Il centro di interessi non è prevalente. Conta la presenza continuativa dello straniero Ue.
I servizi dell’amministrazione pubblica in generale, compresi quelli del Dipartimento istituzioni, sono chiamati al rispetto delle leggi, delle ordinanze e della giurisprudenza. Giurisprudenza che cambia a seconda dell’interpretazione del diritto e che influenza giocoforza la prassi amministrativa. È quanto avvenuto, per esempio, in materia di concessione e rinnovo dei permessi di soggiorno nell’ultimo decennio. Negli scorsi giorni il Tribunale federale ha reso note due sentenze su altrettanti casi ticinesi che innovano ulteriormente la prassi in senso più liberale rispetto a quanto applicato dalla Sezione ticinese della popolazione. Secondo la massima istanza giudiziaria svizzera “(…) il mantenimento di un permesso di soggiorno presuppone un minimo di presenza sul territorio e che, per definire questa presenza, il legislatore non ha fatto capo né al criterio del centro degli interessi, né a quello del domicilio”. In pratica per il rinnovo di un permesso di soggiorno di tipo B di uno straniero proveniente da uno dei Paesi dell’Unione europea, il criterio del centro di interessi non è più prevalente. E inoltre, sempre secondo i giudici di Mon Repos, “(…) lo spostamento del domicilio rispettivamente del centro degli interessi (in pratica dove si ha la famiglia, ndr) non determina già la decadenza, che può subentrare unicamente se nel contempo sono date le condizioni previste dalla legge (…)”. Sono decisioni che cambiano di fatto la prassi ticinese e che influenzeranno non solo le pratiche per l’ottenimento e il rinnovo di un permesso di soggiorno, ma anche il diritto a eventuali aiuti sociali o allo statuto fiscale. Ne è convinto il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, che durante l’incontro stampa di ieri mattina ha presentato, con la responsabile della Sezione della popolazione Silvia Gada, le conseguenze pratiche delle due decisioni del Tribunale federale (del 3 settembre, pubblicate il 20) in ambito di residenze fittizie. «La prassi adottata dalla Sezione della popolazione è sempre stata improntata al rispetto della legge e del mandato popolare dei ticinesi e anche di parecchi atti parlamentari, di applicare in maniera restrittiva il diritto e gli accordi vigenti, ponendo un’elevata attenzione alla lotta contro gli abusi, siano essi sociali, economici o di ordine pubblico», ha spiegato Gobbi. In particolare, negli ultimi due casi, le sentenze di Losanna fanno riferimento a decisioni della Sezione della popolazione rispettivamente del 19 agosto 2015 e del 9 giugno 2016 a cui erano seguite sentenze del Tribunale cantonale amministrativo del 23 novembre 2019 e del 5 dicembre 2018.
La Sezione della popolazione, ha ribadito Gada, «si è sempre attenuta alle direttive della Segreteria di Stato della migrazione quale ufficio di riferimento che esercita la vigilanza sul suo operato. Direttive che imponevano di rilasciare il permesso per stranieri in corrispondenza alla situazione fattuale e al comportamento dello straniero». Per questa ragione si è sempre differenziato tra permessi B (soggiorno) e permessi G (frontalieri), soprattutto in Ticino, cantone di confine, dove la situazione è più complessa e articolata. «Abbiamo sempre seguito lo sviluppo della giurisprudenza in diversi ambiti, in particolare in quello dell’ordine pubblico e dei soggiorni fittizi», ha continuato Gada ricordando che già nel novembre del 2020 l’aspetto del centro di interessi era stato ridimensionato da una sentenza della massima Corte federale. “L’aspetto del centro degli interessi di una persona, cui fanno ampio riferimento le autorità ticinesi, ha in realtà una portata circoscritta, segnatamente alla procedura di decadenza, e che anche in quel contesto non costituisce affatto il criterio principale sul quale basarsi (…)”, scrivevano i giudici federali.
Quando decade il diritto al soggiorno
Secondo l’ultimissima giurisprudenza la decadenza interviene quando c’è una notifica di partenza per l’estero; sei mesi consecutivi trascorsi all’estero oppure rientri in Svizzera solo per brevi periodi; e infine se c’è lo spostamento degli interessi all’estero e vi si risiede, contemporaneamente, per oltre sei mesi. «L’entità di presenza effettiva è comunque tuttora da rilevare nell’ambito della procedura di rinnovo», ha spiegato Gada. Che precisa: «Come avvenuto in passato, il Tribunale federale e quello amministrativo tutelano i controlli e la raccolta di informazioni sia sulla documentazione trasmessa dalla persona straniera (consumi elettrici, telefonici eccetera), sia tramite preavvisi e segnalazioni dai Comuni e infine attraverso verbali e sopralluoghi amministrativi». In pratica, ha fatto notare Norman Gobbi, un titolare di permesso G (frontaliere) con rientro settimanale potrebbe, se lo desidera, ottenere un permesso B (dimorante) con tutte le conseguenze che si potranno avere in tema di aiuti sociali, assegni di prima infanzia e assoggettamento fiscale.
Va da sé che l’evoluzione delle decisioni negative per soggiorno fittizio è drasticamente calata negli ultimi sei anni: dalle 111 del 2015, alle 27 del 2001 con un picco di 272 (per evasione di arretrati, ndr) nel 2019 per un totale di 897 decisioni di non rinnovo. Stessa dinamica per le decisioni negative per pericolo dell’ordine pubblico: 163 nel 2015; 13 nel 2021 per un totale complessivo di 938 casi. «Anche per quest’ultima casistica i criteri di valutazione del rischio sono stati allentati dalla giurisprudenza federale che ha però mantenuto inalterati i parametri di controllo utilizzati per non rilasciare o non rinnovare permessi per attività lucrativa ad aziende bucalettere», ha rilevato il consigliere di Stato Gobbi. Ricordiamo che le società fittizie sono spesso la porta d’entrata alla criminalità organizzata di vario stampo e natura.
E in commissione Gestione? ‘Si va avanti’
La politica del Dipartimento istituzioni in materia di permessi è da mesi sotto la lente della commissione parlamentare della Gestione. «E continuerà a esserlo», assicura Ivo Durisch. «Anzitutto non mi è chiaro il richiamo di Gobbi al mandato popolare per giustificare una prassi restrittiva in materia di permessi – afferma il capogruppo socialista in Gran Consiglio –. Una prassi peraltro smentita su tutta la linea anche da queste ultime sentenze del Tribunale federale. Sono stati smentiti la Sezione della popolazione, il Servizio ricorsi del Consiglio di Stato e lo stesso governo. Come commissione siamo ancora in attesa che il governo ci trasmetta quanto da noi richiesto, fra cui le direttive interne per il rilascio dei permessi e quelle indirizzate ai Comuni per i controlli». Per il liberale radicale Matteo Quadranti «la conferenza stampa di oggi (ieri, ndr) è stato un tentativo di Gobbi di buttare acqua sul fuoco, non per niente si è tenuta a poco più di una settimana dall’audizione in Gestione di sindacati e associazioni padronali, che ci hanno fatto un quadro della situazione poco rassicurante sulle modalità con cui la Sezione della popolazione procede sul fronte dei permessi. E ci sono sentenze del Tf che stigmatizzano queste modalità. Senza dimenticare che non tutte le decisioni della Sezione vengono impugnate e soggette pertanto a una verifica giudiziaria».
Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 23 settembre 2021 de La Regione
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Permessi, altolà da Losanna
Il Tribunale federale adegua la giurisprudenza in materia di diritto degli stranieri – Ora il concetto di «centro degli interessi» non è più decisivo in caso di revoca o decadimento – Norman Gobbi: «Ci adeguiamo ma manteniamo alta la guardia contro gli abusi»
Negli scorsi anni, il Dipartimento delle istituzioni ha applicato in maniera molto restrittiva la Legge sugli stranieri nell’ambito della concessione – o della revoca – di permessi di dimora. In particolare, per poter beneficiare di un’autorizzazione di soggiorno lo straniero doveva risiedere in maniera continuativa nel nostro cantone e, soprattutto, avere proprio in Ticino il proprio «centro degli interessi». Ebbene, nel corso dell’ultimo anno qualcosa è cambiato e il concetto di «centro degli interessi » è stato ridimensionato dalla giurisprudenza del Tribunale federale. Un primo aggiornamento della giurisprudenza era entrato in vigore nel novembre del 2020, quando l’Alta corte federale aveva emesso due sentenze relative ad altrettanti casi ticinesi risalenti a 6 e 5 anni in cui, in estrema sintesi, veniva spiegato che « l’aspetto del centro degli interessi di una persona, cui fanno ampio riferimento le autorità ticinesi, ha in realtà una portata circoscritta, segnatamente alle procedure di decadenza del permesso, e anche in quel contesto non costituisce affatto il criterio principale sul quale basarsi ». Un anno dopo, più precisamente il 3 settembre 2021, i giudici di Mon Repos emettono altre due sentenze in cui specificano ulteriormente la propria prassi. Nei dispositivi si legge infatti che «il mantenimento di un permesso di soggiorno presuppone un minimo di presenza sul territorio svizzero e che, per definire questa presenza, il legislatore non ha fatto capo né al criterio del centro di interessi, né a quello del domicilio ».
Una zona grigia
Ma cosa implica, in sostanza, la decisione di Mon Repos? Prima delle sentenze del Tribunale federale, se lo straniero lavora in Ticino in settimana e nel fine settimana rientra regolarmente in Italia per far visita alla moglie, al marito o ai parenti, rischia la revoca del permesso B. Con la nuova giurisprudenza del Tribunale federale, invece, questo aspetto non è centrale. In parole povere, se prima dell’adeguamento sarebbe stato corretto concedere un permesso G per questo tipo di situazione, ora è ammissibile anche rilasciare un permesso B. Questa resta in ogni caso una zona grigia che andrà chiarita e il Dipartimento segnalerà eventuali correttivi all’autorità federale. Tra questi, ha spiegato il direttore Norman Gobbi in conferenza stampa, vi è il rafforzamento dell’autonomia economica.
Le verifiche sul territorio
Per poter beneficiare dell’autorizzazione di soggiorno è dunque richiesta una presenza sul territorio di almeno sei mesi e il fatto di non rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico, mentre la fiscalità non può essere un elemento determinante. In ogni modo, le verifiche eseguite dalla Sezione della popolazione, che ha competenza sul rilascio dei permessi, vengono tutelate. Come spiegato dalla capo Sezione della popolazione, Silvia Gada, «nel decidere sul rinnovo ci si basa sulla documentazione fornita dalla persona che chiede il permesso, sui preavvisi di segnalazione dei Comuni e, raramente, su verbali e sopralluoghi amministrativi ». Proprio questi controlli «vengono effettuati solo se la situazione non è chiara ». Resta da chiarire l’aspetto delle residenze fittizie. Il Tribunale federale ha specificato che un permesso decade: con la notifica di partenza per l’estero; con 6 mesi consecutivi all’estero oppure rientri in Svizzera solo per brevi periodi; con lo spostamento degli interessi/del domicilio all’estero e un soggiorno oltreconfine superiore ai 6 mesi. In parole povere, affittare un appartamento «di comodo » in Ticino per poi vivere all’estero, magari con saltuari rientri in Svizzera, continua a non essere ammissibile. «Ci adeguiamo ma manteniamo alta la guardia contro gli abusi », ha sottolineato Gobbi. E in questo senso, « i controlli sul territorio restano garanzia della sicurezza dei cittadini».
Cifre in calo
Come prevedibile, l’adeguamento alla giurisprudenza del Tribunale federale ha portato ad alcuni cambiamenti. Nel 2021 le decisioni negative riguardo al rilascio di permessi sono state finora 40. Di queste, 27 motivate con un soggiorno fittizio e 13 con motivi portato ad alcuni cambiamenti. Nel 2021 le decisioni negative riguardo al rilascio di permessi sono state finora 40. Di queste, 27 motivate con un soggiorno fittizio e 13 con motivi di ordine pubblico. Un dato in netto calo rispetto agli scorsi anni: nel 2020 le prime si attestavano a 163 e le seconde a 98, mentre nel 2019 ci sono stati ben 272 casi di soggiorno fittizio e 148 legati a motivi di ordine pubblico.
Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 23 settembre 2021 del Corriere del Ticino
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I criteri in base a cui l’Ufficio della migrazione ticinese decide se rilasciare o no un permesso di soggiorno sono da rivedere. Lo hanno stabilito alcune recenti sentenze del Tribunale Federale, presentate oggi in conferenza stampa dal direttore del Dipartimento Istituzioni Norman Gobbi e dalla capo Sezione della popolazione Silvia Gada.
I giudici di Mon Repos hanno in particolare rilevato come “L’aspetto del centro degli interessi di una persona, cui fanno ampio riferimento le autorità ticinesi, ha in realtà una portata circoscritta (…) e non costituisce affatto il criterio principale sul quale basarsi”. Una sentenza datata novembre 2020, che quest’anno, introducendo di fatto parametri meno restrittivi, si è tradotta con un calo dei permessi negati rispetto ai quantitativi degli ultimi anni: 40 da inizio 2021 contro, ad esempio, le 263 decisioni negative dell’anno scorso o le 274 del 2015.
Secondo il Tribunale Federale, infatti, le condizioni per far decadere un permesso sono, nell’ordine: una notifica di partenza per l’estero; 6 mesi consecutivi all’estero; spostamento del centro degli interessi/domicilio all’estero e, contemporaneamente, 6 mesi all’estero. Una giurisprudenza che agli occhi del consigliere di Stato Norman Gobbi fa chiarezza ma potrebbe anche portare a maggiori abusi. “Occorreranno più controlli, non solo da parte dell’Ufficio della migrazione ma da tutte le autorità preposte per capire se effettivamente una persona risiede sul nostro territorio e ha quindi diritto a tutta una serie di prestazioni”, ha spiegato Gobbi.
Un dossier, quello dei permessi, che ha sempre scaldato gli animi. In una puntata di Falò dell’anno scorso erano stati denunciati controlli ritenuti smisurati, ciò che aveva attivato anche la Commissione della Gestione. Alla domanda se la decisione del TF sconfessi la politica adottata dal DI negli ultimi anni Gobbi risponde così: “Cambia la prassi finora utilizzata. Siamo sempre stati molto rigorosi perché la popolazione, in ambito di migrazione, ce lo ha sempre chiesto”.
https://www.ticinonews.ch/ticino/permessi-di-soggiorno-cambia-la-prassi-YA4662573
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Permessi negati in calo
La giurisprudenza del Tribunale federale ha comportato un netto calo delle decisioni negative in Ticino – Il centro di interessi non così importante
Le decisioni negative riguardo al rilascio di permessi a cittadini stranieri in Ticino sono state finora 27 motivate con un soggiorno fittizio e 13 con questioni di ordine pubblico dall’inizio dell’anno. Un dato in netto calo rispetto al recente passato, se si pensa che nel 2020 le prime superavano le 160 unità e le seconde sfioravano ancora il centinaio, dopo aver sfondato quota 200 nel 2017. Sono queste le cifre presentate oggi, mercoledì, in conferenza stampa da Norman Gobbi e dalla caposezione della popolazione Silvia Gada.
I numeri in calo sono la conseguenza – è stato detto – della giurisprudenza del Tribunale federale, che non ha confortato la prassi restrittiva adottata dalle autorità cantonali, con due sentenze del novembre 2020 relative ad altrettanti casi ticinesi risalenti a 6 e 5 anni fa. “Ci adeguiamo ma manteniamo alta la guardia contro gli abusi”, ha detto il capo del Dipartimento delle istituzioni.
Mon Repos ha in particolare stabilito che l’aspetto del cosiddetto “centro vita e interessi” a cui si faceva riferimento nelle decisioni della sezione e confermate poi dal TRAM “ha una portata circoscritta alla decadenza del permesso e anche in questo contesto non è affatto è il criterio principale”. Pochi giorni fa, la massima corte elvetica ha poi “chiarito in modo inequivocabile” – parole di Silvia Gada – la definizione di soggiorno. “Lo spostamento di domicilio e di centro di interessi da solo non determina la decadenza”, scrivono i giudici di Losanna, “che interviene quando c’è la notifica di una partenza per l’estero” o in caso di assenza continuata di almeno 6 mesi.
I controlli delle presenze restano da fare, ha tuttavia sottolineato l’alta funzionaria cantonale, e sono la base delle decisioni sia positive che negative, anche da parte del TRAM e del TF. Solo di rado, ha precisato, sono necessari sopralluoghi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi la documentazione fornita (per esempio le bollette dell’elettricità) è sufficiente.
Anche i criteri relativi al pericolo per l’ordine pubblico – fra i quali gravità e lontananza nel tempo dei reati commessi – sono stati precisati attraverso la giurisprudenza. “Una truffa di 6 o 10 anni fa non può più essere considerata”, ha detto Gobbi, che vede invece confermata la prassi rigorosa adottata contro le ditte fittizie, le cosiddette società bucalettere. Il consigliere di Stato si è soffermato sulle conseguenze per il Cantone di quanto stabilito a Losanna: è da prevedere un impatto su altri settori di attività pubblica, fra gli altri quello fiscale, delle assicurazioni sociali e fondiario per la possibilità di acquisto di terreni o beni immobili.
La questione permessi tiene banco da un paio di anni ormai, sollevata da sindacati e padronato. Era stata il tema di una puntata di Falò del 2020, in cui si evidenziavano controlli giudicati spropositati, rifiuti e revoche di permessi per questioni ritenute minori. Se ne sta occupando la Commissione della gestione del Gran Consiglio, a cui spetta l’alta vigilanza. In una procedura rallentata dall’emergenza Covid, l’anno scorso era stato sentito proprio Gobbi. La settimana scorsa è stato il turno di padronato e sindacati e ieri, martedì, i commissari hanno tirato le somme e deciso di andare avanti.
Per Anna Biscossa, presidente della Gestione, “le audizioni hanno portato una serie di elementi che impongono di chiarire meglio se alcune difficoltà che si sono registrate sono ancora in vigore o se effettivamente tutto è stato risolto”.
https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Permessi-negati-in-calo-14740968.html
Da www.rsi.ch/news
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