Dal Corriere del Ticino del 4 aprile 2016
Norman Gobbi se la prende con Jacques de Watteville: «Le richieste del Ticino sono state finora disattese» Clima rovente su casellario giudiziale e albo dei padroncini – Le ultime battute da presidente del Governo
Anche nei suoi ultimi giorni da presidente del Governo, Norman Gobbi non le manda a dire e spara le ultime cartucce nel ruolo che da mercoledì passerà nelle mani del collega Paolo Beltraminelli. La reazione, raccolta dal Corriere del Ticino, fa seguito al dibattito di venerdì sera a Malnate, dove il capo della delegazione italiana nelle trattative con la Svizzera Vieri Ceriani ha spiegato ai frontalieri il nuovo Accordo sull’imposizione fiscale, parafato da Italia e Svizzera lo scorso 22 dicembre e che sostituirà quello in vigore dal 1974. La speranza con il nuovo accordo è che il mercato del lavoro svizzero diventi meno attrattivo. Ma c’è la sensazione che la nuova imposizione non rappresenterà un deterrente sufficiente: i frontalieri saranno chiamati sì a pagare anche le tasse in Italia, ma il loro regime resterà comunque meno pesante rispetto ai connazionali che non varcano il confine: «Il timore che avevamo è stato confermato l’altra sera da Ceriani, che ha stimato circa il 15% di aggravio sulle imposte dei frontalieri, che non si traducono nei circa 600 milioni ipotizzati che avrebbero permesso di fare un po’ di ordine sul mercato del lavoro. E a maggior ragione ora si giustificano le richieste del Ticino, che sono comunque state disattese a livello di imposte alla fonte». La doccia fredda sul moltiplicatore è arrivata l’8 marzo scorso: il Ticino non potrà più applicare il moltiplicatore al 100% per l’imposta alla fonte dei frontalieri, ma sarà fissato dal Consiglio federale tramite un meccanismo definito media ponderata fissato in un’ordinanza. Il Ticino perde così 16 milioni di franchi all’anno. Riguardo alle compensazioni chieste a Berna per Gobbi finora «è mancata la componente di soddisfazione politica e finanziaria».
I 20 milioni attinti dalla perequazione finanziaria intercantonale proposti da Maurer vengono percepiti come una sorta di contentino per tacitare il Ticino e fare in modo che tolga l’obbligo di presentazione, per residenti e frontalieri, dell’estratto del casellario giudiziale, che costituisce un ostacolo sulla strada della ratifica dell’accordo, che dovrà essere approvato dal Parlamento dei due Paesi. Ceriani non ha mancato di ricordare che la richiesta del casellario giudiziale è discriminatoria, mentre per l’Albo antipadroncini chiederà un incontro chiarificatore con il segretario di Stato Jacques de Watteville, sul quale Gobbi è ormai diretto e schietto: «Su di lui ormai non ho più alcuna riserva di grande stima». Rispondendo a Ceriani il presidente del Governo sottolinea: «Mi dimostri che con il casellario non ho permesso l’accesso al mercato da parte di un frontaliere, salvo chi aveva reati penali importanti. È una misura di sicurezza. L’albo degli artigiani serve invece ad arginare il lavoro nero, Ceriani è ministro delle finanze, dovrebbe essere favorevole perché così gli artigiani italiani che entrano in Ticino pagheranno il dovuto all’erario italiano». Per Gobbi non vanno persi di vista i veri obiettivi: «Qui si vuole il panino, il cioccolatino e anche il soldino. Mi sembra che alla fine si sta perdendo d’occhio una cosa, ossia che oggi il Ticino dà lavoro a 70.000 famiglie in Italia e questo deve avere un peso politico, che va riconosciuto».
Black list e 9 febbraio
Ceriani durante il dibattito ha anche toccato temi che esulano l’Accordo fiscale. Sull’applicazione del voto del 9 febbraio ha sottolineato che «solo con una soluzione eurocompatibile verrà ratificato l’accordo sull’imposizione fiscale. La clausola di salvaguardia si discosta dalla road-map». Dimostrazione per Gobbi «di come i nostri si sono fatti gabbare». Sul discorso black list, stralciate in seguito all’adeguamento da parte della Svizzera allo standard OCSE sullo scambio di informazioni, Ceriani ha sollevato l’interesse soprattutto da parte del Ticino di poter accedere al mercato italiano, accesso che dovrebbe essere garantito con la reciprocità inserita nell’accordo. Per Gobbi il Ticino «è il cantone più esposto su questo aspetto e quando mi si richiama la solidarietà confederale faccio fatica a capire dove sia la solidarietà in senso inverso. È come 40 anni fa: l’Accordo del 1974 era poco interessante per il Ticino, che pagò addirittura i ristorni retroattivi sulle imposte dei frontalieri poiché il trattato venne siglato nel 76. Allora l’interesse era poter esportare il formaggio svizzero in Italia. Oggi c’è quello delle banche, che però stanno riducendo i posti di lavoro».
Scaramucce tra PLR e Lega
Intanto al Mattino della domenica non è sfuggita la lettera inviata dalla Divisione delle contribuzioni a Berna con il parere tecnico favorevole sul nuovo Accordo. Il Mattino ha definito quella del DFE una «calata di braghe». E non è nemmeno tardata la risposta del PLR: «Lorenzo quadri si è dimenticato di dire che la lettera è stata condivisa con il Governo e che Maurer, rappresentante dell’UDC alleato della Lega, è sceso appositamente in Ticino per difendere l’accordo».
La frustrazione per la nuova imposizione passa da Malnate a Lavena Ponte Tresa
È stato un weekend di protesta contro il nuovo Accordo sull’imposizione fiscale quello dei lavoratori frontalieri che sabato pomeriggio a partire dalle 14 hanno sfilato sul lungolago tra Lavena e Ponte Tresa, sostando anche per qualche istante in dogana. Duecento i presenti al FrontalierDay, come è stato definito dall’Associazione frontalieri Ticino che aveva promosso la manifestazione su Facebook. Tutt’altra cosa invece la serata dibattito svoltasi a Malnate: circa 700 i presenti accorsi per ascoltare il capo della delegazione italiana nelle trattative con la Svizzera Vieri Ceriani . Organizzato dai sindacati ticinesi e italiani UNIA, OCST, USS Ticino e Moesa, CGIL, CISL e UIL Frontalieri, l’incontro al Palazzetto dello sport ha registrato il tutto esaurito. Di fronte a una platea vivacemente ostile Ceriani ha spiegato in sintesi il nuovo regime impositivo dei lavoratori frontalieri, che da esclusivo diventa concorrente. Ossia i frontalieri verranno tassati anche nel loro Paese di residenza, che dedurrà quanto pagato in Svizzera. Un discorso tecnico che non è piaciuto al pubblico: «Non si capisce niente», dicono alcuni, «vogliamo sapere quanto dobbiamo pagare», chiedono altri. E Ceriani alla fine ha rivelato: «L’aggravio dipende da tanti fattori, ma in media pensiamo si aggiri intorno al 15-20%». Il capo della delegazione ha ricordato che dall’imposta italiana verrà dedotto quanto già pagato in Svizzera e che verrà mantenuta la franchigia di 7.500 euro. I sindacati stanno però già facendo pressione sulla politica per fare in modo che nella Legge di ratifica dell’Accordo questa venga aumentata. I responsabili dei frontalieri di UNIA Sergio Aureli e di OCST Andrea Puglia hanno inoltre sottolineato le difficili condizioni di lavoro dei frontalieri. «Occorre introdurre la deduzione del terzo pilastro e il riconoscimento degli ammortizzatori sociali, in particolare la disoccupazione, in Svizzera», ha detto Aureli. Insomma, l’accordo così come viene delineato ai sindacati non va bene. Altro aspetto sollevato dal segretario generale UIL Frontalieri Pancrazio Raimondo è «l’allungamento del tempo d’adeguamento al nuovo regime, che da 10 anni deve passare ad almeno 15». E Ceriani ha anche ricordato che «l’Accordo probabilmente non entrerà in vigore prima del 2019, quindi stiamo parlando della dichiarazione del 2020». Con la nuova imposizione poi i ristorni verranno cancellati. Infine il rappresentante dei lavoratori frontalieri del Consiglio generale degli italiani all’estero Mirko Dolzadelli ha posto l’accento in particolare su due aspetti: «Il Ticino deve rendersi conto che senza frontalieri non ha futuro», ma ha altresì ricordato ai lavoratori di non intraprendere una battaglia solitaria per non inimicarsi i loro vicini di casa che non varcano il confine e che non godono di alcune deduzioni.