Il Direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, si racconta a 360 gradi, dai ricordi di chi ha reso grande il Movimento di via Monte Boglia al suo libro dei “sogni” (la Divina Commedia in dialetto).
Come vede oggi il nostro Cantone nel contesto politico elvetico e quale ruolo può avere nei prossimi anni?
Il periodo pandemico ha messo il Ticino sotto i riflettori nazionali, perché per primo ha acceso le spie d’allarme ed è stato il primo Cantone chiamato a intervenire, visto che si trovava a pochi chilometri dall’epicentro europeo dei contagi situato in Lombardia. Berna ha dovuto riconoscere lo stato speciale di necessità per il Cantone. In tutto il frangente della pandemia il nostro Cantone ha dimostrato capacità di gestione. Lo stesso vale per la risposta che abbiamo dato dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dove – grazie al Piano cantonale di accoglienza messo a punto in particolare dalla Sezione del militare e della protezione della popolazione – siamo stati in grado di far fronte ad un elevato numero di arrivi, dato dalla numerosa comunità già presente in Ticino. Sul tema migratorio poi, per la nostra posizione geografica, siamo eternamente al fronte, dimostrando anche qui capacità organizzative che preservino la sicurezza interna del nostro Cantone e di riflesso dell’intera Svizzera. Ecco, credo che il Ticino debba essere maggiormente riconosciuto per questo suo ruolo a favore dell’intero Paese; un ruolo non sempre adeguatamente contemplato se penso in particolare ai flussi finanziari confederali. Come membri del Governo, poi, siamo sempre più a contatto con quanto succede nel resto della Svizzera e siamo ascoltati a livello nazionale nei rispettivi ambiti di competenza. Un fattore che dobbiamo potenziare e valorizzare. Anche i contatti con la Deputazione a Berna si sono, a mio giudizio, rafforzati e hanno permesso di avere una collaborazione più intensa per portare all’interno del Parlamento svizzero, in particolare nelle commissioni, le “rivendicazioni” ticinesi. Direi quindi che oggi siamo messi bene, ma dobbiamo potenziare il nostro influsso a livello elvetico per garantire il giusto riconoscimento di quanto le e i Ticinesi fanno a favore dell’intera Confederazione.
Quali sono le motivazioni che l’hanno portata a ricandidarsi e quali sono i temi a lei più cari a livello cantonale?
La motivazione personale è la stessa di quando ho iniziato a far politica: a me stanno a cuore gli interessi delle e dei Ticinesi! Dopo 12 anni in Gran Consiglio e 12 anni in Consiglio di Stato questa volontà è addirittura cresciuta, grazie anche ad una squadra che nel tempo ho messo in campo per rispondere alle sfide cui siamo stati confrontati. Quindi la motivazione personale è sempre molto alta. E lo si percepisce, spero, ogni giorno della mia attività politica. D’altro canto ho ancora molti progetti da condurre in porto. Penso in particolare a quelli legati alla sicurezza (quindi Polizia e protezione della popolazione), alla giustizia e ai Comuni. Questi temi sono prioritari nel mio lavoro. Le preoccupazioni maggiori – e qui sto parlando della salvaguardia dei posti di lavoro dei residenti, per esempio – giungono dall’esterno. La crescita del frontalierato ha generato un forte dumping salariale sulle lavoratrici e sui lavoratori indigeni. Questo mi preoccupa. L’immigrazione illegale che giunge o attraversa il nostro Paese pone ancora altri problemi. Su questo ultimo punto siamo chiamati a essere efficaci, come lo siamo stati con l’impennata dell’immigrazione nel 2016. Facendo inoltre in modo che la Confederazione riconosca finanziariamente gli sforzi maggiori che il Ticino è chiamato a compiere per la sua posizione geografica.
Chi è il suo modello politico di riferimento? Chi l’ha ispirata negli anni?
Per la concretezza nel lavoro, per la capacità di individuare immediatamente i problemi e dare le risposte, il Nano mi ha certamente insegnato molto e a lui cerco di ispirarmi. Certo, la sua genialità non può essere imitata. Ma deve essere sempre fonte di ispirazione. Ho apprezzato molto per la sua capacità di mediazione anche Attilio Bignasca nel corso della sua attività parlamentare. Il politico deve poter essere molto più deciso e meno ingroppato nei tentacoli della burocrazia. Cerco di farlo al Dipartimento delle istituzioni e cerco di realizzarlo anche con i colleghi di Governo. Non è sempre facile… L’ispirazione è anche arrivata dai miei famigliari, con i loro valori guida e la forza che mi garantisce la mia famiglia.
Cosa le piace di più del Ticino e cosa di meno?
A me piace tutto del Ticino! Dal suo territorio alla sua gente. È per questo che mi impegno in politica da 28 anni, per un Cantone sempre più forte in tutte le sue dimensioni.
Qual è il libro che vorrebbe sul comodino?
Vorrei poter leggere un grande classico: la Divina Commedia, però in dialetto!
Si descriva con tre aggettivi.
Genuino, empatico e deciso.
Le regalano la lampada di Aladino: i primi 3 desideri che le vengono in mente?
Un lavoro per tutte e tutti i Ticinesi con un salario adeguato. Affinché questo si realizzi chiederei quindi al “Genio della lampada” di cancellare gli accordi di libera circolazione con l’UE. Il bene più importante che abbiamo è la salute; per questo chiederei che la ricerca medica possa compiere passi sempre più importanti, così da alleviare le sofferenze. Il terzo desiderio lo tengo di scorta, quando i primi due si saranno realizzati e constaterò che cosa ancora ci manca…
La sicurezza cantonale sembra, anno dopo anno, migliorare. Cosa vede nel futuro delle forze dell’ordine? Ci saranno cambiamenti?
Tolga pure quel “sembra”. La sicurezza è migliorata costantemente negli ultimi 12 anni! La discussione politica ruota attorno alla questione della polizia unica e quindi vedremo come la politica risponderà a questa domanda. Sul piano strettamente tecnico presenteremo a breve il rapporto sulla “Polizia ticinese”, che vuole meglio indirizzare le forze attive sul territorio – sia la Polizia cantonale sia le Polizie comunali – per un intervento più efficace ed efficiente a tutela e protezione di persone e beni di questo magnifico Cantone, che vogliamo sicuro e accogliente.
Cosa risponde a chi afferma che in Ticino ci sono troppi poliziotti?
Che si sbaglia! Qui parlo di Polizia cantonale: abbiamo un numero di agenti commisurato ai compiti che un Cantone di frontiera (una frontiera politica con l’Italia a sud e una frontiera fisica e linguistica con le Alpi a nord) e turistico deve affrontare. Consideriamo infatti che il Ticino per diversi mesi l’anno conta ben oltre mezzo milione di persone presenti sul suo territorio (tra residenti, lavoratori frontalieri e turisti).
Lei è sempre molto vicino alla gente, sempre molto presente anche sui social media: quali sono i mezzi di comunicazione che preferisce? Non ha a volte l’impressione di esagerare?
La comunicazione che preferisco è il contatto diretto con le persone. Nei quasi due anni di limitazioni imposte dalla pandemia ho molto sofferto l’impossibilità di avere questo contatto diretto con la gente, in particolare durante le amate feste popolari. Oggi per fortuna la situazione è tornata alla normalità e posso approfittarne per partecipare a eventi, a incontri, per vedere amici, conoscenti. Già prima della pandemia e poi anche a causa di quest’ultima la mia presenza sui social media è sempre stata costante e intensa. È un modo per raggiungere tante persone che fisicamente non potrei avvicinare. Per parlare con loro e per ascoltare le loro reazioni. È una grande opportunità. Avendo facilità e dimestichezza sono in grado di proporre contenuti social senza perdere tempo. Un bel vantaggio che la gente mi dimostra di apprezzare.
Le nostre valli, da lei molto amate, cosa portano all’economia e alla società cantonale? Qual è la loro importanza?
Qualcuno può immaginare un Ticino senza le sue Valli? E qui non penso solo alle vallate superiori, ma pure alla Valle di Muggio, alla Valle Onsernone, alla Val Colla, alla Val Mara, ecc. ecc. Già partendo da questa considerazione si intuisce l’importanza delle nostre Valli, a torto chiamate “periferiche”. Il Ticino è composto per oltre l’80% del suo territorio da montagne, valli, fiumi e boschi. Ma è pure un Cantone urbano, nel cui fondovalle si concentrano abitazioni e posti di lavoro, aree industriali e commerciali, vie di comunicazione, ecc. Abbiamo la fortuna di aver sviluppato nei secoli questa doppia identità, alpina e urbana. Riuscire a dare opportunità a queste due realtà è il senso del nostro impegno quali politici. In Ticino l’equilibrio è essenziale: non ci può essere benessere solo considerando le realtà urbane e viceversa.
L’annoso problema dei radar: non pensa siano troppi? Qualcuno potrebbe pensare che si voglia solo “far cassetta”…
Il problema è legato alla massiccia presenza di diversi radar gestiti dalle Polizie comunali. L’ho scritto ai Municipi. Quindi la domanda andrebbe girata ai municipali delle Città e dei Comuni che gestiscono le polizie comunali. A livello cantonale la preoccupazione è quella di migliorare il coordinamento dell’attività di prevenzione – a questo devono servire i radar! – che viene fatta localmente dalle “comunali”. Ma questa attività rientra nell’autonomia dei Comuni. Una chiosa: il tema dei radar è irrisolvibile e spacca molto la popolazione, che da una parte chiede controlli sotto casa e dall’altra si lamenta dei controlli…
Intervista pubblicata nell’edizione di domenica 5 marzo 2023 de Il Mattino