Resoconto di due emozionanti visite al centro di allarme CECAL di Bellinzona e al carcere La Stampa di Lugano.
di Bruno Coda
Da sempre amo le divise: polizia, pompieri, piloti d’aerei, guardie di dogana, agenti di sicurezza, medici e… dottoresse.
Il caso ha voluto che mia sorella Claudia, giudice nelle competizioni di nuoto, ne parlasse un giorno con Andrea Martinella, vice al centro d’allarme CECAL di Bellinzona e anch’egli giudice di nuoto, il quale è subito corso dal Comandante della Polizia cantonale, Matteo Cocchi, per chiedergli il permesso di visitare il centro in cui lavora. Ipso facto, mi hanno convocato. I miei genitori erano un po’ preoccupati, pensavano che volessero interrogarmi o anche peggio perché, lo ammetto, di marachelle ne faccio parecchie. Mio papà ha preso una cardio-aspirina e il 17 marzo mi ha accompagnato con Claudia nella mia visita.
Subito dopo l’uscita di Bellinzona sud, l’agente Mattia Da Dalt ha fermato la nostra auto ed è venuto a controllare di persona che fossi presente. Poi con la sua moto ci ha scortati fino alla struttura. Mio papà sudava freddo, pensava davvero di non rivedermi più. Arrivati al centro siamo stati accolti da Cocchi, Martinella, Gianluigi Da Dalt e da tanti altri agenti. Che emozione!
Il centro è spettacolare. C’è una grande sala con enormi schermi sui quali polizia e corpo delle guardie di confine hanno tutto sotto controllo. Anzi, hanno detto che mi terranno d’occhio quando passerò ancora il confine, ma non so perché, in fondo sono un bravo ragazzo… Finito il giro, ci hanno offerto da bere e io ne ho approfittato per scattare alcune foto.
Sempre scortati dalla moto di Mattia, ci siamo spostati a Camorino per una visita al centro della polizia stradale. Appena entrati ho visto subito molte moto e vetture speciali. Ad un tratto, quel poliziotto della scorta che sembrava tanto gentile mi dice: “Bruno, ora però per te è finita!” e, detto fatto, mi ha sbattuto in una cella. Beh, ho capito subito che si trattava di uno scherzo, ma mio papà è svenuto ed ha avuto bisogno dei sali per rinvenire. Povero papà, così anziano e ancora così ingenuo!
Questa giornata è stata così memorabile che ho deciso di scrivere all’onorevole Norman Gobbi, che è a capo di tutti questi servizi. Sono rimasto di stucco quando Norman (sì, Norman, siamo diventati amiconi) mi ha invitato a visitare il carcere La Stampa a Lugano. Anche in questo caso mio papà ha avuto bisogno di soccorso e ricordo bene le parole che ha proferito a mia mamma: “Renata, questa è la volta buona, Bruno lo mettono in gabbia!”
Mia zia Silvia Beyer (eh, sì, mia mamma dice di essere brasiliana, ma è tedesca) appena l’ha saputo è saltata sul primo aereo pur di essere presente. Per una maggiore sicurezza, ho chiesto a mio fratello Mauro di accompagnarmi. In fondo, lui è un gigante che non ha paura di nessuno (tranne della mamma e della sua fidanzata).
Il 2 maggio, alle nove di mattina, ci siamo presentati davanti all’imponente muro del carcere. Subito la porta a sbarre si è aperta e ad attenderci abbiamo trovato il capo sorvegliante, Loris Rigolli. Appena ho visto la divisa ho avuto molto piacere, un po’ meno mio padre, ma sorvoliamo. Una volta entrati, ci ha accompagnati in una grande sala e ci ha chiesto di aspettare. Dopo poco chi vedo arrivare? Norman Gobbi in carne ed ossa! Nessuno ci credeva, è stato di una gentilezza incredibile ed è rimasto con noi per ben due ore e per tutta la durata della visita.
La struttura è davvero impressionante, con imponenti misure di sicurezza fatte di infinite porte e sbarre e videocamere di sorveglianza. L’organizzazione è perfetta, le celle sono ben tenute e dotate di televisione, l’area di ricreazione è molto ampia, e poi ci sono i laboratori di lavoro, le strutture accessorie e molto altro ancora. Forse perché influenzato dai film, pensavo di imbattermi in un ambiente teso e squallido, controllato da persone con i fucili sotto il braccio. Al contrario, ho percepito un clima persino amichevole, a dimostrazione del fatto che in Svizzera il nostro sistema sociale funziona bene.
Nel laboratorio di recente allestimento, dotato di macchinari per la stampa di tessuti e per incisioni laser, ho ricevuto tre regali molto belli: una camicetta con il mio nome e anno di nascita; una penna di legno, anch’essa con il mio nome e racchiusa in una custodia di legno a chiusura magnetica; una tavoletta di rara fattura e incisa con il laser, raffigurante il mio cantante preferito, Freddy Mercury (una volta ogni due mesi riguardo il film sulla sua vita).
Alla fine di questo giro, ho scattato altre foto che porterò nel cuore e che appenderò in stanza assieme a quelle della mia visita al CECAL. Per chiudere in bellezza, sono arrivati altri regali da parte del direttore, Stefano Laffranchini, di Loris Rigolli e di Norman Gobbi: grazie, ragazzi, vi tengo stretti nel cuore.
Confesso che, quando ce ne siamo andati, mio fratello Mauro ha pronunciato una frase un po’ inopportuna all’indirizzo di Loris: “Ciao, spero di non rivederti mai più!”
Articolo pubblicato nella rivista “Semi di bene” della Fondazione Otaf