Nel suo intervento, il direttore del Di Norman Gobbi è stato piccatamente conciliante. La prende larga ribadendo l’ovvio – ma l’ovvio di ’sti tempi va sempre ribadito –: «La giustizia è un valore fondamentale e da salvaguardare, trattandolo con misura e riguardo, rispettando forme e procedure quando se ne discute tra poteri dello Stato. Non va strumentalizzata, perché diventa pericoloso per l’immagine verso la cittadinanza e per la pace sociale». La giustizia, rivendica, «lavora bene e funziona, come attestato anche dal Cdm». Certo, ci mancherebbe, «alcuni ambiti di attività necessitano interventi». Ma qui, e siamo al Gobbi piccato, «dire che la giustizia aspetta da anni riforme è un messaggio profondamente sbagliato, alzare i toni su questo tema lede l’immagine della fiducia dei cittadini nella Magistratura». E a dirlo, concede, «è un politico che, da consigliere di Stato, nel 2015 credeva con entusiasmo giovanile di dover riformare l’organizzazione giudiziaria cantonale con ‘Giustizia 2018’. Obiettivo ambizioso, che ho capito si può raggiungere solo con la condivisione di tutti e tre i poteri e nei tempi necessari». Perché «la fretta non è mai stata buona consigliera». Gobbi, senza alzare la voce né lanciarsi in affronti al Legislativo già visti e sentiti in questa seduta, con pacatezza fa notare che «da più parti si accusa il Dipartimento che da più anni è immobile sul fronte giustizia: non posso accettarlo. È stato fatto molto lavoro, sfociato in tanti messaggi di modifiche puntuali di legge e in altri ambiti come la riforma delle Arp. Non posso neppure accettare – continua Gobbi – accuse di interferenza e ingerenza tra potere esecutivo e giudiziario». Questo dal momento che il Di che dirige «nel nostro sistema è il referente della Magistratura in termini organizzativi, ed è normale che qualche magistrato, pochi, si sia sentito limitato nel suo potere perché non ha potuto riclassificare in funzione più alta la sua segretaria». Ma questo è l’unico sassolino, chiamiamolo così, che Gobbi si leva dalla scarpa. Dopo la fase piccata, si diceva, quella conciliante. Nei limiti della coriacea persona. Perché d’accordo, «sulla richiesta di maggior autonomia finanziaria della Magistratura il sistema si può adattare, richiederà tempo e risorse non solo finanziarie ma anche di personale operativo». Poi, passando al codice etico, «val la pena ricordare che c’è già per tutta l’Amministrazione dello Stato, rispettivamente i magistrati hanno la dichiarazione di fedeltà alle leggi». Quindi, «il governo, preso atto dei correttivi puntuali della risoluzione, si determinerà nei prossimi mesi come richiesto dalla risoluzione stessa. Come direttore del DI, esprimo soddisfazione per l’attenzione posta dal parlamento per la giustizia. Solo con la condivisione dei tre poteri, che porta tempi più lunghi ma maggiore solidità e consenso, i risultati potranno essere positivi. Sarà importante, alla fine di questo dibattito, garantire una visione d’insieme sui vari fronti su cui intervenire tenendo conto delle risorse finanziarie e umane per una giustizia efficace, efficiente e vicina ai cittadini».
Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 17 ottobre 2024 de La Regione