Dal Mattino della domenica | Torna a crescere il numero di lavoratori da oltre confine in Ticino
Notizia di qualche giorno fa, il numero di lavoratori frontalieri in Ticino è tornato di nuovo a crescere. 64’670 residenti in Italia lavorano nel nostro Cantone, 2’260 unità in più rispetto allo scorso anno. Il dato più preoccupante, a mio avviso, è che quasi la totalità di questi nuovi lavoratori è attivo nel terziario con professioni specializzate, scientifiche e tecniche, come l’architettura e l’ingegneria, l’informatica o la comunicazione! Sono ambiti in cui la formazione ticinese e svizzera è ottima e nei quali i residenti del nostro Cantone hanno sempre eccelso. Settori in cui la manodopera locale c’è. Dove è finita la coscienza dei datori di lavoro a favore dei nostri giovani e dei nostri lavoratori in generale che, oltre a contribuire all’economia del nostro Cantone, garantiscono una determinata qualità nel servizio che offrono? Giovani che hanno studiato in un contesto elvetico e che condividono la mentalità, gli standard di qualità e la professionalità che fanno parte del “Made in CH”.
Ritengo che il mondo imprenditoriale debba contribuire allo sviluppo del Cantone dando lavoro ai residenti. È una forma di responsabilità che i datori di lavoro devono assumersi, fa parte di quello che considero un dovere verso le cittadine e i cittadini che pagano le tasse. Tasse che vengono, tra le altre cose, utilizzate dallo Stato anche per la promozione dell’economia e per l’elargizione di sussidi. Nella visione di un’economia responsabile deve esserci l’attenzione al territorio e deve esserci la responsabilità di restituire alla popolazione l’investimento sostenuto da un giovane che si è formato per il mondo professionale (e questo indipendentemente da quale strada abbia percorso). Impiegarli vuol dire restituire al Cantone l’investimento fatto nella formazione, sia attraverso le scuole cantonali, sia attraverso i contributi dati agli atenei di oltre Gottardo.
Siamo di fronte a un impoverimento di determinati settori, che sono meno tutelati dalla legge e che subiscono le conseguenze della volontà di certi di operare ad esempio con retribuzioni non adeguate ai nostri standard, in situazioni nelle quali un ticinese non può nemmeno pensare di candidarsi per un determinato lavoro, poiché non gli permette di sostenere le spese alle quali deve far fronte su suolo elvetico e quindi non gli permette di vivere!
La politica ticinese può proporre contratti collettivi di lavoro per i settori che ritiene più a rischio, ma se da parte di chi fa l’economia ticinese non c’è la volontà di operare in modo responsabile, il circolo, anziché virtuoso, potenzialmente continuerà ad essere vizioso. È un male per noi, per i giovani, per i disoccupati (anche quelli non più giovani ma con valide competenze) e per il futuro del nostro Cantone.
NORMAN GOBBI Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle istituzioni