Articolo pubblicato nell’edizione di martedì 2 febbraio 2021 del Corriere del Ticino
Il Consiglio di Stato chiede l’introduzione di test per i viaggiatori che rientrano in Ticino da oltreconfine e il divieto di recarsi all’estero per fare la spesa o andare al ristorante
Norman Gobbi: «Vogliamo evitare che quello che da noi è vietato venga fatto altrove»
La Lombardia, come quasi tutta l’Italia, è tornata a colorarsi di giallo. Dopo un mese di restrizioni, quindi, i nostri vicini di casa possono tornare a riassaporare un po’ di libertà. Una normalità che ha il sapore di un pranzo al ristorante o di un aperitivo al bar. Gli allentamenti decisi dal Governo italiano hanno però delle conseguenze anche sulla Svizzera, o perlomeno sul Ticino. Da ieri sono infatti cadute le restrizioni per chi intende attraversare il confine. Se prima si poteva sconfinare solo per «comprovate necessità» o per ragioni lavorative, ora chi vuole andare in Lombardia per turismo (compreso quello degli acquisti) o per riabbracciare un familiare può farlo liberamente, a patto di essersi sottoposto, nelle 48 ore antecedenti all’ingresso nella Penisola, a tampone (PCR o rapido) risultato negativo. Così, pagando gli 80 franchi necessari per effettuare un test rapido, niente potrà vietare a un cittadino ticinese di recarsi sabato a Como e fare due passi in centro, pranzare al ristorante e, magari, sulla strada di ritorno fermarsi al supermercato per fare la spesa. Un sabato normale, si direbbe. Perlomeno in epoca pre-COVID.
Lì si apre, qui è chiuso
Oggi, invece, le possibilità offerte dalla vicina Penisola cozzano con le misure decretate in Svizzera dal Consiglio federale. Da noi, come sappiamo, fino a fine mese non sarà possibile andare al ristorante, né al bar, e molti negozi resteranno chiusi. Proprio il disequilibrio venutosi a creare dopo le nuove regole entrate in vigore in Italia ha spinto il Consiglio di Stato ticinese a scrivere a Berna per chiedere l’introduzione di contromisure puntuali per scoraggiare il turismo degli acquisti e, più in generale, ridurre gli spostamenti dei ticinesi. Il Governo teme infatti che una maggiore circolazione delle persone lungo la frontiera possa vanificare tutti gli sforzi messi in campo finora per contenere i contagi.
Le richieste
Da Palazzo delle Orsoline è quindi partita ieri una missiva indirizzata al Consiglio federale per chiedere l’introduzione urgente di nuove misure per «limitare la mobilità non essenziale da e per l’Italia». Provvedimenti che – viene sottolineato nella lettera – sono peraltro in linea con le misure già in vigore in alcuni degli Stati limitrofi, come ad esempio l’Italia. L’Esecutivo ticinese avanza una duplice richiesta. Da un lato, il Governo sostiene che bisognerebbe prevedere l’introduzione di test rapidi alla frontiera per i viaggiatori che rientrano in Svizzera o, in alternativa, l’obbligo di presentare un tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti. Una misura, questa, che varrebbe solo per chi si sposta oltreconfine per motivi non professionali. In aggiunta, il Consiglio di Stato chiede a Berna il ripristino del divieto di recarsi all’estero per fare la spesa o per andare al ristorante, con relativa sanzione per chi trasgredisce la regola. Il provvedimento ricalcherebbe in sostanza quanto avvenuto la scorsa primavera, durante la prima ondata della pandemia, quando il Consiglio federale aveva imposto temporaneamente delle restrizioni alle condizioni di entrata in Svizzera e vietato il turismo degli acquisti. Per chi veniva pizzicato al rientro in Svizzera con la spesa o con compere fatte all’estero la multa era di 100 franchi.
Parità di trattamento
«In sostanza, chiediamo che venga applicato un coordinamento necessario per i territori di confine. Per noi, come cantone di frontiera e con relazioni intense con la Lombardia, è fondamentale tenere d’occhio quanto accade dall’altra parte del confine e, soprattutto, evitare che ciò che da noi non è consentito venga fatto altrove», spiega il presidente del Governo Norman Gobbi. Una questione di equità, secondo Gobbi, così come «di controllo preventivo». «Per noi è essenziale tenere monitorata la situazione ed evitare una disparità di trattamento. Per fare solo un esempio, in Italia i ristoranti sono aperti, benché solo fino alle 18, mentre qui rimangono chiusi del tutto. Ai nostri concittadini chiediamo quindi prudenza e attenzione, anche per evitare il rischio di gettare alle ortiche quanto di buono fatto finora».
Uno dei rischi, evidenzia il presidente del Consiglio di Stato, è che una maggiore circolazione delle persone porti a un aumento dei contagi. «Fortunatamente – prosegue – al momento in Lombardia il numero delle infezioni è relativamente basso, ma già in passato abbiamo visto che se i contagi salgono, le conseguenze sono visibili anche sul nostro territorio». L’obbligo del tampone che l’Italia ha imposto a chi entra, secondo il consigliere di Stato, può sì essere un freno, ma d’altro canto «non ho prove di effettivi controlli da parte delle autorità italiane. Né in frontiera, né sul territorio. Questa misura, quindi, rischia di essere puramente declamatoria».
Quella inviata ieri dal Governo ticinese è la quarta lettera in pochi mesi all’indirizzo delle autorità federali, che finora non hanno mai dato seguito alle richieste. Potrebbe essere diverso questa volta? «So che sono in corso delle riflessioni a livello federale su questo fronte – sottolinea Gobbi – e bisognerà capire se e come Berna deciderà di intervenire. Da parte nostra chiediamo un segnale. Soprattutto perché sappiamo che oltreconfine i controlli sono pressoché assenti. Le multe per il turismo degli acquisti sarebbero quindi un’estrema ratio. Come autorità cantonale ci rivolgiamo alla popolazione chiedendo di essere prudenti, in attesa di capire se la Confederazione potrà trovare soluzioni puntuali, pensate per la nostra realtà».