Articolo apparso sull’edizione di mercoledì 21 marzo 2018 de La Regione
Il magistrato inquirente spiega che l’operazione ha peraltro consentito di trovare nelle abitazioni di alcuni indagati un tirapugni, bastoni e fumogeni
«Sembrava un blitz antiterrorismo. Un intervento esagerato e sproporzionato. Più che altro dimostrativo per propagandare misure, come la custodia di polizia, che si vorrebbero introdurre» anche in Ticino. Lo sostiene (vedi ‘laRegione’ di venerdì 16) l’avvocato Costantino Castelli, patrocinatore dei 13 tifosi biancoblù prelevati dagli agenti all’alba di mercoledì 14 nelle rispettive abitazioni, portati in Centrale e interrogati in veste di indagati per le violenze scoppiate il 14 gennaio alla Valascia a margine dell’incontro Hcap-Losanna. Anche Gioventù Biancoblù in un comunicato parla di azione “spropositata viste le accuse di sommossa, travisamento del viso, violenza, lancio di oggetti, legge sugli esplosivi”. Tirato in ballo, il consigliere di Stato Norman Gobbi, capo del Dipartimento istituzioni, ha negato di aver messo il naso nell’inchiesta. Competenti, ha aggiunto, sono Ministero pubblico e Polizia cantonale.
«Confermo», spiega alla ‘Regione’ il procuratore capo Nicola Respini, titolare delle indagini: «Quanto ho concordato con la polizia poggia sull’attuale Codice di procedura penale e su precise necessità d’inchiesta. Non abbiamo inventato nulla né improvvisato, né si è trattato di un’azione dimostrativa. Semmai preventiva, visto quanto trovato in talune abitazioni. Considerate le circostanze, ritengo che l’intervento non sia stato affatto sproporzionato».
‘Comunicano su chat e WhatsApp’
Da una parte, specifica il magistrato, va considerato l’elevato numero di indagati (17) che gli agenti non hanno potuto fermare al momento dei fatti – perché impegnati a separare le tifoserie e a ristabilire l’ordine – e ai quali si è giunti in base ai filmati: «Quando sono pochi solitamente vengono convocati in polizia inviando loro una lettera. Risultato? Molto spesso, essendo in contatto fra loro e circolando la voce relativa alla convocazione, concordano prima la versione da fornire agli agenti». Che questo accada «è noto e se n’è avuta prova anche in questo frangente: dopo i primi quattro fermi, e diverse ore prima che venisse divulgata la notizia dagli inquirenti tramite comunicato stampa, sulle loro chat e gruppi WhatsApp è iniziata a circolare la notizia». Tanto che uno degli indagati si è reso irreperibile, per poi presentarsi spontaneamente in Centrale. Da qui – sottolinea il procuratore – la necessità d’intervenire con una modalità «tale da evitare il pericolo di collusione e inquinamento delle prove». In tal senso – aggiunge – va recepita anche la perquisizione delle abitazioni: «Volta a ricercare oggetti potenzialmente affini alla violenza negli stadi, ha permesso di scoprire un tirapugni, bastoni e fumogeni». A far discutere è stata anche la decisione di registrare le impronte digitali e prelevare materiale per gli esami del Dna. «Dopo gli scontri del 14 gennaio – risponde il procuratore – sul posto sono rimasti oggetti di vario tipo che le tifoserie hanno scagliato contro gli avversari e gli agenti. C’era di tutto, anche girelli contapersone in metallo lanciati contro la polizia, quindi non per difendersi da un attacco dei tifosi avversari, come qualcuno ha dichiarato. Peraltro una donna lucernese è stata ustionata da un fumogeno. Ora, per stabilire le singole responsabilità e colpe, e formulare le giuste proposte di pena, è necessario sapere con esattezza chi ha fatto cosa e dove. Esercizio non facile, avendo tutti agito a volto coperto. Da qui la necessità di procedere anche con impronte e Dna».
‘Sono stati collaborativi’
L’avvocato Castelli contesta, Gioventù Biancoblù contesta. E i singoli indagati? «Si sono comportati bene, sono stati collaborativi, hanno rinunciato al diritto di farsi assistere da un avvocato, non hanno fatto obiezioni né avanzato lamentele», risponde il pp Respini: «Anche le perquisizioni in casa si sono svolte senza problemi». Quanto ai quattro indagati assenti su 17 (tre si trovavano Oltralpe e uno in ospedale), «i familiari hanno prestato la massima collaborazione fornendo subito i recapiti».
Interpellanza in Consiglio di Stato
Le modalità dell’operazione sono anche oggetto di un’interpellanza inoltrata ieri al Consiglio di Stato dai deputati Sara Beretta Piccoli e Paolo Peduzzi (Ppd e Gg).
“Per quale motivo la polizia ha ritenuto necessario fare irruzione, alle 6 del mattino, in casa delle persone sospettate di partecipazione ai tafferugli?” chiedono i due deputati: “Non era possibile procedere con una semplice convocazione, come è stato fatto con i sospettati non reperiti a casa?”.
Beretta Piccoli e Peduzzi chiedono inoltre se il prelievo del Dna e delle impronte digitali era necessario, quale lo scopo dell’esame e il costo, come pure quello dell’intera operazione. “È vero che le persone convocate, sono state fotografate prima dell’inizio della partita, che secondo le autorità stesse era ritenuta di rischio medio?”, domandano. “Se sì, questa è la normale prassi adottata per le partite a rischio medio? E quale per quelle ad alto rischio?”, si legge nell’interpellanza. “Come mai nella stessa serata nessuno dei tifosi vodesi è stato identificato?”.