Qual è il suo commento su questi fatti incresciosi? «La polizia è intervenuta a seguito di una rissa scoppiata fra alcuni giovani – risponde Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle istituzioni –. Il mancato rispetto delle norme anti-Covid-19 è stato eclatante nella notte alla Foce dove si sono riuniti giovani in numero impressionante. La Polizia avrebbe comunque dovuto intervenire». Lei, venerdì dopo la conferenza stampa di Berna, ha evocato il rischio che col passare del tempo le limitazioni potessero generare insofferenza. Quanto capitato alla Foce, potrebbe rientrare in questa interpretazione? «Le potenziali aperture annunciate dieci giorni fa dal Consiglio federale, poi smentite venerdì scorso, aumentano ancora di più quella carica d’insoddisfazione, di rabbia e si possono generare fenomeni che sono poi da gestire e da affrontare sul territorio. Quindi vale la pena fare una riflessione su quale sia la maniera migliore per gestire questa crescente insofferenza da parte soprattutto dei giovani, che sono in giro anche se gli spazi e i locali pubblici sono o vengono chiusi. Questo scenario è potenzialmente esplosivo – osserva Gobbi –. La categoria dei giovani è forse quella meno abituata a resistere. Probabilmente servono altre risposte. Le risposte da parte dei giovani, però, non possono essere quelle deprecabili che abbiamo visto nei filmati, in cui si prende di mira la pattuglia e le forze di primo intervento, ambulanza compresa, che è arrivata sul posto per prestare soccorso. Il rispetto chiede rispetto. La situazione di pandemia pone limitazioni ma queste si potrebbero affrontare cercando di conquistarsi alcune libertà. Però libertà non significa prendere di mira in maniera intollerabile le forze dell’ordine intervenute a ripristinare il quieto vivere e la civile convivenza fra le persone. Le autorità sono confrontate a un fenomeno che va affrontato anche con altre misure non solo quelle di polizia. Per il disagio che si manifesta come necessità di ritrovare momenti aggregativi occorre una strategia su più fronti. Una risposta di comunità che parte dalle famiglie, tra genitori e figli, per investire anche la scuola, dove i docenti devono continuare a tenere un dialogo con gli studenti per portarli a condannare la violenza e a trovare altre forme di aggregazione. Servono altri strumenti oltre a quello repressivo. La polizia si sta riorganizzando per avere una visione d’insieme. Diverse centinaia di giovani che vogliono stare assieme vanno comunque gestiti anche in un’ottica preventiva». Cosa ne pensa di una nuova chiusura della Foce? «La questione, come accennavo, va affrontata su più fronti, proprio perché assistiamo a manifestazioni che esprimono un’insofferenza della popolazione che vive male queste limitazioni sia a sud delle Alpi che nel resto della Svizzera».
Articolo pubblicato nell’edizione di lunedì 22 marzo 2021 de La Regione