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Il mondo è cambiato, deve cambiare anche l’esercito. L’ha ricordato sabato scorso a Lugano, Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle istituzioni, nel corso dell’assemblea della Società ticinese degli ufficiali (Stu) che per l’occasione aveva come ospite d’onore il nuovo capo dell’esercito Philippe Rebord. I cambiamenti, un verità, già ci sono e vanno nella direzione della flessibilità, ovvero garantire la sicurezza contro le nuove minacce. Del resto, ha aggiunto Gobbi, «le nuove reclute non sono quelle di trent’anni fa; entrano nell’esercito con nuove competenze e hanno una facilità nell’utilizzo delle tecnologie» circondate quotidianamente, come sono, dai molteplici dispositivi dell’era digitale. Giovani, dunque, «che si aspettano di trovare nell’ambiente grigioverde le stesse tecnologie che fanno parte del loro quotidiano, con le stesse funzionalità». Dunque non si può attendere oltre, anche l’esercito deve dotarsi di nuovi mezzi capaci di rispondere all’esigenze del futuro. Che è già presente. Un esempio? L’uso sempre più frequente – anche delle istituzioni – dei droni, e cioè dei velivoli multifunzionali. La Polizia cantonale, ha ricordato Gobbi, ne fa uso per riprese aeree degli incidenti. L’esercito li ha usati in Ticino la scorsa estate per controllare i flussi migratori; mezzi ormai vetusti che per fortuna verranno presto sostituiti. La necessità imperativa di condurre in porto il progetto USEs (Ulteriore sviluppo dell’esercito), i problemi legati agli effettivi e l’attenzione al potenziale femminile, l’esigenza di regolamentare in modo più restrittivo le possibilità di accesso al servizio civile, la reintroduzione del concetto di mobilitazione, le scadenze che incombono in tema di mezzi (aerei, ma anche veicoli, cannoni ecc.): questi i temi principali toccati invece dal nuovo capo dell’esercito, comandante di corpo Philippe Rebord. Che ha sottolineato: l’USEs costituisce il classico “compromesso svizzero” tra esigenze e possibilità, tra qualità e costi. Ma rappresenta oggi un passaggio obbligato, da implementare con convinzione, poiché senza di esso non solo l’esercito non potrebbe garantire il suo essenziale contributo alla sicurezza del Paese, ma non ci sarebbero nemmeno le premesse per affrontare con altre misure l’evoluzione futura della situazione. Tra le novità annunciate da Rebord, la reintroduzione del concetto di mobilitazione, con relative esercitazioni per tutti i battaglioni. Un segnale di ripensamento del quadro strategico e del possibile riemergere di minacce militari convenzionali. Questo significa che torneremo un giorno al “grande esercito di difesa”, come vorrebbe qualcuno? Rebord, pur rilevando che non sarà comunque per domani, ha lasciato l’interrogativo sostanzialmente aperto, alla luce anche di quanto sta avvenendo in altri Paesi d’Europa (ad esempio in Germania). Il presidente della Società svizzera degli ufficiali, col Smg Stephan Holenstein, gli ha garantito il sostegno dell’ufficialità, non senza precisare che sarà “costruttivo” ma anche “critico”. L’assemblea ha pure ascoltato un’ampia relazione del presidente Stu Col Marco Lucchini, che ha insistito in particolare sull’importanza di valorizzare la formazione militare anche per contrastare il disinteresse di studenti e datori di lavoro.