono all’incirca due settimane per percepire gli effetti delle misure. Di conseguenza sarebbe stato più adeguato presentare congiuntamente le due revisioni”.
Il governo cantonale critica in particolare la proposta di Berna di “decretare la chiusura degli esercizi della ristorazione, il 28 dicembre, nell’imminenza del Capodanno e della relativa pianificazione da parte degli esercenti”. “Anche le nazioni a noi vicine, oltre ad aver adottato prescrizioni più rigorose in risposta ai maggiori contatti sociali durante le festività, hanno in ogni caso già definito un regime unitario per tutto il periodo”, prosegue la missiva. Ad ogni modo, ribadisce il Consiglio di Stato, “le prospettate nuove restrizioni, devono essere accompagnate da un incremento ulteriore delle misure di sostegno finanziario da parte della Confederazione, come durante la prima ondata, alle aziende e ai settori economici colpiti”. La Confederazione è inoltre invitata a contribuire “a limitare la diffusione del virus agendo anche negli ambiti di sua competenza: introducendo limitazioni sui trasporti pubblici, da sempre una delle situazioni più affollate e critiche, così come controlli alla frontiera”. Il Ticino, come altri Cantoni, chiede a Berna di dichiarare lo stato di situazione straordinaria. “L’accentramento della gestione della crisi presso l’autorità federale non impedisce di tener conto delle posizioni e delle differenze tra i Cantoni, ma consente una condotta lineare e unitaria’’.
‘No ai negozi chiusi il sabato’
In merito ai pacchetti di misure proposti da Berna, il Consiglio di Stato li trova nel complesso coerenti e proporzionati tra loro. In particolare – stando alla risposta fornita dal Dipartimento sanità e socialità alla consultazione indetta dalla Conferenza dei direttori cantonali della sanità – il primo pacchetto prospettato corrisponde alle misure già attuate nella maggior parte dei Cantoni romandi, dove la chiusura degli esercizi pubblici nonché delle strutture dello sport, la cultura e il tempo libero ha dato prova di efficacia. Sono questi, stando alla letteratura scientifica, i contesti a più alto rischio di diffusione di contagi. Il governo ticinese si distanzia però dall’ipotesi di vietare anche ai più giovani la pratica di attività sportive in locali chiusi. Ed esprime dubbi su un’ulteriore riduzione delle capacità di accoglienza dei negozi. Il rischio paventato è quello di assembramenti all’esterno degli stessi. Per questo si chiede che il contingentamento ulteriore delle entrate venga accompagnato dall’obbligo di mettere a disposizione personale di sicurezza.
Si chiede infine di soprassedere alla prospettata chiusura dei negozi e delle altre strutture accessibili il sabato. Meglio, per il Consiglio di Stato, promuovere la protezione specifica dei lavoratori vulnerabili così come le azioni informative volte a diffondere l’invito a rimanere a casa. In merito alle due varianti sulla chiusura dei negozi, la seconda proposta dal Consiglio federale “non sarebbe una chiusura salvo eccezioni, ma il contrario”. Ad ogni modo, “questa misura radicale non dovrebbe risultare necessaria per più di qualche settimana”. Difficilmente praticabile la prima alternativa, ovvero valutare le chiusure in funzione della quota di cifra d’affari realizzata sulla vendita di generi alimentari.
‘Piste sci, regole uguali per tutti’
Occhi puntati anche sulle stazioni sciistiche: il Consiglio di Stato preferisce, se del caso, direttive per l’intera Svizzera. “Per quanto concerne i comprensori sciistici, siamo dell’avviso che eventuali nuove regole e decisioni debbano essere unificate a livello federale a prescindere dall’evoluzione epidemiologica nelle singole regioni – scrive il governo ticinese –. Eventuali differenze nelle condizioni di esercizio potrebbero infatti generare spostamenti eccessivi di praticanti dello sci tra i diversi Cantoni e inopportune concentrazioni di appassionati in alcuni comprensori. Semmai, secondo il principio di proporzionalità, occorrerebbe innanzitutto limitare l’afflusso alle piste, favorendo gli abbonati stagionali, i domiciliati nel Cantone e gli ospiti che pernottano nella regione”. D’altronde, ricorda il presidente del Consiglio di Stato e capo del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi, interpellato dalla ‘Regione’, «se bisogna limitare gli spostamenti per contrastare la diffusione del virus, non avrebbe alcun senso chiudere le stazioni invernali in un cantone e lasciarle aperte in un altro, magari quelle di un cantone limitrofo, facilmente raggiungibile».
La scorsa settimana Gobbi e il segretario generale del Dipartimento Luca Filippini, presidente del Gruppo di lavoro ‘Grandi manifestazioni’ hanno incontrato i responsabili delle stazioni sciistiche ticinesi. Una riunione, spiegava il governo, “per fare il punto della situazione sull’implementazione dei piani di protezione voluti dal Consiglio federale e vincolanti all’ottenimento dell’autorizzazione all’apertura accordata dal gruppo di lavoro ‘Grandi manifestazioni’”. Diverse stazioni a sud delle Alpi hanno intanto già aperto sabato 12. «Lo hanno fatto nel rispetto dell’ordinanza federale del 4 dicembre che prevede un regime transitorio e sono tra quelle che ci hanno trasmesso entro venerdì scorso la richiesta e i relativi piani di protezione per l’ottenimento dell’autorizzazione cantonale – spiega Filippini –. Già il giorno prima dell’apertura sono stati eseguiti controlli per la verifica della messa in atto delle misure di protezione in questa fase transitoria. Stiamo evadendo le varie richieste. Le stazioni autorizzate dovranno chiaramente impegnarsi ad applicare il piano di protezione. Se non dovesse essere il caso, l’autorizzazione potrebbe essere revocata. Ci saranno controlli». Le stazioni sciistiche restano però pronte ad accogliere i clienti: «Il nostro personale sta preparando tutte le piste», dice Giovanni Frapolli, proprietario degli impianti turistici di Bosco Gurin. «Se poi dovremo chiudere lo faremo con la consapevolezza che riceveremo degli aiuti. L’importante è riuscire a coprire i costi fissi». La stazione ha aperto il weekend scorso in forma ridotta e accoglierà un massimo di mille avventori al giorno. Apertura ‘light’ pure per Airolo: «Lo scorso weekend ha permesso ai nostri dipendenti di familiarizzarsi con altre mansioni» afferma il direttore Mauro Pini, che indica un possibile tetto massimo di mille persone e la riservazione dell’orario della cabina per gestire gli arrivi nelle prossime settimane.