Articolo pubblicato nell’edizione di mercoledì 24 ottobre 2018 del Corriere del Ticino
Lotta e prevenzione: conferenza a Lugano sul ruolo delle forze di sicurezza e militari.
Sottolineata l’importanza delle sinergie – Della Valle: «Si deve migliorare ogni giorno»
Certezze, non ce ne sono. Garanzie, nemmeno. Se la materia è il terrorismo e la posta in gioco l’incolumità di noi tutti, bisogna prenderne atto. E vigilare. Parola del consigliere di Stato Norman Gobbi, che ieri – dopo il saluto di Marco Netzer, presidente dell’Associazione per la Rivista militare svizzera di lingua italiana (ARMSI) – ha così introdotto la conferenza tenutasi al LAC. Tema: il ruolo delle forze di sicurezza e militari nella lotta e nella prevenzione del terrorismo.
“Da un lato, il nostro Cantone e la Svizzera hanno effettivamente la fortuna di non aver mai vissuto ciò che altre nazioni, alcune vicine a noi, hanno dovuto più volte patire”, ha spiegato Gobbi, che da agosto è a capo della Rete integrata Svizzera per la sicurezza. “D’altro canto, sarebbe alquanto incauto starsene immobili e passivi, correndo il rischio di farci cogliere impreparati nel caso fossimo confrontati con un evento estremo”. Il consigliere di Stato ha esortato gli attori coinvolti a collaborare. Non solo a livello preventivo, ma anche per quanto riguarda la sensibilizzazione e l’”uso repressivo della forza”. Ha poi menzionato il portale per la prevenzione contro la radicalizzazione e gli estremismi violenti in Ticino (opera congiunta di DI, DECS e DSS), che verrà presentato il 5 novembre.
“Siamo sempre al fronte”
Il colonnello Matteo Cocchi, comandante della Polizia cantonale, ha sottolineato la peculiarità del contesto svizzero, che – analogamente alle tre regioni linguistiche e culturali – conosce tre differenti modi di lavorare dal punto di vista della polizia, nonché i concordati di polizia (di cui Zurigo ed il Ticino non sono membri). Essendo i Cantoni i responsabili della sicurezza interna, “siamo sempre al fronte”. Si registra tuttavia una “moltitudine di enti preposti alla sicurezza”: la fedpol, le polizie cantonali e municipali, il SIC, il Corpo delle Guardie di confine e l’attività giudiziaria legata ai ministeri pubblici e all’MPC. Un chiaro esempio dell’importanza delle sinergie, anche internazionali, è il caso Moutaharrik: grazie al lavoro di polizia cantonale, SIC, MPC e polizia federale si è giunti all’arresto all’estero. Cocchi ha poi evidenziato le misure prese a seguito degli attacchi del 2015, sia a livello svizzero (come la creazione di uno Stato maggiore di condotta della polizia) sia a quello ticinese (dispositivi di difesa messi in atto per Expo 2015 e oggi ancora attivi). La parola è poi passata al brigadiere Peter Candidus Stocker, comandante dell’Accademia militare al Politecnico di Zurigo, che ha spiegato come “la minaccia rimanga elevata”. Gli attacchi terroristici di tipo chimico, biologico, radiologico e nucleare richiedono interventi all’insegna della collaborazione civile e militare; ed è in questo ambito che si può parlare di ruolo sussidiario dell’esercito. La sussidiarietà, definita nella legge militare, determina il ruolo di sostegno alle autorità civili quando le risorse non sono più sufficienti. Dal canto suo, il colonnello Andrea Torzani, comandante provinciale Corpo dei Carabinieri di Como, ha illustrato la strategia dell’Arma: proiettare stabilità ed esportare il “modello Carabinieri” all’estero. L’attività della cosiddetta polizia di stabilità si suddivide nella polizia esecutiva (l’Arma sostituisce le forze di polizia collassate o in via di ricostruzione in teatri postconflittuali, anche nell’ambito della lotta al terrorismo), nella polizia di rafforzamento e nella “military diplomacy”. Tra le expertise da valorizzare, ci sono la tutela del patrimonio culturale, la protezione del patrimonio agro-forestale e la tutela delle identità culturali. Torzani ha infine sottolineato la doppia anima dell’Arma: civile e militare.
La sfida: il volume di informazioni
Si è quindi aperto un dibattito moderato dal già direttore del Corriere del Ticino Giancarlo Dillena a cui ha partecipato, oltre ai relatori, anche la direttrice della fedpol, Nicoletta della Valle. Della Valle ha ricordato come la sfida più importante per quanto riguarda il terrorismo sia la quantità di informazioni, anche a livello europeo: scambiarsi informazioni tra le varie polizie e riconoscere l’informazione giusta e importante in quel momento. “Il lavoro e la cooperazione sono buoni, ma come polizia federale ogni giorno dobbiamo migliorare”. La priorità: rimanere nello spazio Schengen. “Non serve una hotline nazionale per la famiglia che ha paura che il figlio si sia radicalizzato: la mamma va a chiamare il poliziotto municipale, che conosce”, ha detto, sottolineando l’importanza della conoscenza reciproca in Svizzera. La direttrice di fedpol ha quindi precisato che la lotta al terrorismo deve cominciare nella società. Quanto al cybercrimine, è necessaria la cooperazione internazionale, ma anche la prevenzione: “Vent’anni dopo la creazione di Internet c’è sempre gente che in Rete si comporta in modo irresponsabile”.