Al Ticino il sole non basta!

Al Ticino il sole non basta!

Con enorme piacere ho aderito al vostro invito a voler partecipare a questo convegno nel quale il Canton Ticino risulta essere l’ospite d’onore. L’ASNI, della quale faccio parte da diversi anni, è un’organizzazione che si prefigge la difesa di valori fondamentali quali l’autodeterminazione, l’indipendenza, la democrazia diretta e la neutralità del nostro Paese. Valori che sono l’essenza stessa del nostro essere svizzeri. Valori che non solo vengono messi in discussione, ma che vengono addirittura continuamente erosi. Pensiamo ad esempio alle continue pressioni esercitate dall’Unione europea per conformarci alle loro regole: il dominio esercitato dagli accordi bilaterali, la libera circolazione, la scellerata proposta di accettare in forma automatica il diritto comunitario e i giudici stranieri, o lo scambio automatico dei dati bancari.

Per oltre mezzo secolo, quando il mondo era polarizzato in due blocchi e separato dalla cortina di ferro, il nostro Paese godeva del rispetto di tutti sulla scena internazionale e gli attacchi nei nostri confronti erano praticamente inesistenti. Con la caduta del Muro, complice una politica estera poco proattiva, siamo rimasti in balia degli eventi: dapprima siamo stati attaccati sul ruolo della Svizzera nella Seconda guerra mondiale poi per i fondi ebraici, fino agli attacchi al nostro segreto bancario. Parallelamente, il nostro Governo si avvicinava sempre più alla Comunità internazionale:

  • La domanda di adesione all’ONU (nel 1986, con il referendum lanciato dall’allora ”Comitato d’azione svizzero contro l’adesione all’ONU” divenuto in seguito l’ASNI);
  • L’inoltro, da parte del Consiglio federale, della domanda di adesione all’UE (nel 1992 e mai ritirata);
  • La proposta di adesione allo SEE (nel 1992, poi bloccato da Popolo e Cantoni) e, a seguito di questo rifiuto;
  • La nascita della via bilaterale.

La reazione a questi attacchi ed a questi slanci di apertura da parte del Consiglio federale ha creato due reazioni in antitesi: da un lato i “paladini dell’apertura” e, dall’altro, i “difensori della nostra indipendenza e dei valori del Patto del Grütli”.

Vorrei riallacciarmi a quanto proferito dall’allora Consigliere federale Pascal Delamuraz il 6 dicembre 1992, a seguito dei risultati della votazione sull’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo. Fortunatamente NULLA si è avverato con riferimento alle sue scure nubi all’orizzonte, palesate nel famoso discorso “Un dimanche noir”[1]: “… pour l’économie suisse, pour tous les partisans de l’ouverture ainsi que pour la jeunesse qui se voit privée d’un projet d’avenir…”. Alla luce dei fatti, anche se per noi era già chiaro allora, quella fu una domenica particolarmente felice e radiosa per tutto il nostro Paese.

La nostra economia rimane, per il quinto anno consecutivo, la più competitiva al mondo secondo una classifica del WEF. Fu una splendida domenica anche per la NOSTRA gioventù, visto che il “progetto” menzionato da Delamuraz, si è trasformato in un incubo – chiamato disoccupazione giovanile – dove oggi si ritrovano confinate le nuove generazioni: nell’area UE 27 essa raggiunge il 27%[2] contro il solo 3% in Svizzera. Tra i fattori critici di successo del “sistema Svizzera”, leggendo un rapporto del WEF, figura la nostra capacità di innovazione, il sistema educativo e gli istituti di ricerca, le istituzioni pubbliche tra le più efficienti e trasparenti al mondo, le eccellenti infrastrutture ed un efficiente mercato finanziario e del lavoro. Nel rapporto si legge anche che uno dei segreti del nostro successo è senza ombra di dubbio l’elevato grado di decentralizzazione del nostro Paese[3] e la capacità di trovare soluzioni ottimali tra Governo, mondo imprenditoriale e società civile. Qualità quest’ultima favorita dal forte coinvolgimento del Popolo nelle decisioni.

Il fatto di essere da cinque anni il Paese più competitivo del mondo è anche frutto del nostro essere “diversi”. Pensiamo ad esempio al nostro modello di democrazia diretta, il quale ci viene invidiato da tutti. Un modello nel quale il Popolo è veramente sovrano e “controlla” lo Stato. Una capacità, quella di noi cittadini svizzeri, non di solo “controllo” attraverso il referendum, ma anche propositiva, con iniziative in grado di accelerare su questioni delle quali Parlamento e Governo non si sono mai chinati.

Sono queste alcune delle specificità che ci causano incomprensioni nelle relazioni internazionali con altri Stati. È infatti più semplice ottenere il consenso in Paesi a vocazione centralistica – la cui volontà viene imposta ai Cittadini – anche se poi il compromesso non è legittimato e si crea una pericolosa scollatura tra Stato e Cittadini. Una scollatura ben evidente nell’Unione europea in cui le persone, ma anche molti Stati membri, si sentono sempre più “sudditi” di Bruxelles subendo le decisioni dall’alto. In Svizzera, al contrario, le decisioni sono frutto di mediazione a più livelli: comunale, cantonale, federale e naturalmente attraverso la volontà popolare. Se il nostro Paese è così pacifico, stabile, prospero ed indipendente lo dobbiamo al nostro sistema politico ed alle decisione adottate dai nostri avi.

 

Benché il motto dell’Unione europea “uniti nella diversità”, richiami il nostro Patto federale del 1291, la politica di Bruxelles è ben diversa nella sua applicazione pratica. La politica europea infatti tende ad annientare le specificità nazionali attraverso una continua conformazione che impoverisce economicamente e culturalmente i suoi Stati membri. L’UE soffre senz’altro la sua dimensione spropositata, l’adesione affrettata degli Stati ad est ed anche la cattiva congiuntura economica che ha colpito i suoi anelli più deboli, ovvero gli Stati cosiddetti PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Ma la vera crisi dell’Europa non è economica, ma deriva dalla mancanza di legittimità dei Popoli che la compongono. Sempre meno Stati sono infatti disposti a cedere la propria sovranità in nome di un ideale collettivo. Quel bene superiore, che unisce noi svizzeri da ben 722 anni, molti europei non lo tollerano più. Per salvarsi da questa crisi istituzionale, l’UE dovrebbe ispirarsi al modello svizzero, vero garante delle diversità regionali, senza rincorrere gli ideali di “centralizzazione europea” in cui tutto è unificato in nome di un’unità meramente economica che sta portando l’Europa alla rovina e ad una chiara perdita di peso geo-politico nello scacchiere mondiale.

 

Il Ticino quale laboratorio politico, economico e sociale

Per la mia relazione odierna ho scelto un titolo un po’ provocatorio: “Al Ticino il sole non basta!”. Un titolo che evoca due evidenze: il Ticino è uno dei Cantoni più soleggiati della Svizzera e tra i Cantoni con il maggior importo pro-capite delle imposte federali dirette; al contempo però il Ticino soffre per fattori indotti dagli accordi bilaterali e dalla crisi che attanaglia la vicina Repubblica italiana.

A seguito del rifiuto di aderire allo SEE, il Consiglio federale ha avviato dei negoziati atti a stipulare, attraverso la via bilaterale, degli accordi con l’UE. Accordi che dal punto di vista del Canton Ticino sono stati assai negativi e, con una certa tristezza, possiamo dire di essere stati una sorta di “laboratorio politico, economico e sociale” in versione negativa della politica bilaterale e della sua applicazione. Un laboratorio, quello ticinese, che va monitorato con la dovuta attenzione da parte delle Autorità federali, in quanto strumento anticipatore di effetti negativi che poi, con il tempo, si sono estesi su tutto il territorio della Confederazione.

 

La libera circolazione delle persone

L’accordo di libera circolazione si è dimostrato dannoso per la nostra sicurezza e per il mercato del lavoro ticinese. A differenza di altre regioni transfrontaliere presenti in Svizzera, il polo transfrontaliero di riferimento è per noi Milano. La pressione esercitata sul nostro Cantone è enorme: basti pensare che la Lombardia è una delle regioni più sviluppate d’Europa nella quale risiedono oltre 8 milioni di abitanti.

Un ulteriore fattore di pressione è la disparità di salari esistenti tra il Ticino e l’Italia. Il salario di un ingegnere italiano ammonta indicativamente a 1’700 euro mensili, mentre in Ticino, facendo il medesimo lavoro si guadagnano 6’000/7’000 franchi mensili. Inutile menzionare il fatto che, a fronte della crisi in Italia e dei buoni stipendi in Svizzera, l’afflusso di frontalieri in Ticino sia in costante aumento. Nel 2002, data dell’entrata in vigore degli accordi bilaterali, i lavoratori frontalieri ammontavano a 32’560, oggi sfiorano le 60’000 unità. Ad aggravare ulteriormente la situazione è il fatto che sempre con maggior frequenza, i lavoratori frontalieri sono disposti a guadagnare meno di un ticinese, pur svolgendo mansioni per le quali sono sovra qualificati. Questo causa una contrazione dei salari, la sostituzione della manodopera indigena con quella frontaliera e la crescente difficoltà per i nostri giovani di trovare uno sbocco nel mondo del lavoro. Con la libera circolazione delle persone abbiamo assistito non soltanto ad un incremento del numero di frontalieri, ma anche alla loro proliferazione in un settore, quello terziario (con un aumento del 300% in soli 15 anni), in cui esiste già un esubero di personale indigeno.

Prima della libera circolazione delle persone, l’afflusso dei frontalieri era più controllato e mirava a colmare una carenza di manodopera principalmente nel settore secondario (tradizionalmente l’edilizia, l’artigianato e l’industria). Erano i tempi, lontani ma non troppo, in cui in Ticino c’erano i contingenti e vigeva la clausola secondo la quale poteva lavorare in Ticino solo colui che abitava nelle immediate vicinanze del Confine. Gli accordi di libera circolazione non ci permettono più di regolare l’afflusso di manodopera straniera.

Ma c’è di più.

Il fenomeno dei padroncini

Accanto all’afflusso di manodopera frontaliera dipendente, in Ticino si è notato un importante incremento del numero di lavoratori indipendenti (chiamati “padroncini”) provenienti dall’Italia. Sono lavoratori indipendenti che varcano quotidianamente il nostro Confine per svolgere lavori principalmente nel settore edile o nell’artigianato. I “padroncini” possono lavorare in Ticino per un massimo di 90 giorni all’anno, non sono soggetti al pagamento dell’Iva per prestazioni inferiori a 10’000.- CHF, non sottostanno a contratti collettivi di lavoro e possono offrire prestazioni di lavoro a costi molto più vantaggiosi delle nostre ditte indigene.

Si tratta di un fenomeno in costante crescita – vuoi per la crisi dell’edilizia in Italia e vuoi anche perché sempre più ticinesi ne richiedono le prestazioni – che causa concorrenza sleale ed una chiara discriminazione per le nostre imprese locali. Il numero delle notifiche di lavoro è in costante aumento: 7’830 nel 2005, 16’700 nel 2010, 18’900 nel 2011, 21’313 nel 2012. A giugno di quest’anno erano già a quota 13’965. Le 21’313 notifiche dello scorso anno, corrispondono a circa 670’000 giornate di lavoro perse dall’economia ticinese, a vantaggio di quella italiana.

Numeri che preoccupano il Consiglio di Stato ticinese e la Deputazione ticinese alle Camere federali che hanno sollevato la problematica dei vantaggi competitivi di cui godono gli artigiani esteri rispetto a quelli svizzeri ed hanno proposto una serie di misure atte a tutelare il mercato del lavoro ticinese. È stato richiesto l’assoggettamento all’Iva, si è proposto di sostituire le notifiche online con un modulo da stampare e da consegnare rendendo il processo più laborioso ed il potenziamento dei controlli. Il Consiglio federale si è detto contrario a sopprimere questo limite con la seguente motivazione[4]: “L’abolizione della soglia dei 10’000 franchi è stata discussa, ma non è stata ritenuta opportuna a causa del considerevole onere amministrativo per gli interessati e per l’AFC”. Per risolvere i problemi legati al ricorso a imprese straniere, il Consiglio federale prevede però di estendere l’assoggettamento all’IVA alle imprese straniere che conseguono un fatturato pari ad almeno 100’000 franchi all’anno su scala mondiale. Anche la proposta di sostituire le notifiche online per rendere più laborioso il processo di notifica non è stata avallata in quanto, tra le altre cose comporterebbe “un considerevole onere supplementare in termini amministrativi” e sarebbe “contrario alla liberalizzazione della fornitura di servizi transfrontalieri fino a 90 giorni per anno civile sancita nell’Accordo di libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE”.

Questa risposta era giunta un giorno dopo il fruttuoso incontro avvenuto tra il Consiglio di Stato ticinese ed il Consigliere federale Didier Burkhalter che aveva ben recepito queste nostre richieste. Ci sarà occasione di riparlarne durante un futuro incontro, anche se il margine di manovra di un Cantone nei confronti dei Trattati bilaterali è molto esiguo.

 

Trattato di Schengen/Dublino

La libera circolazione – assieme agli Accordi di cooperazione di Schengen – ha evidenziato tutti i suoi limiti nell’ambito della sicurezza, connessa soprattutto alla problematica della criminalità transfrontaliera. Un accordo, quello di Schengen, che avrebbe dovuto tra le altre cose “migliorare la sicurezza” garantire dei “risparmi consistenti” [5] ed avere “effetti positivi per il turismo”. Secondo la Statistica criminale di polizia del 2012, i reati in Svizzera sono in aumento (750’371 reati compiuti nel 2012, +8.3%), un dato quest’ultimo che collima con quello del Canton Ticino (27’882 reati nel 2012, +8.4%). A destare preoccupazione è il netto aumento delle infrazione alla Legge sugli stranieri (2’003 infrazioni +46% in Ticino; contro il +15% della media nazionale). Un dato quest’ultimo che riguarda principalmente l’entrata ed il soggiorno illegale di immigrati. L’aumento non può lasciare insensibili le Autorità federali, visto che il nostro Cantone rappresenta la “Porta sud della Svizzera”: ovvero la via d’ingresso privilegiata dai grandi fenomeni migratori del Mediterraneo.

Accanto a questa diminuzione della sicurezza interna – causata dalla soppressione dei controlli alle frontiere interne e da quelli lacunosi alle frontiere esterne – assistiamo anche all’aumento dei costi che erano stati preventivati in 7,4 milioni di franchi annui nel 2005, e che per il 2013 dovrebbero aggirarsi sui 100 milioni di franchi[6]. Per quanto riguarda i “benefici turistici” sostenuti dalle associazioni di categorie, gli incrementi più marcati si sono registrati nel “turismo del crimine” e nell’aumento dei “pernottamenti” nelle nostre carceri.

La collaborazione transfrontaliera con l’Italia nell’applicazione dell’accordo di Dublino non è ottimale. Questo accordo prevede che un rifugiato che si registrata in un Paese con il quale è stato stipulato questo accordo, non possa ripresentate la domanda in altri Paesi membri dell’accordo. Le coste italiane sono uno dei grandi punti d’approdo dell’immigrazione verso l’UE. Gli immigrati vengono dunque registrati in Italia, ma poi – invece di essere accolti in apposite strutture o rimpatriati – giungono in Svizzera e chiedono nuovamente asilo (dopo che gli era stato negato in Italia). Ai sensi dell’accordo di Dublino, questi immigrati clandestini dovrebbero essere riammessi in Italia, ma i funzionari italiani nicchiano. La Svizzera si fa dunque carico del loro vitto ed alloggio per tre mesi prima di poi rimpatriarli, sostituendo, di fatto il Governo italiano nell’esecuzione di questo compito.

 

Accordo sui trasporti terrestri

L’accordo sui trasporti terrestri liberalizza l’accesso al mercato dei trasporti stradali e ferroviari tra Svizzera e UE. Nel 2001 era stata istituita una tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (TTPCP) e la Svizzera, quale contropartita, aveva accettato di aumentare il limite dei camion dalle 28 alle 40 tonnellate. Attraverso l’accordo sui trasporti terresti e la tassa TTPCP si garantisce l’attuazione della politica svizzera dei trasporti, che tra le altre cose prevede l’ammodernamento dell’infrastruttura ferroviaria e la costruzione della rete NFTA, come pure il promovimento del trasferimento delle merci dalla strada alla ferrovia. Se per quanto riguarda la NFTA i risultati sono evidenti, il trasferimento dalla gomma alla rotaia si è realizzato solo in parte. Il Consiglio federale nella sua strategia, prevedeva la riduzione del traffico pesante a 650’000 traversate delle Alpi entro il 2017. Questo obiettivo risulta difficilmente raggiungibile, visto che attualmente le traversate sono quasi il doppio. Il Canton Ticino, trovandosi sulla direttrice nord-sud, è fortemente toccato da questo fenomeno ed il risanamento del tunnel del San Gottardo con la costruzione di un secondo tubo senza l’aumento della capacità, è imperativo al fine di migliorarne la sicurezza e non risulta incompatibile con la politica di trasferimento delle merci dalla strada alla rotaia.

 

Segreto bancario

Il segreto bancario sembrava essere solido e, a detta del Consiglio federale, addirittura “non negoziabile”[7] nel 2008. Era questa la risposta del Consiglio federale ad un interpellanza urgente del gruppo UDC. Oggi, nel 2013, stiamo assistendo alla frantumazione di un nostro simbolo nazionale. Una prima breccia si è avuta con la stipulazione dell’accordo FATCA con gli Stati Uniti: con questo accordo il Governo americano esigerà che tutti i conti detenuti dai cittadini statunitensi negli istituti svizzeri vengano notificati alle Autorità statunitensi. C’è da aspettarsi che l’UE ed altri Paesi richiedano anch’essi parità di trattamento e si facciano fautori anch’essi di un accordo di questo tipo. L’esempio pratico, di questa facile profezia, l’abbiamo già avuto qualche settimane fa, quando Peer Steinbrück, candidato Cancelliere della SPD, in un’intervista rilasciata al Tages Anzeiger ha affermato: “la Svizzera deve impegnarsi a concedere alle Autorità fiscali tedesche gli stessi diritti riconosciuti agli americani”. L’impressione, anche in questo caso, è che la Svizzera continui a cedere alle pressioni internazionali senza ottenere nulla in cambio.

I negoziati in ambito fiscale tra Svizzera e Italia – ricordo a tal proposito come il nostro Paese figuri ancora nelle “black list” – dopo una fase di stallo, sono stati timidamente riavviati. Essere inseriti nella “black list” italiana, ovvero essere considerati a fiscalità privilegiata in ragione della nostra imposizione fiscale decisamente minore, sta causando tanti problemi non solo alla piazza finanziaria ticinese, ma anche ad altri settori della nostra economia, in primis quelli legati alle esportazioni. Si tratta di misure discriminatorie nei confronti delle nostre aziende che rendono più difficili, complessi e burocratici i rapporti commerciali con l’Italia. Difficoltà che producono un aumento dei costi e dunque una minor competitività delle aziende svizzere sul mercato italiani oltre a una maggiore burocrazia. Si tratta di evidenti “barriere protezionistiche all’entrata” al mercato italiano. I punti da negoziare in ambito fiscale con l’Italia, oltre al depennamento dalle “black list” riguardano un accordo con imposta liberatoria, un accordo di doppia imposizione secondo lo standard dell’OCSE e l’imposizione dei frontalieri. Per ora non ci sono particolari novità, complice anche la delicata situazione politica in Italia.

 

Se risulta evidente che la Svizzera stia cedendo pezzi della propria autonomia all’esterno, la medesima impressione sia ha all’interno: i Cantoni infatti, vedono sempre più erosa la propria autonomia. L’applicazione dell’iniziativa Weber, quella sulla Pianificazione del territorio o ancora quella relativa alla Revisione parziale della Legge sulla pianificazione del territorio, ad esempio, non tengono in dovuta considerazione le peculiarità dei Cantoni periferici o a vocazione turistica in quanto la pianificazione viene imposta dal livello federale e non più attraverso i Comuni ed i Cantoni. È questo un pericoloso cambiamento di paradigma sul quale val la pena riflettere.

Vi sono poi anche esempi di armonizzazione di ambiti prettamente cantonali, quale ad esempio quello scolastico. Penso ad esempio all’Accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria (Concordato HarmoS) che intende “armonizzare” elementi centrali dell’insegnamento scolastico, in una nazione profondamente multilingue e multiculturale dove la diversità è un valore fondamentale: il rischio da scongiurare è che questa “armonizzazione” non si trasformi in una “uniformazione”. Pensiamo anche alla Legge federale sulla promozione dello sport che vuole imporre tre ore di ginnastica a settimana nelle scuole dell’obbligo, o ancora all’iniziativa «gioventù + musica». Sono esempi e spunti di riflessione di un pericoloso travaso di competenze dal livello cantonale a quello della Confederazione.

Vi sono poi rivendicazioni regionali legittime da parte di ciascun Cantone che devono essere tenute in maggior considerazione da Berna. Per quanto riguarda il Ticino penso ad esempio al nostro evidente problema infrastrutturale. Il risanamento del tunnel autostradale del San Gottardo, così come completamento di AlpTransit a sud di Lugano non sono unicamente rivendicazioni regionali, ma avranno ripercussioni positive sull’intero Paese. Il collegamento autostradale tra Bellinzona e Locarno è una necessità regionale, ma è poco corretto vincolarlo all’accettazione popolare dell’aumento della vignetta autostradale a 100.- CHF. Le notifiche online dei padroncini, il problema della libera circolazione, l’aumento della criminalità transfrontaliera e la relativa richiesta di potenziare gli effettivi delle Guardie di Confine sono rivendicazioni del Canton Ticino, ma al contempo dei sono problemi che i Cantoni sulla fascia di Confine e, di riflesso, l’intera Svizzera.

 

Mi auguro, in conclusione, che questo mio intervento sia servito quale spunto di riflessione per meglio comprendere la specificità del Canton Ticino, quale laboratorio di fenomeni economico-sociali che poi ritroviamo in tutta la Svizzera, con uno scostamento temporale di alcuni anni.

Un Ticino al quale oggi “il sole non basta”.

Un Cantone che più di altri subisce gli effetti negativi della libera circolazione e degli accordi di Schengen e di Dublino che si traducono in un aumento dell’insicurezza, in un continuo afflusso di manodopera frontaliera (che rappresenta grosso modo il 25% della popolazione ticinese attiva), in un tasso di disoccupazione tra i più elevati in Svizzera (4.1%) ed in una concorrenza sleale perpetrata dai padroncini ai danni delle aziende e dei lavoratori ticinesi.

Il Ticino è la dimostrazione che il cedimento di parte della nostra indipendenza e sovranità sull’altare della politica bilaterale, ha prodotto ripercussioni negative per il nostro Paese e per i suoi Cittadini.

In un momento storico di particolare debolezza e fragilità dell’Unione europea – nel quale sembra di capire che i suoi Stati membri non sono più disposti a cedere parti delle proprie sovranità nazionali – la Svizzera istituzionale dovrebbe essere più proattiva nel difendere la nostra sovranità e la nostra specificità con Bruxelles.

Qualora ciò non dovesse accadere, grazie alla nostra democrazia diretta, il Popolo previo raccolta firme, potrebbe sempre indire un referendum contro l’estensione dell’Accordo di libera circolazione alla Croazia. Sarebbe questa un’occasione propizia di avvallare la politica del Consiglio federale o di bocciarla innescando un effetto domino sul quale poggiano tutti i trattati bilaterali.

I tempi di una riflessione profonda sul nostro essere diversi nel cuore dell’Europa si impone. Attingiamo a piene mani dalla Storia e dai suoi insegnamenti, che ci indicano come la saggezza popolare del dicembre 1992 seppe compiere la miglior scelta di politica estera che il nostro Paese potesse fare. Una scelta di libertà, autonomia e responsabilità.

Vi ringrazio.

 

Discorso pronunciato dal Consigliere di Stato Norman Gobbi
in occasione del convegno “L’ASNI esplora il labirinto europeo: esercito, libera circolazione, federalismo, sistema monetario, sicurezza sociale,…
– Fa stato il discorso orale –

 


[2] Fonte: comunicato stampa Eurostat dell’1.7.2013; cfr. Bollettino ASNI, luglio 2013

[4] 13.3465 – Motion du Conseiller national Lorenzo Quadri (Lega dei Ticinesi), Annonces de 90 jours. Situation alarmante au Tessin,
Cfr. http://www.parlament.ch/f/suche/pages/geschaefte.aspx?gesch_id=20133465

[5] Cfr. Libretto su votazione popolare del 5 giugno 2005, Spiegazioni del Consiglio federale, Accordi di Schengen e di Dublino, http://www.admin.ch/ch/i/pore/va/20050605/explic/i-pp0100_pp8000.pdf

[6] Schengen e Dublino costano caro, da Corriere del Ticino online, del 19.10.2012, http://www.cdt.ch/confederazione/cronaca/71752/schengen-e-dublino-costano-caro.html

[7] 08.3021 – Interpellanza urgente dell’UDC, Quali misure adotta il Consiglio federale per rafforzare il segreto bancario? Da Cfr. http://www.parlament.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20083021

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