Intervista pubblicata nell’edizione di martedì 31 luglio 2018 del Corriere del Ticino
Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia
Il presidente della Regione Lombardia sulla Svizzera e la «Roma ladrona» che non c’è più.
Il Consiglio di Stato e la Regione Lombardia oggi tornano al tavolo delle discussioni. Il 25 maggio il numero uno lombardo, il leghista Attilio Fontana, era stato ricevuto a Palazzo delle Orsoline e ora tocca al presidente dell’Esecutivo Claudio Zali e all’altro leghista Norman Gobbi recarsi a Milano. L’incontro è stato voluto per fare un passo in avanti nella definizione di una road map per trovare soluzioni condivise lungo il confine dopo anni di strappi e sgambetti: dalle liste nere italiane ai ristorni dei frontalieri congelati. Il Corriere del Ticino ha intervistato il presidente della Regione Lombardia Fontana che sottolinea il cambio di passo del nuovo Governo italiano con Lega e Movimento 5 stelle.
Questa mattina Regione Lombardia e Canton Ticino torneranno al tavolo. Con quale spirito affronta questo nuovo tentativo di riavvicinamento?
«Con spirito assolutamente costruttivo e, lasciatemi dire, anche con spirito da autonomista quale sono e pertinente con le politiche che sto attuando, dato che in questi giorni ho anche formalizzato la richiesta del progetto di maggior autonomia al Ministro italiano Stefani. I tavoli con il Canton Ticino hanno come obiettivo di individuare le priorità dei progetti tra Regione Lombardia e Canton Ticino: sono convinto che la progettualità, e quindi le priorità, debbano essere stabilite dai territori e questo lo abbiamo condiviso con gli amici ticinesi che hanno certamente un grado di autonomia gestionale superiore rispetto a quella lombarda. L’auspicio è quello di arrivare ad un livello di autonomia simile a quello che hanno i Cantoni in Svizzera».
Da anni dai due fronti della frontiera ci si guarda con diffidenza reciproca. Come lo spiega?
«È evidente che ci possono essere anche degli interessi contrapposti, ma credo che la formula che stiamo utilizzando sia quella vincente. Laddove ci siano delle esigenze o posizioni diverse, grazie al confronto obiettivo e costruttivo, si possono trovare le soluzioni. Questo è il metodo che stiamo utilizzando».
Nel 2011 la maggioranza del Governo aveva congelato parte dei ristorni dei frontalieri. Fu quella mossa a creare uno strappo fino ad oggi apparso come non ricucibile?
«Durante il recente incontro avuto a Bellinzona con il presidente e il Governo ticinese, abbiamo parlato anche dei ristorni dei frontalieri. La richiesta del Governo ticinese era quella di utilizzare queste risorse per migliorare i collegamenti viari e ferroviari o in quei progetti che possono comportare un alleggerimento delle situazioni creatasi con i frontalieri (che sono quasi 64.000). Da questo punto di vista ci siamo permessi di segnalare che l’attuale Governo italiano ha una forte sensibilità nei rapporti con la Svizzera e il Ticino che è oggettivamente superiore rispetto ai Governi che si sono succeduti fino ad ora e conosce perfettamente i problemi che vi sono tra la Svizzera e i territori lombardi confinanti. Questa è l’occasione per avere un Governo a Roma che possa incidere nella risoluzione definitiva di quei problemi che sono cronici e storici. Con un Governo amico e sensibile riusciremo ad affrontare delle problematiche che sono state lasciate in sospeso a livello nazionale».
In sostanza lei cosa proporrà oggi alla delegazione leghista che verrà a Milano?
«Più che una proposta saranno istituiti tavoli di lavoro su singole tematiche, con un livello tecnico che cercherà di trovare soluzioni comuni e un momento politico che a seguito di risultanze tecniche, determinerà, nell’ordine dei progetti, quali sono ritenuti prioritari. Una volta stilata una graduatoria, sarà a cura di Regione Lombardia trasferire questo elenco al Governo di Roma e da parte del Cantone del Ticino fare altrettanto con la Confederazione e quindi con Berna. Tutto questo deve però fare seguito ad un momento di sintesi da parte dei territori che sono quelli che effettivamente conoscono le problematiche e come affrontarle».
Si è parlato di una road map. Ma questa non è la solita roboante definizione in politichese, ma priva di sostanza?
«Direi esattamente il contrario. Credo che sia un passaggio fondamentale e concreto. Poi se vogliamo utilizzare un altro termine va bene lo stesso, ma si tratta di incontri costruttivi».
Il nodo da sciogliere, in fin dei conti, è l’accordo fiscale tra Svizzera e Italia?
«Perché è fondamentale che Canton Ticino e Regione Lombardia si trovino per discutere e stabilire progetti e priorità? Proprio perché se la discussione si sposta tra Roma e Berna, non si discute di parcheggi, trasporti e collegamenti tra Province, ma la discussione si allarga a temi di natura nazionale. E questo inevitabilmente mette in secondo ordine i problemi reali che constatiamo tutti i giorni. Ecco perché crediamo sia strategico che le due Regioni dialoghino e individuino le priorità comuni».
Ma ha ancora senso tenere in vita l’accordo fiscale italo-svizzero parafato quando al Governo in Italia c’era un’altra maggioranza?
«A noi interessa prevalentemente risolvere i problemi locali e stabilirne le priorità. Nello sfondo c’è anche questo accordo che non è mai stato ratificato, ma era contenuto in una cornice più ampia. Oggi in Svizzera c’è un Governo che ha al proprio interno una componente che ha una forte sensibilità nei rapporti tra Italia e Svizzera. Rivedere e affinare questi accordi è conveniente non solo all’Italia, ma anche alla Svizzera».
La Lega sarebbe pronta ad affossarlo e ripartire su basi nuove?
«Oggi, ripeto, ci sono situazioni che sono differenti da quelle che c’erano ieri. E noi siamo convinti che siano molto più favorevoli rispetto ai temi di interesse comune».
C’è chi sostiene che la parola magica sia appunto «Lega». Partito forte in Italia e che in Ticino ha la maggioranza relativa in Governo. Lei la pensa così?
«Se dovessi trovare uno degli elementi più comuni tra la Lega in Italia e la Lega dei ticinesi, direi che è l’attaccamento al proprio territorio e alle proprie popolazioni, questo non mi sembra un elemento banale anzi credo sia una buona base sulla quale costruire in modo fondato dei rapporti nuovi. Con una assonanza così forte, ci sono temi che possono essere affrontati con condivisione di intenti».
Le due leghe saranno anche simili, ma difendono interessi contrapposti dei propri cittadini. Allora quella che è stata avviata non è una mission impossible?
«Non la metterei così. La Lega italiana difende gli interessi degli italiani così come la Lega ticinese difende gli interessi dei ticinesi. Entrambi i partiti sono guidati da persone che sapranno trovare le soluzioni che comporteranno benefici per i propri cittadini».
C’è un punto che appare comune: i ristorni oggi il Ticino li versa a Roma che, con calma e trattenendone il 30%, poi li girerà ai Comuni italiani di confine. Va bene così?
«Ho iniziato questa intervista dicendo che sono un convinto autonomista. È chiaro che per la politica del mio partito e per quella che ho in testa bisogna cambiare. Il progetto che sto portando avanti come Regione Lombardia infatti mira ad avere delle forme di autonomia più spiccate rispetto a quanto lo siano state fino ad ora. Più avviciniamo le decisioni alle popolazioni e più l’efficienza è garantita. Più le decisioni vengono assunte lontano dai fruitori dei benefici, e più è garantita l’inefficienza. Basta guardare la differenza tra l’Italia – che è una nazione non federale e quindi ha un’autonomia limitata – e la vicina Svizzera che ha una confederazione e gradi di autonomia importanti. La politica che sto portando avanti come governatore di Regione Lombardia va proprio nella direzione di costruire un’architettura che si avvicini a quella svizzera, guadagnando in termini di efficienza».
Ma questa non è la «Roma ladrona» denunciata per anni dalla Lega, seppur da quella targata Umberto Bossi?
«Sono cambiati i tempi e le situazioni, ma il progetto è immutato. E il progetto consta in maggiori gradi di autonomia. Possiamo utilizzare un sistema piuttosto che un altro, ma lo spirito è il medesimo: padroni a casa nostra».
Con Matteo Salvini ha già avuto modo di parlare dei rapporti con i vicini del Ticino?
«Più volte abbiamo avuto modo di parlare con Salvini dei rapporti con la Svizzera e il nostro leader anche a livello nazionale ha sottolineato che per tante questioni il suo modello è proprio quello svizzero. Oggi ci sono condizioni che prima non c’erano: Salvini, che ora ricopre un ruolo assolutamente importante nel nostro Paese, sa perfettamente come funziona la Svizzera e quali sono gli elementi positivi rispetto all’Italia. Quindi ribadisco che oggi ci sono condizioni radicalmente diverse rispetto a quelle che ci sono state in passato. Per cui è questa una occasione da non perdere sicuramente per noi italiani, per noi lombardi ma, anche per la Svizzera, è una straordinaria opportunità».