Dal Mattino della domenica | Il ministro della sicurezza torna sulla minaccia terrorismo alle nostre latitudini
Un paio di giorni fa ho accompagnato a scuola mia figlia Gaia e poco prima di salire in auto uno dei genitori dei suoi compagni mi ha fermato. “Norman, ma dobbiamo avere paura qui da noi in Ticino? Ho letto la tua intervista sul terrorismo, e sono un po’ preoccupata. Poi sai, si leggono tante cose in questo periodo: attentati a Barcellona, Manchester, se ne sentono di tutti i colori. Non so più cosa pensare ”. Mi ha sorpreso la sua domanda, soprattutto perché in quel momento stavo vivendo la mia quotidianità più intima e personale. “No, non dobbiamo avere paura. Il Ticino è un posto sicuro in cui vivere. Ma non dobbiamo però essere ingenui e cullarci nell’idea che il nostro Paese è un posto blindato, dove nulla potrebbe mai accadere. La minaccia terroristica di matrice islamica è una minaccia vigliacca, subdola. Colpisce quando meno te lo aspetti. Colpisce i centri città, dove le persone si stanno assaporando un attimo di tranquillità gustandosi un aperitivo dopo un’intensa giornata di lavoro o altre persone stanno passeggiando facendo acquisti in uno dei giorni delle loro vacanze”. E mentre le parlo la mente corre inevitabilmente alle immagini della Rambla di Barcellona. E poi ho continuato “non dobbiamo avere paura perché è quello che vogliono fare queste persone: diffondere la cultura del terrore nei Paesi dell’Occidente. Dobbiamo lottare e darci da fare: vale per noi politici che dobbiamo fare in modo di avere gli strumenti adeguati per contrastare questo genere di attività criminali. Vale per le forze dell’ordine che devono continuamente raccogliere informazioni e segnalazioni per evitare il peggio. Vale per tutti voi cittadini: segnalate qualsiasi tipo di atteggiamento sospetto. Tutti insieme, collaborando, possiamo contrastare questa piaga che sta colpendo l’Europa”. Un breve attimo, i saluti di commiato e poi sono salito in auto, e sono partito alla volta di Bellinzona.
Le parole della donna mi hanno colpito ed è proprio per questo motivo che questa domenica ho deciso di tornare sul tema del terrorismo dalle colonne del nostro settimanale. A inizio settimana ho commentato l’allontanamento di due persone che sono state ritenute pericolose. Si tratta di un cittadino turco e di un afgano che erano vicini ad ambienti radicalizzati islamisti. Due persone ritenute una minaccia per la nostra sicurezza interna e quindi tramite un provvedimento amministrativo – senza che i due fossero processati dal profilo penale per intenderci – sono stati allontanati grazie all’ottimo lavoro dei miei servizi e di quelli della Confederazione. Due casi delicati che hanno spinto i miei collaboratori a dedicare a entrambi i dossier tempo ed energie anche durante i giorni di festa e, soprattutto, mentre la Sezione era nell’occhio del ciclone per la questione dei permessi. L’allontanamento è stato possibile grazie al lavoro di squadra tra Sezione della popolazione, Polizia cantonale, Polizia federale, Segreteria di Stato della migrazione e il Servizio delle attività informative della Confederazione – i servizi segreti svizzeri per capirci. E questi due casi vanno ad aggiungersi a quelli già noti del giovane pugile che frequentava una palestra nel luganese condannato a sei anni di carcere e dell’uomo coinvolto nel caso di Argo 1 recentemente processato. Persone che hanno vissuto o transitato sul nostro territorio. Persone che a detta di molti erano “ben inseriti nella nostra società”. Ma questi esempi dimostrano che nascere e crescere in un Paese non significa che non sia necessario un importante lavoro di integrazione. Integrarsi vuol dire avere rispetto dei valori tradizionali. In questo senso non dimentichiamoci l’iniziativa sull’insegnamento della civica in votazione il prossimo 24 settembre: far conoscere ai giovani il funzionamento del nostro sistema democratico può essere sicuramente un punto a favore dell’integrazione, a scapito di un’eventuale radicalizzazione. Inoltre il mio Dipartimento sta valutando l’ideazione di una strategia mirata per gestire questi casi in modo strutturato, coinvolgendo anche altri attori presenti sul territorio e introducendo anche una presa a carico di segnalazioni.
Quindi, anche se la minaccia è subdola e vigliacca in Ticino non restiamo con le mani in mano. Vogliamo stanare i lupi travestiti da agnelli e fare tutto quello che possiamo per evitare che diventino una minaccia per tutti noi. Continueremo a collaborare con Berna nonché con autorità e forze dell’ordine internazionali. E ovviamente continuerò a far sentire la mia voce anche oltre Gottardo: le nostre leggi sono troppo buone verso chi commette crimini legati al terrorismo. Sei mesi di carcere per il primo reclutatore arrestato in Svizzera sono troppo pochi. Perché vogliamo evitare che il nostro Cantone diventi un posto meno sicuro. Perché tutti insieme possiamo evitare che i lupi si camuffino tra gli agnelli per ferirci quando meno ce lo aspettiamo. Senza paura e senza timore!
Norman Gobbi,
Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle istituzioni