Articolo pubblicato nell’edizione di martedì 21 luglio 2020 del Corriere del Ticino
Sinora sono 166 le persone finite in quarantena dopo essere rientrate da un Paese a rischio Quante quelle che non si sono autodenunciate? Norman Gobbi: «Lottiamo con armi spuntate e occhi bendati»
«Dal 6 luglio 2020 vige l’obbligo di quarantena per chi entra in Svizzera da determinate regioni. Le autorità cantonali effettuano controlli a campione del rispetto della quarantena». Questo quanto riportato all’interno del sito dell’UFSP. Si parla di obbligo in vigore – appunto dal 6 luglio – e di compiti ben definiti a carico delle autorità cantonali. Già, ma qualcosa in questo senso non funziona. Le stesse autorità cantonali si ritrovano oggi con le mani legate, impossibilitate a dare una concreta risposta a questo problema. Il controllo delle frontiere infatti non riguarda le autorità cantonali: è tema federale. Ecco perché la scorsa settimana il Governo ticinese ha fatto richiesta scritta a Berna: vuole controlli più scrupolosi e specifici proprio lì, alle frontiere. Norman Gobbi: «I compiti di controllo alle dogane sono di competenza federale, quindi da una parte la verifica, dall’altra la messa a disposizione delle liste. Altrimenti per i Cantoni è come cercare un ago in un pagliaio. Ne va della protezione della salute pubblica».
Manca un riferimento
Il numero fatto da Gobbi è uno soltanto: 166 persone si sono annunciate – gran parte da Serbia e Macedonia del Nord – e, di conseguenza, messe in quarantena. Manca però un altro numero, fondamentale, quello delle persone realmente rientrate da un Paese considerato a rischio. Manca un riferimento chiaro. «Il problema è proprio questo: sapere quante persone si sono recate nei Paesi inseriti nella lista rossa tracciata dalla Confederazione. È quella la difficoltà che abbiamo. E ci troviamo a lottare con armi spuntate e occhi bendati, proprio perché non abbiamo l’effettivo controllo delle frontiere né la disponibilità delle liste di volo di chi rientra. Possiamo averle di chi rientra a Zurigo, ma non di chi rientra su Malpensa». Chiediamo al presidente del Consiglio di Stato se per caso non ritiene che Berna stia sottovalutando il problema, o quantomeno le difficoltà dei singoli Cantoni. «Non posso dire se Berna stia o meno sottovalutando tutto ciò, però non tiene conto di quelle che sono le nostre necessità nel poter fare dei controlli davvero efficaci. Di queste 166 persone, alcune si sono autocertificate, altre ci sono state segnalate, a volte anche da vicini di casa o colleghi, ma è chiaro che rintracciare chi non si autodenuncia è un compito difficilissimo. E poi anche a fronte delle segnalazioni che ci vengono fatte, non possiamo pensare di muovere la polizia, non sarebbe proporzionato. Tutto passa dal contact tracing». Insomma, mani legate.
I dati sono preoccupanti
Dall’Amministrazione federale delle dogane ci era stato spiegato di come fosse impossibile, in questo momento, aumentare i controlli alle frontiere. Il traffico è tornato quello «normale», pre-coronavirus, per cui rendere i controlli più scrupolosi significherebbe – al di là di un maggiore carico sui funzionari – un’ulteriore crescita del traffico, con potenziali ingorghi. Ora quindi il Cantone che tipo di risposta si aspetta? Gobbi spiega: «Eravamo stati i primi a chiedere maggiori controlli in dogana durante la prima ondata di COVID-19, ora ci ritroviamo, sempre noi, a sollevare questo problema. D’altronde sappiamo che il movimento internazionale è un grande diffusore del virus. E certi dati di quest’ultimo periodo, di chi rientra, equivalgono a un segnale di forte preoccupazione per noi». Metà dei nuovi casi positivi sono infatti legati a rientri da vacanze all’estero. Pochi gli strumenti a disposizione, al di là di questa richiesta alla Confederazione. Sensibilizzare? «Il problema è che molti non si autodenunciano per non rinunciare a dei giorni di vacanza. Chi in questo momento si reca in zone a rischio, si rende conto di comportarsi in maniera negligente. E allora ecco che l’unico invito che possiamo fare è di non recarsi in queste zone. Anche perché in molti casi chi rientra si scopre positivo». La minaccia della multa non è per ora un deterrente. «È vero che alla prima sanzione, che sarà pesante, si potrà avere anche un effetto educativo».