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Servizio all’interno dell’edizione di giovedì 8 settembre 2022 de Il Quotidiano
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Vita da nomade in Svizzera: ‘Viaggiare ce l’abbiamo nel sangue’
Fino a domenica in zona Seghezzone a Giubiasco possibilità per la popolazione di scoprire cultura e tradizioni delle comunità jenisch, sinti e manouches.
Norman Gobbi e Mario Branda ribadiscono l’impegno del Cantone e della Città di Bellinzona per individuare una soluzione duratura e più confacente all’area di sosta provvisoria per nomadi, dal 2012 a disposizione in zona Seghezzone a Giubiasco ma solamente da marzo a ottobre. Lo hanno fatto ieri in occasione dal lancio dell’evento di porte aperte – in programma fino a domenica 11 settembre – voluto per dare la possibilità alla popolazione ticinese di conoscere la cultura della comunità svizzera jenisch, sinti e manouches, che generalmente è presente a Giubiasco con una dozzina di roulotte.
Fino a domenica in zona Seghezzone a Giubiasco possibilità per la popolazione di scoprire cultura e tradizioni delle comunità jenisch, sinti e manouches.
Norman Gobbi e Mario Branda ribadiscono l’impegno del Cantone e della Città di Bellinzona per individuare una soluzione duratura e più confacente all’area di sosta provvisoria per nomadi, dal 2012 a disposizione in zona Seghezzone a Giubiasco ma solamente da marzo a ottobre. Lo hanno fatto ieri in occasione dal lancio dell’evento di porte aperte – in programma fino a domenica 11 settembre – voluto per dare la possibilità alla popolazione ticinese di conoscere la cultura della comunità svizzera jenisch, sinti e manouches, che generalmente è presente a Giubiasco con una dozzina di roulotte.
Tra i 2mila e 3mila itineranti
Secondo i dati dell’Ufficio federale della cultura (Ufc), nel nostro Paese vivono circa 30mila persone di questa origine. Tra i 2mila e i 3mila conducono una vita itinerante: trascorrono l’inverno in un’area di sosta, mentre dalla primavera all’autunno sono in viaggio con le proprie roulotte e si fermano in aree di passaggio per fare visita ai clienti. Nonostante solo una piccola minoranza abbia ancora l’abitudine di spostarsi, il nomadismo continua a rappresentare un elemento fondamentale dell’identità culturale jenisch e sinti. «La libertà e il viaggiare è qualcosa di profondo, che abbiamo nel sangue», dice Eva Moser, jenisch svizzera cresciuta in Ticino dove ha frequentato la prima elementare a Gorduno. «Fin da bambina con la mia famiglia ci spostavamo e vivevamo una vita nomade. A scuola mi davano i compiti che riportavo al docente ogni due settimane». Da oltre trent’anni Eva ha lasciato il Ticino e oggi vive nell’area di sosta permanente nei pressi di Coira, fino a qualche anno fa insieme al marito che svolgeva varie attività di artigianato, in particolare si dedicava al processo di trattare la superficie di padelle, casseruole o altri oggetti in rame per la cottura. «Tanti alberghi erano suoi clienti. Da quando lui non c’è più sono fissa nei Grigioni dove vivo insieme ad altre sette famiglie. Un contesto di grande solidarietà, in cui ci si aiuta l’uno con l’altro». Eva Moser mette l’accento sull’occasione data dall’evento a Giubiasco (tutto il programma sul sito web del Dipartimento delle istituzioni) per incentivare una soluzione stabile e confacente, e quindi un’area permanente aperta tutto l’anno dotata anche di elettricità e servizi igienici (oggi al Seghezzone c’è solo l’allacciamento all’acqua corrente). «Ma in questi giorni ci sarà anche l’opportunità per rendersi conto che è per noi è importante che la popolazione sappia distinguere i vari popoli nomadi, con razionalità, tradizioni e cultura differenti. Spesso c’è infatti la tendenza a generalizzare quando magari succedono episodi spiacevoli o qualcuno si comporta male». Rispetto al passato, l’offerta di aree di sosta e di passaggio è diminuita in misura notevole. Ciò vale per la maggioranza delle regioni, e in particolare per la Svizzera occidentale, orientale e meridionale. E per queste comunità trovare spazi dove potersi fermare è sempre più difficile. «Ancora oggi ci sono tanti giovani che portano avanti questa tradizione e non credo dunque che in futuro scomparirà l’abitudine di viaggiare della comunità jenisch. È tuttavia fondamentale che ci siano zone apposite per permetterlo, e quindi per quanto riguarda il Ticino mi rallegro di fronte alle rassicurazioni fornite oggi dal sindaco Branda e dal consigliere Gobbi».
Secondo i dati dell’Ufficio federale della cultura (Ufc), nel nostro Paese vivono circa 30mila persone di questa origine. Tra i 2mila e i 3mila conducono una vita itinerante: trascorrono l’inverno in un’area di sosta, mentre dalla primavera all’autunno sono in viaggio con le proprie roulotte e si fermano in aree di passaggio per fare visita ai clienti. Nonostante solo una piccola minoranza abbia ancora l’abitudine di spostarsi, il nomadismo continua a rappresentare un elemento fondamentale dell’identità culturale jenisch e sinti. «La libertà e il viaggiare è qualcosa di profondo, che abbiamo nel sangue», dice Eva Moser, jenisch svizzera cresciuta in Ticino dove ha frequentato la prima elementare a Gorduno. «Fin da bambina con la mia famiglia ci spostavamo e vivevamo una vita nomade. A scuola mi davano i compiti che riportavo al docente ogni due settimane». Da oltre trent’anni Eva ha lasciato il Ticino e oggi vive nell’area di sosta permanente nei pressi di Coira, fino a qualche anno fa insieme al marito che svolgeva varie attività di artigianato, in particolare si dedicava al processo di trattare la superficie di padelle, casseruole o altri oggetti in rame per la cottura. «Tanti alberghi erano suoi clienti. Da quando lui non c’è più sono fissa nei Grigioni dove vivo insieme ad altre sette famiglie. Un contesto di grande solidarietà, in cui ci si aiuta l’uno con l’altro». Eva Moser mette l’accento sull’occasione data dall’evento a Giubiasco (tutto il programma sul sito web del Dipartimento delle istituzioni) per incentivare una soluzione stabile e confacente, e quindi un’area permanente aperta tutto l’anno dotata anche di elettricità e servizi igienici (oggi al Seghezzone c’è solo l’allacciamento all’acqua corrente). «Ma in questi giorni ci sarà anche l’opportunità per rendersi conto che è per noi è importante che la popolazione sappia distinguere i vari popoli nomadi, con razionalità, tradizioni e cultura differenti. Spesso c’è infatti la tendenza a generalizzare quando magari succedono episodi spiacevoli o qualcuno si comporta male». Rispetto al passato, l’offerta di aree di sosta e di passaggio è diminuita in misura notevole. Ciò vale per la maggioranza delle regioni, e in particolare per la Svizzera occidentale, orientale e meridionale. E per queste comunità trovare spazi dove potersi fermare è sempre più difficile. «Ancora oggi ci sono tanti giovani che portano avanti questa tradizione e non credo dunque che in futuro scomparirà l’abitudine di viaggiare della comunità jenisch. È tuttavia fondamentale che ci siano zone apposite per permetterlo, e quindi per quanto riguarda il Ticino mi rallegro di fronte alle rassicurazioni fornite oggi dal sindaco Branda e dal consigliere Gobbi».
Arrotini, ombrellai e venditori ambulanti
La maggior parte di jenisch e sinti svizzeri non sedentari trascorre l’inverno in un’area di sosta all’interno di roulotte, chalet in legno o container. Le famiglie sono registrate presso i rispettivi Comuni e i figli frequentano le scuole locali. Perlopiù attivi come lavoratori indipendenti, esercitano spesso mestieri tradizionali: arrotini, ombrellai, cestai, braccianti, baracconisti, venditori ambulanti, artisti). Svolgono parallelamente varie attività artigianali. Durante i mesi estivi, si spostano in piccoli gruppi sul territorio nazionale fermandosi per una o due settimane nelle aree di passaggio da dove raggiungono i propri clienti. In questo periodo, i bambini si fanno inviare i materiali didattici dalla propria scuola e spediscono ai loro insegnanti i compiti da correggere. «L’attività lavorativa è un fattore principale che da sempre detta lo spostamento di queste comunità, storicamente abituate a svolgere professioni itineranti – spiega Rosalita Giorgetti-Marzorati dell’Ufficio federale della cultura (Ufc) –. Spostamento che fa tuttavia parte della loro cultura in maniera più profonda, tra tradizione e necessità». Giorgetti-Marzorati ricorda che queste comunità di nomadi svizzere sono riconosciute dalla Confederazione come una minoranza nazionale e che quindi vengono sostenute per consentirle di vivere in modo consono alla loro cultura. «Sono già stato a Giubiasco nelle scorse estati visto che ho alcuni clienti in Ticino – ci dice un ospite dell’area, di professione arrotino –. Sono nato a Stans da una famiglia jenisch, e fin da bambino ho viaggiato in giro per la Svizzera insieme a genitori e fratelli. Per la nostra comunità è importante mantenere un’area di sosta in Ticino dopo la chiusura nel 2012 di quella del Monte Ceneri. Durante l’anno partecipo a fiere e mercati dell’artigianato e riesco a guadagnare abbastanza per vivere. Anche se ammetto che non è facile lavorare in proprio, senza farsi pubblicità».
Nel garantire il sostegno della Città (che con l’aggregazione ha mantenuto l’impegno assunto a suo tempo dal Comune di Giubiasco) al fine di giungere a una soluzione definitiva, il sindaco Mario Branda – sottolineando come in questi anni non vi siano stati problemi dovuti alla presenza dei nomadi a Giubiasco – ha espresso l’auspicio che l’evento possa permettere alla cittadinanza di avvicinarsi e scoprire questa realtà e sfatare pregiudizi mal riposti. Dello stesso avviso il consigliere di Stato nonché direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, il quale ha evidenziato l’ottima collaborazione in questi anni tra il Cantone, la Fondazione ‘Un futuro per i nomadi svizzeri’ e l’Associazione jenisch, sinti e manouches svizzeri. Le opzioni per un area permanente sono attualmente due: consolidare quella al Seghezzone – dove però il Cantone sta valutando se costruzione due nuove scuole – oppure un terreno lungo l’A2 di proprietà dell’Ufficio federale delle strade.
La maggior parte di jenisch e sinti svizzeri non sedentari trascorre l’inverno in un’area di sosta all’interno di roulotte, chalet in legno o container. Le famiglie sono registrate presso i rispettivi Comuni e i figli frequentano le scuole locali. Perlopiù attivi come lavoratori indipendenti, esercitano spesso mestieri tradizionali: arrotini, ombrellai, cestai, braccianti, baracconisti, venditori ambulanti, artisti). Svolgono parallelamente varie attività artigianali. Durante i mesi estivi, si spostano in piccoli gruppi sul territorio nazionale fermandosi per una o due settimane nelle aree di passaggio da dove raggiungono i propri clienti. In questo periodo, i bambini si fanno inviare i materiali didattici dalla propria scuola e spediscono ai loro insegnanti i compiti da correggere. «L’attività lavorativa è un fattore principale che da sempre detta lo spostamento di queste comunità, storicamente abituate a svolgere professioni itineranti – spiega Rosalita Giorgetti-Marzorati dell’Ufficio federale della cultura (Ufc) –. Spostamento che fa tuttavia parte della loro cultura in maniera più profonda, tra tradizione e necessità». Giorgetti-Marzorati ricorda che queste comunità di nomadi svizzere sono riconosciute dalla Confederazione come una minoranza nazionale e che quindi vengono sostenute per consentirle di vivere in modo consono alla loro cultura. «Sono già stato a Giubiasco nelle scorse estati visto che ho alcuni clienti in Ticino – ci dice un ospite dell’area, di professione arrotino –. Sono nato a Stans da una famiglia jenisch, e fin da bambino ho viaggiato in giro per la Svizzera insieme a genitori e fratelli. Per la nostra comunità è importante mantenere un’area di sosta in Ticino dopo la chiusura nel 2012 di quella del Monte Ceneri. Durante l’anno partecipo a fiere e mercati dell’artigianato e riesco a guadagnare abbastanza per vivere. Anche se ammetto che non è facile lavorare in proprio, senza farsi pubblicità».
Nel garantire il sostegno della Città (che con l’aggregazione ha mantenuto l’impegno assunto a suo tempo dal Comune di Giubiasco) al fine di giungere a una soluzione definitiva, il sindaco Mario Branda – sottolineando come in questi anni non vi siano stati problemi dovuti alla presenza dei nomadi a Giubiasco – ha espresso l’auspicio che l’evento possa permettere alla cittadinanza di avvicinarsi e scoprire questa realtà e sfatare pregiudizi mal riposti. Dello stesso avviso il consigliere di Stato nonché direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, il quale ha evidenziato l’ottima collaborazione in questi anni tra il Cantone, la Fondazione ‘Un futuro per i nomadi svizzeri’ e l’Associazione jenisch, sinti e manouches svizzeri. Le opzioni per un area permanente sono attualmente due: consolidare quella al Seghezzone – dove però il Cantone sta valutando se costruzione due nuove scuole – oppure un terreno lungo l’A2 di proprietà dell’Ufficio federale delle strade.
Articolo pubblicato nell’edizione di venerdì 9 settembre 2022 de La Regione