Inchieste su ISIS e Argo 1: il consigliere di Stato dice la sua su magistratura e politica
Dopo settimane di parole dette e altre non dette, il Corriere del Ticino ha intervistato a tutto campo il Direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi sulla tormenta che ha investito lui, Paolo Beltraminelli e, di riflesso, il palazzo della politica. Gobbi per la prima volta spiega a che titolo era informato dell’inchiesta sull’uomo alle dipendenze della società di sicurezza Argo 1 accusato di essere un reclutatore dell’ISIS in Ticino. Parla dei rapporti all’interno del Governo, del momento difficile, della separazione dei poteri, delle storie di fantasia, della confusione e delle storie da bar.
I due scandali che hanno colpito il palazzo della politica, sembrano avere incrinato i rapporti all’interno del Consiglio di Stato. Si è passati dalla fiducia al sospetto?
«Assolutamente no. Semmai è il contrario. Da attento osservatore della politica qual è lei, sono sicuro che non faticherà a trovare casi del passato in cui i consiglieri sono stati messi alla gogna per decisioni dello stesso Governo. Noi stiamo invece facendo gioco di squadra per risolvere responsabilmente delle situazioni che devono essere risolte nel rispetto della cittadinanza e delle istituzioni che rappresentiamo. Al nostro interno mi sembra che, nonostante quello che si dica, siamo trasparenti e ognuno è pronto ad assumersi, nei confronti dei colleghi, le proprie responsabilità».
In particolare nelle ultime sedute sarebbero stati sollecitati chiarimenti sulla vicenda dei mandati alla Argo 1 assegnato dal DSS. Vero o falso?
«Ci mancherebbe che non fosse così. In quanto Governo sarebbe sbagliato trarre delle conclusioni prima che questi chiarimenti avvengano, anche con il supporto del Controllo cantonale delle finanze».
A chi ritiene che, anche alla luce della vicenda dei permessi falsi che la tocca in veste di politico responsabile del Dipartimento delle istituzioni, la legislatura sia già compromessa, come replica?
«Siamo a metà legislatura e non vedo come possa essere compromessa. Quelle che lei riporta sono delle speculazioni politiche e rispondono al gioco dell’arena politica, al quale, evidentemente, non mi sottrarrò. Al momento però gestisco questa situazione da membro dell’Esecutivo, collaborando con gli inquirenti e con gli organi di controllo dell’Amministrazione e del Parlamento, per far chiarezza su quanto successo. La mia occupazione quale direttore delle Istituzioni è anche quella di elaborare degli strumenti affinché il rischio del ripetersi di situazioni come quelle che stiamo vivendo abbia a tendere a zero e, naturalmente, favorirne l’introduzione».
Tra lei e Paolo Beltraminelli i rapporti sono cambiati?
«In questi giorni ho sentito raccontare tante storie di fantasia, tipo che il sottoscritto abbia influenzato la tempistica dell’inchiesta federale con l’unico scopo di danneggiare il presidente del Governo. Chi pensa che questo sia possibile non conosce il funzionamento dello Stato e sottovaluta la sacralità della separazione dei poteri e la piena autonomia della Magistratura. Per tornare alla sua domanda i rapporti fra me e Paolo non sono cambiati: sono collaborativi, cordiali e amichevoli, anche se non abbiamo sempre la stessa opinione».
Ma tra voi cinque cosa è cambiato alla luce degli scandali?
«Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma la situazione che stiamo vivendo ci ha coeso nel voler assicurare ai ticinesi uno Stato irreprensibile. Accanto alla gestione degli affari quotidiani, lavoriamo insieme e in modo trasversale per fare in modo che la fiducia del cittadino nelle istituzioni possa essere ristabilita e non più essere compromessa».
Nella vicenda Argo 1 è stato tirato in ballo anche lei, per l’inchiesta aperta nei confronti di quello che sarebbe un reclutatore dell’ISIS in Ticino. Ci fa un breve riassunto delle tappe principali?
«Sulla scorta di evidenze raccolte dall’intelligence della Polizia cantonale il Ministero pubblico della Confederazione, come è noto, ha aperto un procedimento penale nei confronti di un presunto reclutatore dell’ISIS che ha commesso reati ricollegabili al terrorismo. Nell’ambito di questa inchiesta sono emersi degli elementi da essa disgiunti collegati alla ditta Argo 1 e ai suoi vertici, che hanno dato origine in un secondo tempo all’inchiesta cantonale per i reati di usura e di sequestro di persona, di competenza cantonale».
Lei dice che sapeva, seppure non tutto. Ma la vera domanda è: a che titolo lei sapeva?
«Le inchieste per reati collegabili al terrorismo sono facilmente compromettibili, quindi le informazioni sono riservatissime e vanno gestite in maniera attenta. Sono stato informato in virtù del mio ruolo di direttore del Dipartimento delle istituzioni e le informazioni erano di carattere generale. Sapevo unicamente che sul nostro territorio si stava indagando su un possibile reclutatore. Ancora oggi le informazioni di dettaglio non mi sono note, anche perché non sono autorizzato a conoscerle. Gli scambi di informazione fra i vari servizi della Confederazione e i Cantoni rispondono a delle prassi regolamentate».
La separazione dei poteri impone che quello giudiziario debba essere autonomo e indipendente. Allora perché da politico era informato?
«Attorno a questa vicenda c’è un po’ di confusione. Attualmente sono in corso due inchieste. La prima, come le dicevo poco fa, è portata avanti dal Ministero pubblico della Confederazione e concerne un presunto reclutatore dell’ISIS. La seconda è condotta dal Ministero pubblico ticinese e riguarda invece la società Argo 1, per la quale il presunto reclutatore lavorava, e i cui responsabili sono indagati per i reati di usura e di sequestro di persona. Le autorità giudiziarie lavorano nella piena indipendenza. In qualità di Direttore del Dipartimento che ha la responsabilità della sicurezza, seguendo la prassi regolamentata, sono stato unicamente informato che sul nostro territorio si stava indagando su un possibile reclutatore, ma non ero autorizzato a conoscere le informazioni né sull’inchiesta né sulle persone coinvolte».
L’informazione le è giunta tramite canali ufficiali, direttamente dalla procura federale o cantonale, o per effetto della realtà del paese piccolo nel quale la gente mormora? Spesso anche chi non dovrebbe sapere, qualcosa sa.
«Per farle il verso mi verrebbe da dire che chi non deve sapere, normalmente crede di sapere, ma, pur non sapendo, si esprime pubblicamente creando confusione e, spesso, gettando fango sull’operato delle istituzioni che svolgono il loro operato in maniera più che egregia. Sarebbe più proficuo focalizzarsi sul fatto che le verifiche durate mesi siano sempre rimaste tutelate dal segreto e alla fine siamo riusciti a fermare un presunto reclutatore prima che fosse troppo tardi. Ma comprendo che sia una notizia meno allettante di altre. Vengo informato nell’ambito della mia funzione, non certo a seguito di commenti da bar».
Replicando al Caffè ha sollevato il segreto istruttorio. Ma la sua osservazione, dato il suo ruolo politico, non è stata poco pertinente?
«Lo ha detto lei prima. Esiste una separazione netta tra i tre poteri. In queste settimane sembra però che in molti se ne siano dimenticati. Il comandante della Polizia cantonale è stato liberato dal segreto istruttorio direttamente dal procuratore generale John Noseda per poter informare il Consiglio di Stato sul filone ticinese dell’inchiesta in corso. Questo per sottolineare che la Polizia cantonale, sebbene sia uno dei settori di mia competenza, agisce in modo indipendente nello svolgimento delle indagini giudiziarie».
Quando le hanno parlato della Argo 1 per la prima volta quale è stato il suo pensiero, dato che l’autorizzazione ad operare in Ticino non è stata data dal DSS di Beltraminelli ma dalla polizia?
«Nessun pensiero particolare. La polizia, per competenza, ha rilasciato l’autorizzazione a operare sul nostro territorio alla ditta di sicurezza in questione perché rispettava i requisiti richiesti dalla legge. Come ho avuto modo di approfondire a seguito di una domanda formulata dalla deputata Michela Delcò-Petralli in Parlamento, al momento del rilascio dell’autorizzazione le disposizioni in vigore erano rispettate, quindi il dossier è stato gestito nell’ambito delle disposizioni di legge. Illeciti che avvengono dopo l’autorizzazione, una volta constatati, danno eventualmente adito a un’inchiesta e poi alla revoca dell’autorizzazione, come puntualmente avvenuto».
In questa fase tutti stanno indagando per cercare di capire. Lo sta facendo anche la Sottocommissione di vigilanza e il suo coordinatore Alex Farinelli che ha ipotizzato di andare a sentire anche il procuratore generale John Noseda. Farinelli è andato un po’ lungo o trova che vada bene così?
«Il sentore è che vista la complessità della vicenda ci sia difficoltà a identificare le competenze delle differenti istituzioni dei diversi livelli. Anche in questo caso vige la separazione dei poteri, ma non credo che Alex Farinelli sia andato lungo, per usare le sue parole. Come coordinatore della Sottocommissione, lui è libero di prevedere gli approfondimenti che crede siano necessari per assolvere al suo mandato. Se posso permettermi di formulare un invito a tutti, e non solo a Farinelli, è quello di approfondire prima di rendere pubbliche delle affermazioni. In caso contrario si rischia di generare ulteriore confusione su una vicenda già molto complessa e su cui non si sono risparmiate speculazioni».
Tra l’altro il Controllo cantonale delle finanze ha tirato il freno alla Sottocommissione a proposito del battibecco del 2013 tra lei e il giudice Marco Villa sull’andazzo dei permessi B. Ma di quanto sollevato non si troverebbe traccia: 1-0 per Gobbi nei confronti di Farinelli e compagnia?
«Trovo la questione troppo importante per ridurla ad una partita di hockey (o di qualsiasi altro sport). Spero che chiunque sia coinvolto nei processi istituzionali lo faccia con lo scopo di fare chiarezza per il bene dello Stato. Se così non fosse significherebbe che saremmo già in campagna elettorale e mi sembra ragionevolmente un po’ presto. È comunque mia intenzione chiedere spiegazioni su queste affermazioni così come pure su alcune presunte sentenze del Tribunale federale citate dal PLR in un comunicato stampa a febbraio: al sottoscritto e ai miei servizi non risulta traccia di quanto da loro riportato. Ma se avessero delle indicazioni più precise da darci potrebbe sicuramente essere d’aiuto per fare chiarezza, altrimenti sarebbe solo ulteriore fumo».
Dal Corriere del Ticino del 27 marzo 2017, una mia intervista a cura di Gianni Righinetti