Intervista pubblicata nell’edizione di martedì 10 marzo 2020 del Corriere del Ticino
Buona la prima? Non proprio. Il debutto con le nuove regole per attraversare la frontiera ha generato qualche malumore.
A chi toccava verificare che sulle auto in arrivo dall’Italia vi fossero regolari frontalieri con regolare permesso G e magari anche una dichiarazione da parte del datore di lavoro?
Ne abbiamo parlato con il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi.
Il serpentone dei frontalieri oggi sembrava scorrere senza alcun controllo alla frontiera. Giusto così?
«Per quanto riguarda le attività di controllo al valico l’autorità competente è l’Amministrazione federale delle dogane. La Polizia cantonale, con la collaborazione delle polizie comunali, ha istituito su tutta la fascia di confine retrostante dei posti di controllo. Le persone sprovviste di permesso di lavoro valido vengono fatte rientrare in Italia. A titolo informativo, questa mattina dopo le 8 si è riscontrata una diminuzione del traffico del 25%».
I posti di blocco, il cosiddetto «monitoraggio» indicato dal Consiglio federale, è a esclusivo appannaggio della Polizia cantonale?
«No. In primo luogo dovrebbe essere effettuato dalle autorità italiane sul lato sud e dalle guardie di confine sul versante svizzero. La polizia interviene in modo complementare con dei controlli sulla fascia di confine all’interno del territorio. In quest’ambito evidenziamo che la polizia non può operare direttamente sul valico».
La polizia cantonale ha i mezzi necessari per eseguire un filtro tanto impegnativo?
«Il lavoro deve essere concertato in primis tra le autorità di frontiera dei due Paesi. La Polizia cantonale, in collaborazione con le comunali, fornisce supporto tenendo conto delle quotidiane attività legate alla sicurezza del territorio cantonale. Evidentemente si mettono delle priorità alla gestione dell’attività ordinaria».
Ma il controllo, vista l’allerta sanitaria, può avvenire a campione o deve essere eseguito su tutti i veicoli provenienti dall’Italia?
«Le direttive al momento non prevedono un controllo sistematico di tutti i veicoli in entrata sul nostro territorio, anche perché – come detto – non è di competenza della Polizia cantonale il controllo alle frontiere. Il controllo a campione viene effettuato per limitare i disagi sulle strade».
Non è il momento di polemizzare, ma non crede che queste maglie eccessivamente larghe finiscano per generare insicurezza?
«Non occorre polemizzare. La decisione adottata domenica dall’autorità federale è quella di assicurare il controllo nel modo più efficace. La Polizia ticinese si impegna per fornire il suo contributo in un’attività che in primo luogo è di competenza delle autorità federali. Da questa mattina le autorità di polizia italiane saranno anch’esse attive sulla fascia di confine nei controlli in entrata e uscita dal loro Paese, creando così una sorta di doppio filtro con il nostro».
Sembra contraddittorio: da una parte ai cittadini viene detto di rispettare rigorosamente tutte le norme sanitarie a carattere preventivo, d’altro canto non si agisce in maniera conseguente con cittadini che vengono accolti per questioni professionali sul nostro territorio. Condivide?
«La situazione è seria e impegnativa. Per questo motivo, come più volte detto, si fa affidamento al comportamento e alla responsabilità del singolo. Inoltre, le misure preventive sono ben conosciute e valide in entrambi i territori di riferimento».