Il Gran Consiglio dice sì alla riapertura del comparto per le donne condannate a pene da espiare. Undici posti cella. Tempi di realizzazione: venti mesi
Al carcere penale della Stampa, destinato alle persone in esecuzione di pena, verrà riattivata la sezione femminile, chiusa anni fa in pratica per inutilizzo. Undici posti cella, con una cella per detenute con figli (età massima 3 anni), un passeggio e un laboratorio. L’ok del Gran Consiglio – 66 voti favorevoli, due astensioni – al rapporto del centrista Giorgio Fonio e del socialista Fabrizio Sirica, rapporto favorevole al messaggio governativo, arriva in coda all’ultima seduta prima della pausa estiva. Il ripristino della sezione si rende necessario considerato l’aumento in Svizzera delle donne condannate a una pena detentiva. Donne che oggi in Ticino vengono rinchiuse, per pene privative della libertà di breve durata, nel carcere giudiziario della Farera dove sono così sottoposte allo stesso regime, e quindi alle stesse restrizioni, previsto per chi è in detenzione preventiva. Se condannate invece a lunghe pene, vengono trasferite in carceri femminili d’oltre Gottardo con conseguente distacco dal territorio in cui vivono e dagli affetti famigliari (per il collocamento in strutture fuori Ticino, il Cantone ha speso lo scorso anno 800mila franchi).
Luce verde dunque a 1,2 milioni di franchi per la realizzazione del comparto femminile e per l’adattamento di spazi al Penitenziario cantonale per i detenuti anziani e per quelli con disabilità fisica. E a 1,8 milioni annui per il personale “aggiuntivo” per il citato comparto: di sorveglianza (una decina di agenti di custodia, capi compresi), amministrativo e medico. A quando la sezione per le detenute? Venti mesi la durata dei lavori. Dovrebbe entrare quindi in funzione, se tutto filerà liscio, nel 2025. «Riguardo alla detenzione delle donne, si pone fine a una situazione estremamente critica, a tratti disumana», commenta Giorgio Fonio. «Il calcolo del personale necessario è finalizzato a garantire anche condizioni detentive dignitose a chi finisce in carcere», rileva il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi.
Da www.laregione.ch