Il pugno, il sasso e la bicicletta

Il pugno, il sasso e la bicicletta

 

C’è una relazione tra le manifestazioni di intollerabile violenza – anche contro le forze di primo intervento chiamate a garantire la sicurezza di persone e beni – a cui assistiamo da parte di giovani individui e il perdurare delle chiusure? Domanda retorica: la relazione è evidente. I giovani, dopo mesi di scarsissime opportunità aggregative, non ci stanno più dentro per dirla nel loro gergo. La stragrande maggioranza di loro, come moltissimi adulti, riesce ancora a stringere il pugno in tasca e a ritrovarsi rispettando comunque le regole. A loro va tutta la mia considerazione e ammirazione. Alcuni gruppuscoli, approfittando della situazione, il pugno invece lo sferrano realmente o usano quella stessa mano per raccogliere sassi e bottiglie, scagliandoli contro soccorritori e agenti della polizia (a cui esprimo solidarietà e incoraggiamento!), che devono muoversi in un contesto quasi surreale.

Viviamo settimane davvero difficili. Dando il dovuto rispetto a quanto l’autorità federale ci impone, mi chiedo – e con me molte e molti ticinesi – se davvero il Consiglio federale ha capito quanto stia avvenendo a livello sociale (senza parlare qui delle conseguenze economiche). Ci sono misure tra loro contraddittorie: come giustificare la possibilità di trovarsi per una festa o una cena in 10 a casa e invece proibire di andare al ristorante in 4 attorno a un tavolo? Il tutto inserito in un contesto sanitario che, almeno guardando al Ticino, chiede prudenza senza ancora allarmare. Siamo riusciti tutti assieme a far diminuire drasticamente l’occupazione negli ospedali (ieri 70 ammalati COVID di cui 6 in cure intense). La terza ondata più volte annunciata non è partita. E le vaccinazioni – per le quali mi auguro che la Confederazione garantisca l’opportuna consegna di dosi per soddisfare la forte richiesta che abbiamo in Ticino – ci condurranno verso un drastico abbassamento del numero di ammalati gravi fino all’immunità di gregge. La paura credo abbia fatto novanta all’interno del Consiglio federale. Una scelta che, come detto, dobbiamo rispettare, ma che fa sorgere dubbi e insoddisfazione tra la nostra gente come nel resto del Paese.

Oggi, come ieri, dobbiamo dare una risposta di comunità, che si deve costruire in famiglia, tra genitori e figli, ma anche a scuola con il dialogo tra docenti e allievi per invitare chi sta subendo più di tutti senza più capire i perché – i nostri giovani – a trovare risposte d’aggregazione che non portino alla violenza e, anzi, a condannarla.

Abbiamo imparato negli ultimi 12 mesi a combattere il virus. Questo virus non deve annebbiare oggi le nostre teste. Per non giungere, quasi al termine di questa battaglia giocata su equilibri delicati, ad affermare, come qualcuno ha già scritto proprio ieri: «Abbiamo incendiato la casa per salvare la bicicletta».

Opinione pubblicata nell’edizione di lunedì 22 marzo 2021 del Corriere del Ticino