Dal Corriere del Ticino | L’opinione – Norman Gobbi
La scorsa settimana si è tenuta l’ultima seduta del Consiglio di Stato. Sono tanti i dossier passati sul tavolo del Governo in questi mesi. Uno di questi è il Piano cantonale delle aggregazioni (PCA). Con questo progetto si intende dare seguito alla richiesta del Parlamento di presentare una visione cantonale della politica aggregativa e dei suoi obiettivi a medio-lungo termine. Un progetto tornato di attualità a fine giugno, con l’avvio della seconda tornata di consultazione sugli strumenti concreti per realizzare la riforma, a cui partecipano nuovamente tutti i Comuni, le loro associazioni e i partiti rappresentati in Gran Consiglio. Nel dibattito che ha ripreso vigore, sono state sollevate alcune preoccupazioni e affermate alcune inesattezze che distorcono non poco la natura del progetto e la volontà del Consiglio di Stato. Colgo quindi l’occasione per fare un po’ di chiarezza per evitare che il PCA diventi il tormentone estivo basato su presupposti non del tutto corretti.
Innanzitutto, il PCA non è una riforma imperativa e non costituisce il destino obbligato degli enti locali ticinesi. Il progetto rappresenta la visione cantonale e non un’imposizione, come si vorrebbe far credere. Infatti il Consiglio di Stato ha chiarito tra l’altro come non s’intenda mirare all’applicazione della riforma istituzionale attraverso una votazione costituzionale a livello cantonale. Il futuro degli enti locali è dunque in mano agli abitanti di ciascun Comune, i quali si potranno determinare con i pro e i contro che ne conseguono, com’è giusto che sia.
La riforma, in secondo luogo, propone incentivi senza celare alcun ricatto. Nella sua attuale seconda fase s’illustrano gli strumenti per realizzare la riforma. Si tratta di definire le regole per un processo aggregativo coerente, capace di realizzarsi secondo una tempistica ragionevole e supportato da incentivi finanziari mirati, seppur limitati nel tempo. Va da sé che chi si oppone agli obiettivi del Piano non può pretendere le risorse previste come incentivo ai consolidamenti istituzionali; come non si può nemmeno esigere il perenne beneficio di sostegni finanziari tramite leggi cantonali, che devono assicurare coerenza con lo spirito delle riforme promosse dal Cantone medesimo.
Infine, il Cantone non intende di certo ledere l’autonomia comunale, anzi. Le aggregazioni comunali nascono per rinvigorire l’operatività e l’intraprendenza degli enti locali, affinché possano meglio concretizzare il principio di sussidiarietà e riacquistare autonomia decisionale e finanziaria. La definizione dei Comuni del futuro si coordina – come richiesto da più parti – con la riforma Ticino 2020, che intende riordinare e riattribuire i flussi e le competenze fra i due livelli istituzionali: un processo ineludibile se si vuole ripristinare un sano federalismo in cui la macchina statale torna a essere performante e razionale.
Dopo la prima consultazione incentrata essenzialmente sul disegno dei Comuni del futuro, con la seconda fase abbiamo voluto aprire nuovamente le porte del progetto, affinché sia possibile condividere anche le importanti modalità di attuazione del Piano cantonale delle aggregazioni così come i relativi sostegni cantonali. Per farlo serve la collaborazione di tutti gli enti coinvolti.
Solo così riusciremo a costruire, tutti insieme, il Ticino di domani.