La famiglia dell’iraniano ucciso l’8 febbraio in occasione di una presa d’ostaggi ha sporto denuncia per l’intervento delle forze dell’ordine – La RTS ha ricostruito gli ultimi mesi di vita dell’uomo, affetto da problemi psichici – Nel 2020 un agente venne scagionato per legittima difesa dalla giustizia ticinese
«Il mondo sottosopra. Alla fine ci va di mezzo il nostro Paese e la mente corre ai fatti di Brissago del 2017, dove l’agente di polizia agì correttamente ». Con queste parole il consigliere di Stato Norman Gobbi ha commentato, su Instagram, la notizia della denuncia presentata dai familiari del sequestratore ucciso dalla polizia l’ 8 febbraio scorso, nel Canton Vaud, durante una presa d’ostaggi su un treno regionale. «Oso sperare che il poliziotto, che a prima vista non ha fatto altro che il suo dovere, ottenga il pieno sostegno della sua gerarchia e del suo datore di lavoro » ha scritto da parte sua, su Linkedin, il consigliere nazionale vallesano Jean-Luc Addor (UDC). L’episodio, in effetti, ripropone la questione degli interventi armati della polizia in situazioni di forte pressione e che poi finiscono al centro di indagini giudiziarie. Ci sono, in effetti, alcune analogie tra i fatti di dodici giorni or sono e quelli di sette anni fa in riva al Verbano, quando un appuntato della polizia cantonale, intervenuto per un diverbio in una residenza privata, ferì mortalmente un richiedente l’asilo cingalese di 38 anni. Quest’ultimo, uscito da un appartamento brandendo due coltelli, si scagliò contro altri due asilanti. Dopo aver intimato per due volte l’alt, l’agente esplose due colpi in rapida successione, che raggiunsero l’uomo ai fianchi. Il cittadino srilankese però non si fermò e l’agente sparò un terzo colpo, questa volta diretto al torace e risultato fatale. La procura chiuse il caso nel 2019 con un decreto d’abbandono. L’intervento venne considerato giustificato da legittima difesa per proteggere terze persone. I parenti della vittima ricorsero alla Corte dei reclami penali, che però nel 2020 confermò la proporzionalità dell’intervento dell’agente di polizia e attestò la correttezza dell’inchiesta.
Nel Canton Vaud il sequestratore (un asilante iraniano di 32 anni che aveva preso in ostaggio 13 persone su un convoglio a Essert-sous-Champvent, vicino a Yverdon) era armato con un’ascia, un coltello e un martello. Secondo il comunicato di polizia, l’uomo ha iniziato a correre verso gli agenti, intervenuti mentre si era momentaneamente allontanato dagli ostaggi. Un poliziotto ha usato il taser ma la scarica elettrica non è bastata per fermare il sequestratore. Questi ha proseguito armato la sua corsa in direzione degli agenti e degli ostaggi. Un secondo membro dell’unità d’intervento ha poi utilizzato la sua arma per neutralizzarlo e lo ha colpito a morte. La famiglia, pur prendendo le distanze dal gesto del congiunto e confermando i suoi problemi psichici, parla di «ingiustizia» e ritiene che gli agenti non avrebbero mai dovuto sparare. I genitori hanno presentato una denuncia penale alla procura vodese contro «tutti coloro che hanno contribuito illegalmente alla morte di nostro figlio». Le autorità dovranno stabilire se l’agente ha agito per legittima difesa e se l’impiego dell’arma da fuoco fosse giustificato.
Nel frattempo, un’inchiesta della RTS ha fatto luce su alcuni aspetti della vita del sequestratore, giunto in Svizzera nell’agosto del 2022 per chiedere asilo a seguito del suo coinvolgimento politico e militare per l’indipendenza curda in Iran. Affetto da gravi problemi psicologici, l’uomo era stato ricoverato più volte in un istituto specializzato a Ginevra. In un centro federale d’asilo della Svizzera romanda iniziò a sviluppare un’attrazione ossessiva per una dipendente, che aveva manifestato anche durante la presa d’ostaggi. Per dimenticarla, stando a una testimonianza raccolta dall’emittente, lasciò la Svizzera alla volta dell’Inghilterra. Fece comunque ritorno in Svizzera per poi ripartire alla volta della Germania e della Polonia, dove venne arrestato e rimandato nella Confederazione. Sembra che volesse raggiungere l’Ucraina «per combattere e morire». Nella notte fra il 6 e il 7 febbraio, ha riferito la RTS, a seguito di una crisi nervosa ha rovesciato un tavolo nell’atrio del Palexpo di Ginevra, dove alloggiava. C’erano insomma tanti indizi di un comportamento suicidario, ma difficile da seguire da un punto di vista medico a causa delle improvvise sparizioni e riapparizioni. Secondo la NZZ, il 7 febbraio, alla vigilia della presa d’ostaggi, l’uomo avrebbe dichiarato alle autorità che non necessitava di assistenza medica e che il momento difficile da lui attraversato era ormai alle spalle. Quanto agli ostaggi, tutti illesi, la RTS dice che hanno difficoltà a riprendersi dal trauma.
Articolo pubblicato nell’edizione di martedì 20 febbraio 2024 del Corriere del Ticino