Decreto d’abbandono contro l’agente che fermò con l’arma un richiedente l’asilo
Era il 7 ottobre di due anni fa e per la Polizia cantonale quel giorno è stato molto pesante: un agente nel corso di un intervento notturno in un appartamento a Brissago aveva dovuto far uso della sua arma d’ordinanza, allo scopo di proteggere le altre persone presenti e sé stesso, uccidendo un richiedente l’asilo. In questi casi spesso scoppia la polemica, con una parte (minima) dell’opinione pubblica che si scaglia contro le forze dell’ordine. Ed è stato così anche in quell’occasione. Polemiche inutili, soprattutto davanti a casi drammatici, strumentalizzate solo allo scopo di colpire la direzione della Polizia e del Dipartimento a fini politici.
Martedì scorso è arrivata finalmente la decisione penale sul caso: il Ministero pubblico ha emanato un decreto di abbandono nei confronti dell’agente che era stato inchiestato per omicidio intenzionale. “Ho ricevuto notizia proprio pochi minuti prima che incontrassi le e gli aspiranti che stanno seguendo la Scuola cantonale di Polizia, ci dice il Consigliere di Stato Norman Gobbi. Donne e uomini che saranno chiamati con i loro colleghi a garantire la nostra sicurezza. Ho parlato di quanto era successo quel 7 ottobre. Della difficile situazione con in cui si era trovato il loro collega. Della scelta, proprio quale ultima ratio, di far uso dell’arma. E dell’importanza di avere una preparazione adeguata per affrontare anche quegli istanti, che – fortunatamente – non avvengono tutti i giorni. Della soddisfazione, poi, per l’esito dell’inchiesta che ha confermato come l’agente abbia agito in modo corretto e proporzionale per la difesa della propria vita e quella delle altre persone coinvolte in quella drammatica circostanza. La decisione del Ministero pubblico segue un’accurata indagine che da subito avevamo messo nelle mani degli specialisti della Polizia cantonale di Zurigo. Volevamo che non ci fosse alcuna ombra su possibili rischi di inquinamento delle indagini. Quel giorno stesso, esprimendo il cordoglio per la vittima, avevo però anche espresso – unitamente al comandante Cocchi – la mia convinzione sulla proporzionalità dell’intervento dell’agente. E questo perché conosco la preparazione impartita ai nostri poliziotti. Sanno che l’uso dell’arma deve essere davvero l’ultima possibilità per risolvere un conflitto violento in cui la vita viene messa in pericolo. Il Ticino non è il far-west, ebbi a dire in quella circostanza. Lo confermo, ben sapendo che dovremo sempre puntare sulla preparazione degli agenti, sulla loro formazione prima di entrare in funzione e durante la loro carriera all’interno del Corpo. E ben sapendo che dietro ogni divisa vi è una donna e vi è un uomo che deve fare delle valutazioni in poche frazioni di secondo, che meritano il nostro pieno rispetto”.