Opinione di Battista Ghiggia pubblicata nell’edizione di sabato 27 luglio 2019 del Corriere del Ticino
Il Primo agosto, festa nazionale, è solitamente anche un momento di riflessione sui valori e sul suo futuro del nostro Paese. La Svizzera è sempre più condizionata dalle relazioni e dalle pressioni, per non dire ricatti, di enti esteri e di organismi sovranazionali, i quali, per la loro intrinseca natura, sfuggono al controllo democratico. Partendo da questa constatazione e in vista delle ormai prossime elezioni federali, da cui usciranno i nostri rappresentanti all’Assemblea federale (Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati), ritengo importante sottolineare alcuni punti.
Nonostante si tenti ultimamente di pilotare strumentalmente la discussione politica principalmente sui temi ambientali, certamente significativi, il nostro Paese a breve termine sarà confrontato con sfide di assoluto rilievo che, a dipendenza di come verranno affrontate, potrebbero portare ad un cambiamento sostanziale anche del nostro assetto istituzionale. Sappiamo bene cosa comporterebbe l’accettazione dell’Accordo quadro istituzionale con l’UE, un trattato capestro che non tocca solo alcuni settori economici, ma, come indica il nome stesso, investe pesantemente le nostre istituzioni, imponendo in diversi ambiti il diritto europeo. In maniera dinamica, afferma senza alcun pudore, per indorare la pillola, l’impaurita maggioranza della classe politica; in realtà questa ripresa è semplicemente e drammaticamente automatica, con tutte le conseguenze del caso. Più in generale, perché in ballo non c’è solo l’Accordo quadro, la Svizzera si troverà di fronte ad un bivio per certi versi esistenziale: difendere e valorizzare le proprie specificità (con federalismo e democrazia diretta in prima linea), la propria sovranità (in parte già erosa in alcuni ambiti) e, in buona sostanza, un modello di società risultato finora vincente; oppure accettare e quindi cedere – lo farebbe anche in questo caso in maniera «dinamica»? -, magari in nome di presunti interessi economici, alle pressioni provenienti dall’estero, omologandosi alle altre nazioni nel grande calderone dell’UE. È fin troppo evidente come questa scelta determinerà il futuro del nostro Paese e allora ecco perché le prossime elezioni federali rivestono un’importanza particolare.
A Berna verrà infatti giocata una partita fondamentale, alla quale il Ticino deve poter partecipare adeguatamente, ossia rappresentando davvero l’espressione della maggioranza dei propri cittadini. Negli ultimi anni la posizione del nostro Cantone nei confronti di tematiche rilevanti come quelle legate ai rapporti con l’estero, in particolare con l’UE, è stata inequivocabilmente di salvaguardia delle nostre prerogative e dei nostri valori, che non vuol dire chiudersi in se stessi, come dimostrato dai successi riscontrati in più settori, da quello economico a quello dell’integrazione. Dal rifiuto dello Spazio economico europeo (SEE), all’accettazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, fino al recente rigetto del diktat disarmista dell’UE, la maggioranza delle cittadine e dei cittadini ticinesi ha detto chiaramente da che parte sta. Purtroppo la voce del Ticino non si è sempre fatta sentire a Berna, dove, in particolare, al Consiglio degli Stati (la Camera alta) la posizione dei due rappresentanti cantonali, esponenti di PLR e PPD, è stata più volte in contrasto con il voto dei ticinesi, assecondando invece le direttive dei rispettivi partiti nazionali. Pensiamo ancora all’Accordo quadro citato, nei confronti dei quali il PSS (partito che ha fra i propri obiettivi strategici l’adesione all’UE), il PLR (che preme per sottoscrivere rapidamente un accordo giudicato addirittura della «ragione») e il PPD (il cui deputato ticinese alla Camera alta è stato determinante in sede commissionale per far approvare un grazioso dono di 1,3 miliardi franchi all’UE) sono tutti favorevoli all’accordo capestro, pur muovendo alcune critiche e avanzando, a mo’ di alibi, qualche richiesta di rinegoziazione che i vertici di Bruxelles hanno già detto di non prendere neppure lontanamente in considerazione.
Qualcuno dimentica intenzionalmente che il Consiglio degli Stati, eletto con il sistema maggioritario, rappresenta i Cantoni (mentre sui temi fondamentali legati ai rapporti con l’UE i deputati ticinesi hanno spesso disatteso questa funzione) e non gli schieramenti politici. Risulta allora assai significativa la recente e congiunta presa di posizione dei due candidati di PLR e PPD, che quest’anno si presentano, bontà loro, in «ticket», nel punto in cui dichiarano solennemente la necessità di rafforzare il centro, aggiungendo che «bisogna battersi intelligentemente e senza paure per far rispettare una Svizzera aperta ma sovrana». Ma di quale centro parlano? Chinare la testa davanti a trattati capestro sarebbe far rispettare una Svizzera aperta ma sovrana? Suvvia, non scherziamo!
Capisco che i due partiti storici vogliano continuare ad occupare i due scranni del Consiglio degli Stati, ma non si possono fare promesse da marinaio smentite dai fatti. Insomma, è più che mai evidente che se il Ticino vuole davvero farsi adeguatamente rappresentare a Berna, in particolare su temi strategici come i rapporti con l’estero, deve cambiare registro. Il prossimo 20 ottobre la palla passa ai cittadini.