Norman Gobbi sottolinea la complessità della presa a carico dei detenuti
Nell’immaginario comune il carcere è luogo in cui le giornate si susseguono l’una uguale all’altra, scandite dal rumore delle chiavi e connotate da una sorveglianza statica e passiva. Nulla di più falso!
Secondo il Direttore del Dipartimento delle istituzioni, infatti “a fronte delle nuove sfide poste da sovraoccupazione e fragilizzazione crescente della popolazione carceraria, solo il dinamismo e la progettualità delle persone attive nell’ambito dell’esecuzione della pena riesce a garantire che il processo di risocializzazione si svolga in modo efficiente e nel pieno rispetto della dignità della persona.”
Per quanto attiene all’occupazione, il Ticino, continua Gobbi, “come Cantone di frontiera e di transito, è direttamente e sempre più interessato da reati legati al traffico, anche internazionale, di stupefacenti e da reati contro il patrimonio. Soprattutto nel primo caso, le inchieste condotte dal Ministero pubblico e dalla Polizia cantonale si dipanano in filoni e sotto-filoni, con un conseguente numero importante di persone tratte in arresto anche simultaneamente che comporta, ad intervalli regolari, un’alta occupazione del carcere giudiziario”.
Ma più che dalla quantità, la vera sfida posta al personale che opera nell’ambito dell’esecuzione della pena è data dalla crescente complessità della presa a carico delle persone detenute.
Secondo il Direttore, “negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo aumento dell’incarcerazione di persone socialmente vulnerabili (persone con dipendenze, persone senza dimora o con problematiche socio-economiche e persone con disturbi psichiatrici pregressi), fenomeno indipendente dal genere o dall’età, che ha causato un incremento di detenzioni anche femminili, di minori e di persone anziane. Questo comporta per collaboratori non solo un incremento della quantità delle persone da seguire tout court, ma anche una crescente complessità gestionale e relazionale.”
Per poter far fronte a queste dinamiche, si sono rese necessarie risposte progettuali e operative, che hanno presupposto iniziativa e dinamismo: accanto a misure a lungo termine, quali lo studio di un nuovo carcere che tenesse conto delle nuove peculiarità della popolazione carceraria, sono stati creati spazi per le persone più vulnerabili o problematiche, si sta edificando una sezione femminile, è stata intensificata la collaborazione tra agenti di custodia, personale medico, operatori sociali e polizia.
E in questo contesto, conclude Gobbi, “una volta di più, la differenza l’hanno fatta, la fanno e la faranno le persone, pronte a mettersi in discussione, a tenersi aggiornate, a reiventare il proprio ruolo pur di agire nel rigore insito nella professione e nell’Umanità imprescindibile richiesta dalla presa a carico delle persone detenute.”
Articolo pubblicato nell’edizione di domenica 23 febbraio 2025 de Il Mattino della domenica